Guardare la Serie A in pizzeria non è reato: lo dice la Cassazione

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30279 del 2025, ha affrontato nuovamente la questione dell’utilizzo illecito di smart card e decoder a uso domestico per la trasmissione di eventi sportivi in luoghi aperti al pubblico.
Il caso riguardava il titolare di una pizzeria che aveva proiettato una partita di Serie A su più televisori del locale, rendendola visibile ai clienti presenti.
Il nodo centrale discusso dagli Ermellini riguarda la corretta interpretazione dell’art. 171-ter della l. n. 633 del 1941, che punisce la diffusione abusiva di opere protette dal diritto d’autore quando la condotta è posta in essere “a fini di lucro”.
Guardare la Serie A in pizzeria non è reato: lo dice la Cassazione
È proprio questa espressione ad assumere un ruolo decisivo: la condanna è legittima soltanto se viene provato un vantaggio economico concreto derivante dalla condotta, non potendosi ritenere sufficiente il semplice risparmio di spesa o l’offerta occasionale di un servizio in più ai clienti.
In primo grado e in appello, i giudici di Reggio Calabria avevano condannato l’esercente sulla base della circostanza che la partita fosse stata trasmessa pubblicamente e con strumenti non autorizzati all’uso commerciale. Secondo i giudici di merito, la sola messa a disposizione del servizio criptato bastava a dimostrare l’esistenza del fine di lucro.
Il difensore dell’imputato però impugnava la decisione dinanzi alla Cassazione, ponendo a sostegno del ricorso l’assenza di prova circa un effettivo incremento della clientela grazie alla proiezione e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p.
Le motivazioni dei giudici
La Suprema Corte, richiamando alcuni precedenti consolidati (tra cui le sentenze n. 45567/2010 e 7051/2011) ha chiarito che la semplice trasmissione di un evento sportivo criptato in un locale non integra automaticamente il reato, se non si dimostra la volontà di trarre un guadagno economicamente apprezzabile. Pertanto, l’offerta di un servizio “gratuito” ai clienti non è sufficiente a ravvisare la finalità di profitto, in mancanza di un incremento reale degli introiti o della clientela.
La Cassazione ha quindi annullato la sentenza d’appello con rinvio, ritenendo che la Corte territoriale avesse dato per presunto il fine di lucro senza un adeguato accertamento delle circostanze concrete. La nuova sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria dovrà quindi riesaminare il caso verificando se la trasmissione della partita abbia effettivamente comportato un beneficio economico per il gestore del locale.
Dalla lettura della sentenza in commento si evince chiaramente l’impossibilità di applicare in via automatica il diritto penale a ogni forma di utilizzo abusivo di opere protette dal diritto d’autore. In questi casi, il giudice è tenuto ad effettuare un’analisi puntuale delle finalità perseguite dall’autore della condotta. Il concetto di “lucro” risulta circoscritto a un guadagno effettivo, restando escluso il mero risparmio di spesa o l’offerta occasionale di un servizio aggiuntivo (come la partita) ai clienti.
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