L’86% delle tasse resta a Roma: i dati CGIA e il nodo dell’autonomia differenziata

Settembre 16, 2025 - 23:00
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L’86% delle tasse resta a Roma: i dati CGIA e il nodo dell’autonomia differenziata

lentepubblica.it

Il nuovo rapporto dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre offre una fotografia chiara – con dati per certi versi impietosi – della distribuzione delle tasse e del gettito fiscale in Italia.


Nel 2023, i cittadini e le imprese hanno versato nelle casse pubbliche complessivamente 613,1 miliardi di euro. Una cifra imponente che, tuttavia, non si traduce in una distribuzione equilibrata tra i diversi livelli di governo.

Lo Stato centrale trattiene quasi tutte le entrate

A trattenere la quasi totalità delle entrate è lo Stato centrale, che ha incassato ben 529,4 miliardi, pari a circa l’86% del totale. Alle Regioni, alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali resta invece poco più di un decimo: 83,7 miliardi, cioè il 14% complessivo.

Il confronto con i dati sulla spesa pubblica rende ancora più evidente questa asimmetria. Sempre nel 2023, al netto delle pensioni e degli interessi sul debito, la spesa complessiva dello Stato ha raggiunto i 644 miliardi di euro. Di questi, poco più della metà – circa 362 miliardi, il 56% – sono stati gestiti direttamente da Roma. Il resto, 281 miliardi, pari al 44%, è stato invece sostenuto da Regioni ed enti locali.

Lo squilibrio a danno degli enti locali

Sebbene, dunque, lo Stato raccolga la maggior parte delle tasse, non è l’unico responsabile nell’erogazione dei servizi ai cittadini, che in larga misura ricadono proprio sulle più svantaggiate amministrazioni territoriali.

Un esempio aiuta a comprendere la portata di questa sperequazione.

Nel 2023, gli enti locali hanno incassato direttamente 83,7 miliardi di euro, ma hanno dovuto farsi carico di 281 miliardi di spesa. Significa che per ogni euro riscosso direttamente, Regioni e Comuni ne spendono oltre tre. La differenza, pari a quasi 200 miliardi, è coperta da trasferimenti di fondi da parte dello Stato centrale. Trasferimenti, però, che non sempre sono sicuri e che spesso sono vincolati. Ciò condiziona pesantemente la capacità di programmazione degli enti territoriali.

L’analisi delle entrate nel particolare

Lo squilibrio diventa ancora più evidente se analizziamo nel dettaglio le entrate.

Lo Stato trattiene le tasse più importanti: IRPEF (oltre 208 miliardi), IVA (quasi 140 miliardi) e IRES (circa 50 miliardi), senza contare accise su carburanti, imposte sui tabacchi, tasse di registro e altre voci minori.

Le Regioni, invece, possono contare quasi esclusivamente sull’IRAP (28,9 miliardi), sull’addizionale regionale IRPEF (13,5 miliardi) e sulla tassa automobilistica (6,6 miliardi). I Comuni, dal canto loro, si sostengono soprattutto con l’IMU (18,6 miliardi) e con l’addizionale comunale IRPEF (5,7 miliardi), mentre le Province hanno margini residuali, come l’imposta RC Auto (2,1 miliardi).

Non sorprende, dunque, che il report sottolinei come Regioni e Comuni dipendano quasi totalmente dai trasferimenti statali per finanziare servizi fondamentali come sanità, trasporti, edilizia abitativa o assistenza sociale. In molti casi, osserva la CGIA, l’erogazione di alcuni servizi è stata attribuita alla competenza degli enti locali. I cittadini, quindi, si trovano spesso a dover sostenere un doppio onere: prima il pagamento delle imposte statali e poi quello di ticket o addizionali locali.

Divergenze enormi tra gettito fiscale e spesa

Questo squilibrio tra gettito fiscale e spesa è uno dei motori che alimenta il dibattito sull’autonomia differenziata. Il dossier ricorda che Veneto e Lombardia, le due regioni che più spingono per la riforma, già nel 2017 avevano consultato i propri cittadini con un referendum. Secondo i dati della Banca d’Italia riportati dalla CGIA, nel 2019 ogni abitante della Lombardia ha versato allo Stato circa 5.090 euro in più di quanto ricevuto sotto forma di spesa pubblica; per il Veneto il saldo negativo è stato di 2.680 euro pro capite. Tutte le regioni del Nord, ad eccezione della Liguria, hanno registrato residui negativi.

Al contrario, nel Mezzogiorno la situazione è rovesciata: i cittadini ricevono più di quanto versano. Sempre nel 2019, la Calabria ha beneficiato di un saldo positivo di +3.085 euro pro capite, la Sicilia di +2.989, la Puglia di +2.440. Non si tratta di un’anomalia, precisa la CGIA, ma della conseguenza diretta di un reddito medio più basso e quindi di un gettito fiscale minore, compensato dai trasferimenti pubblici.

La questione politica

Il rapporto della CGIA pone una questione politica di fondo: finché l’86% delle tasse resterà concentrato nelle mani dello Stato, le autonomie locali continueranno a dipendere da Roma per sopravvivere. La riforma dell’autonomia differenziata può rappresentare un’occasione di riequilibrio, ma solo se accompagnata da strumenti di perequazione trasparenti ed efficaci. Altrimenti, il rischio è quello di trasformare un Paese già diviso in un quadro ancora più frammentato, con cittadini di serie A e di serie B a seconda del territorio in cui vivono.

Il report della CGIA Mestre con i dati sulle tasse in Italia

Qui il documento completo.

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