Il Pd si astiene sul piano di pace, e si consegna alle piazze propal

Ottobre 3, 2025 - 06:00
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Il Pd si astiene sul piano di pace, e si consegna alle piazze propal

È probabile che Sergio Mattarella auspicasse un voto bipartisan del Parlamento in sostegno del piano di pace. Il governo, vista la disponibilità di Antonio Tajani a ipotizzare astensioni incrociate con il partito unico Pd-M5s-Avs, anche. I riformisti del Partito democratico pure premevano (nell’assemblea dei gruppi di mercoledì sera lo avevano chiesto con forza Graziano Delrio e Walter Verini), dicendo che hanno portato a casa questo risultato minimo dopo che Lorenzo Guerini ha minacciato di votare sì al testo del governo se il partito non avesse scelto di astenersi. Ma più di questo non si poteva sperare. Matteo Renzi e Carlo Calenda invece sono andati oltre, votando il sì al piano di pace di Donald Trump. L’inizio di una caratterizzazione dentro il campo largo? Effetto Marche?

Giuseppe Conte e soprattutto Nicola Fratoianni non avrebbero mai votato un testo del governo a favore del piano Trump che loro osteggiano, o addirittura condannano. Che poi è quello che in cuore loro pensano pure Elly Schlein e i suoi. Per cui, alla fine, astensione. Che è un voto né carne né pesce, ma meglio di niente: infatti tra favorevoli e astenuti nel Parlamento italiano non c’è nessun contrario al piano di pace.

Certo, è un voto che non sarà gradito al Movimento in teoria in solidarietà con le gesta della Flotilla, ma più concretamente propal, che sta riempiendo (relativamente) le piazze del Paese, per cui Schlein e i suoi fedeli corrono il serio rischio di essere fischiati da piazze estremiste chiaramente egemonizzate da Usb, Potere al popolo, Cobas, Cambiare rotta e gruppetti vari della galassia antagonista.

Il Pd va oggi alla manifestazione per lo sciopero generale indetto dalla strana coppia Cgil-Usb (uno sciopero su una vicenda chiusa come quella della Flotilla) e lì l’apparato del sindacato di Maurizio Landini garantirà che non vi siano problemi.

Più complicato per i dem sarà andare in piazza sabato a Roma, dove ci sarà di tutto. Al Nazareno non hanno capito che la direzione del Movimento non è nelle mani delle Acli o dell’Arci, ma degli estremisti. Non è, per capirci, la piazza del Popolo di Michele Serra, ma Schlein è testardamente convinta che non si può perdere il rapporto con la gente e tantomeno regalarla a Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 stelle.

Così ha portato il Partito democratico in mezzo al guado, un po’ appoggio il governo, un po’ vado in piazza con Landini e i Cobas – il cui leader, l’ex capo di Autonomia operaia Vincenzo Miliucci, ha dichiarato in un’intervista che «una nuova leva di giovani, che sembra rinnovare la passione rivoluzionaria che fu della generazione del Vietnam e dei movimenti di liberazione, oggi mette sotto accusa e combatte il sionismo negatore di esistenza e umanità, al pari degli imperialismi invasori e sopraffattori».

Non è una voce isolata. Anzi. L’anima anti-Israele è certo una conseguenza di ciò che avviene a Gaza, ma in molti casi è la premessa ideologica dei movimentisti che alligna anche in area Pd, tra i Giovani democratici, nella platea di Reggio Emilia che fischia il sindaco appena questi pronuncia la parola «ostaggi» e si esalta per le faccette e le battute di Francesca Albanese, o nella propaganda di Marta Logli, candidata Pd in Toscana che si definisce «antifascista, antirazzista, antisionista».

Il Partito democratico insomma rischia di prenderle da ogni parte: da Giorgia Meloni che sbeffeggia tutti, opposizione, sindacati, manifestanti; e dal Movimento radicalizzato che al massimo può avere qualche simpatia per Conte o Fratoianni.

In questa situazione, andrà visto meglio il grado di tenuta di Elly Schlein. Qui il problema non è tanto e solo la sconfitta nelle Marche o quella che avrà il Pd tra tre giorni in Calabria. Ma quello di un affollarsi di problemi, questioni, contraddizioni, fronti aperti: col governo, con gli alleati, con un pezzo del partito, con il Movimento, con settori della stampa amica. Ogni giorno si para un problema nuovo da risolvere con rapidità, e lei non sempre ha il guizzo, l’intuizione, lo scarto per farvi fronte, e temendo un’inedita freddezza o severità da parte di una serie di mondi, Elly va là dove la porta il cuore e si sente più sicura, nella comfort zone della cerchia nazarenica e della nostra gente, i militanti che la sostengono.

Ma chi l’ha vista l’altra sera, e ancora ieri alla Camera, la descrive come molto tesa, un po’ scostante: non la solita Elly, ma una Schlein che sembra smarrire il filo di una narrazione che fino a poco tempo fa funzionava, e che oggi gira a vuoto.

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Redazione Redazione Eventi e News