La Francia sta vivendo una crisi molto italiana

Settembre 6, 2025 - 05:00
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La Francia sta vivendo una crisi molto italiana

La Francia sta vivendo una crisi molto italiana. La Quinta Repubblica, voluta dal generale Charles De Gaulle nel 1958 per porre fine al caos della Quarta, era stata costruita come un argine alla fragilità dei governi, alla danza di maggioranze incoerenti e agli esecutivi di pochi mesi che avevano reso il Paese ingovernabile nel dopoguerra. Sessantasette anni dopo si è tornati a un antipatico déjà vu: François Bayrou, quarto primo ministro in appena diciotto mesi, si avvia verso una sconfitta annunciata nella mozione di fiducia di lunedì 8 settembre.

Non è soltanto il destino di un uomo politico a essere in gioco, ma quello di un Paese che da mesi non riesce ad approvare un bilancio, che vede i propri tassi d’interesse superare quelli di Grecia e Italia, che brucia rapidamente il capitale politico accumulato da Emmanuel Macron. I francesi stanno vivendo ciò che noi italiani abbiamo provato nelle ultime settimane del governo Berlusconi, nel 2011. Quando la sfiducia dei mercati si intreccia alla paralisi parlamentare, ogni giornata diventa un test di credibilità per l’intero sistema istituzionale.

La radice della crisi francese sta nella geografia dell’Assemblea nazionale, divisa in tre blocchi che si neutralizzano a vicenda. Da un lato il campo centrista e liberal-macroniano, cui appartiene Bayrou, sostenuto da alleati moderati di destra e da pochi indipendenti: circa 210 deputati, troppo pochi per una maggioranza. Di fronte, sul lato destro dell’emiciclo, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, rafforzato dalle ultime elezioni, con oltre 140 seggi e una linea di totale ostilità verso Macron. A sinistra, un’alleanza variabile di socialisti, ecologisti, comunisti e soprattutto La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon: oltre 180 deputati, ma divisi tra chi propone un bilancio più sociale, qualsiasi cosa voglia dire, e chi punta solo a far cadere l’esecutivo.

Nessuno può governare da solo, ma ognuno ha la forza di bloccare gli altri. Ovvero la stessa situazione del 2013 e 2018 in Italia, dopo i due exploit elettorali del Movimento 5 stelle. È questo meccanismo di veti incrociati a rendere il Parlamento ingovernabile, a trasformare ogni legge di bilancio in un voto di sopravvivenza e a far riemergere un clima da instabilità cronica. 

In questo contesto l’iniziativa di Bayrou, che ha legato la sua sopravvivenza a un piano di risparmi da 44 miliardi di euro nel 2026, è sembrata il gesto di un uomo che scommette tutto. Ha parlato di «sacrifici inevitabili» e di «questione di sopravvivenza dello Stato». Ma i suoi avversari hanno colto l’occasione per determinare la sua fine politica. «L’unica cosa che attendo da lui ora è che dica addio», ha detto il leader socialista Olivier Faure.

«L’unico modo per un primo ministro di durare più a lungo sarebbe rompere con il macronismo. È la politica di Emmanuel Macron che è profondamente tossica», ha detto Marine Le Pen, ancora determinata a fare la morale agli altri nonostante la condanna per appropriazione indebita. Infine non poteva mancare il solito Jean-Luc Mélenchon che ha chiesto apertamente le dimissioni del presidente se la fiducia cadrà tra due giorni. 

La crisi si riflette immediatamente sui mercati. Il rendimento dei titoli decennali francesi è salito al 3,6 per cento, il livello più alto dal 2011, segno che gli investitori iniziano a trattare la Francia come un possibile malato d’Europa. «Sto guardando con molta attenzione la situazione degli spread francesi», ha ammesso Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea. Secondo il think tank Bruegel, basterebbe un avanzo primario dell’1,2 per cento del prodotto interno lordo per stabilizzare il debito, oggi al 114 per cento. Ma la Francia ha chiuso i conti in attivo una sola volta negli ultimi trent’anni. Colmare l’attuale disavanzo primario del 4 per cento significa manovre di circa cinque punti di PIL. Un obiettivo tecnicamente possibile, politicamente devastante. L’aumento dei rendimenti rischia di frenare ulteriormente gli investimenti e di aggravare il circolo vizioso tra bassa crescita e alto debito. 

Alla dimensione economica si aggiunge la frattura sociale. Come da tradizione francese, e molto parigina, le piazze si preparano a giornate di protesta il 10 e il 18 settembre, organizzate dal movimento Bloquons Tout. L’ipotesi di abolire giorni festivi e congelare le prestazioni sociali, hanno suscitato una rabbia sociale che può essere incanalata a destra o a sinistra, ma che soprattutto alimenta la disaffezione. Secondo il sondaggio Fractures Françaises, solo il 14 per cento dei cittadini ha fiducia nei partiti. 

Come ha notato Carlo Panella su questo giornale, Macron, stretto tra mercati inquieti e un’Assemblea ingovernabile, appare prigioniero della sua stessa scommessa politica. Ha escluso dimissioni, promettendo di portare a termine il mandato fino al 2027, ma se nominerà un nuovo primo ministro, il quinto in meno di due anni, difficilmente potrà cambiare la logica di fondo. Ogni bilancio diventa un referendum sul governo, ogni sconfitta un acceleratore della crisi. Un nuovo scioglimento del Parlamento aprirebbe la strada a una vittoria del Rassemblement National, esattamente come in Italia l’instabilità parlamentare ha spianato la strada a forze che promettevano scorciatoie semplici a problemi complessi. E abbiamo visto da noi come è andata a finire.

Certo, la Francia non è la Grecia del 2010 e non rischia un default immediato. Ma il pericolo è più profondo: un logoramento progressivo della fiducia, dentro e fuori il Paese, e la sensazione che nessuno sappia affrontare il nodo del debito senza spaccare ulteriormente la società

L'articolo La Francia sta vivendo una crisi molto italiana proviene da Linkiesta.it.

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