Inchiesta urbanistica Milano, consulente pm: “Torre Milano inadeguata a cambiamenti climatici”

Per la Procura di Milano è un grattacielo progettato e realizzato senza preoccuparsi della “adeguatezza di reti” elettriche e fognarie agli “effetti del cambiamento climatico” con uno “sconto” di 1,2 milioni di euro sugli oneri di urbanizzazione. Per i difensori è un tesi falsa, perché nell’area della ‘Torre Milano’ di via Stresa sono presenti “tutte le tipologie di infrastrutture” e in particolare “telecomunicazioni, rete gas e rete elettrica”. Entra nel vivo il primo processo all’urbanistica meneghina, collegato alle inchieste che in estate hanno scosso la città portando alle dimissioni dell’ex assessore Giancarlo Tancredi e a indagare il sindaco Giuseppe Sala, il suo braccio destro Christian Malangone e l’immobiliarista Manfredi Catella.
Il focus sugli abusi edilizi
Davanti alla giudice Paola Braggion non si parla di corruzione o del presunto “sistema edilizio deviato” ma esclusivamente di abusi edilizi, scostamenti dalle norme morfologiche (altezze, volumi, densità) e la possibilità per gli enti locali (Comune e Regione) di derogare ad alcune norme nazionali in materia di governo del territorio. Nonostante ciò è chiaro a tutte le parti che il destino della maxi indagine del 2025 passerà anche dall’aula della settima sezione penale. Per sei ore è stata sentita la consulente dei pm Petruzzella-Filippini-Clerici-Siciliano, architetta e docente allo Iuav di Venezia, Chiara Mazzoleni, che ha analizzato le pratiche edilizie della torre di 24 piani per 83 metri in via Stresa 22, autorizzata con una Scia come “ristrutturazione edilizia” dopo la totale demolizione e ricostruzione dei due edifici precedenti e, secondo le accuse, realizzata senza piano attuativo con recupero in altezza delle superfici e dei volumi di “seminterrati” abusivi già “oggetto di condono edilizio”. “Non c’erano i presupposti né per la ristrutturazione edilizia né per l’utilizzo della Scia“, che avrebbero offerto ai costruttori Stefano e Carlo Rusconi “vantaggi molto significativi”, ha detto la 71enne. Mazzoleni si è concentrata sull’assenza del piano attuativo che sarebbe servito “a permettere le connessioni del nuovo intervento con l’esistente” e a tarare le “dotazioni di spazi, servizi e infrastrutture” all’elevato “carico urbanistico” del grattacielo, stimato in “320 abitanti potenziali” e nuove funzioni residenziali. “Non si può pensare – ha detto – che anche un’area pienamente urbanizzata” di una “città esistente come Milano” sia “attrezzata per un carico così rilevante”. Non basterebbero le “trasformazioni dell’esterno” a rendere sostenibili “prospettive di densificazione delle aree” perché significherebbe “sostituire il piano urbanistico con il regolamento edilizio”.
La trama del processo
Dal controinterrogatorio è già emersa la trama che seguirà il processo. Per loro a Milano i metri quadrati di servizi pubblici e “standard” per ogni cittadino sarebbero stati nel 2012 ben 30, circa il doppio di quelli previsti dalla legge nazionale (18 mq). L’avvocato Michele Bencini, legale di Stefano Rusconi, ha prodotto un documento del Comune secondo cui sull’area c’è “la presenza di numerosi servizi diffusi”: almeno 13 a una distanza di 500 metri e altri “93” nel raggio di un chilometro. I difensori, fra cui Federico Papa e Fabio Todarello (per Carlo Rusconi) e Massimiliano Diodà per il progettista Gianni Beretta, contestano il dato dei 320 abitanti potenziali che in realtà corrisponderebbero a 121 residenti reali. Ricordano come dal “Catasto del Sottosuolo” sia emersa “la presenza di tutte le tipologie di infrastrutture” come reti di “telecomunicazioni, gas e elettrica”.
Il parere della consulente
Un altro passaggio della testimonianza, Mazzoleni lo ha dedicato alla determina dirigenziale del 31 maggio 2018 con cui gli ex dirigenti imputati di Palazzo Marino, Franco Zinna e Giovanni Oggioni (arrestato a marzo 2025 per corruzione, oggi sottoposto a divieto di dimora), avrebbero equiparato, nel pieno dell’iter del progetto, la Scia con atto d’obbligo presentata dal privato e recepita dagli uffici in 30 giorni al permesso di costruire convenzionato. Un “passaggio” che “non sarebbe possibile per il tipo di intervento”, ha spiegato la consulente, perché “richiedeva un rapporto negoziale con l’amministrazione pubblica sul carico urbanistico” ed “è invece diventata un’autocertificazione”. Così come l’architetta ha stimato in oltre 1,2 milioni di euro i benefici economici sulla “monetizzazione” degli “standard” versata al Comune grazie alla qualificazione come “ristrutturazione edilizia”: 530.578,8 euro è la cifra pagata dall’impresa Opm dei Rusconi quando invece secondo la Procura avrebbe dovuto pagare cifre “3 volte superiori”. Non, cioè, i 306,16 euro/mq previsti dal Comune nel 1997 e mai aggiornati, esclusa l’inflazione Istat. Il processo ripartirà l’1 ottobre con un altro consulente dei pm, il professor Alberto Roccella, esperto di diritto amministrativo-urbanistico e costituzionale.
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