La lezione di Trump: i regimi repressivi nascono dagli errori delle democrazie

Ottobre 19, 2025 - 16:00
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La lezione di Trump: i regimi repressivi nascono dagli errori delle democrazie

Trump docet. Il mio collaboratore domestico, si chiama Abhay ed è immigrato dall’India, mi ha raccontato una personale odissea. Il passaporto di suo figlio, un bimbo di due anni, ne riportava il nome con la sillaba finale “a” invece di “o”. Per rettificare l‘errore, Egli ha ricevuto un perentorio avviso di recarsi all’Ufficio competente di Milano. Ha cercato di convincere per telefono il funzionario a cambiare, di propria iniziativa, la “sillaba”, segnalando il disagio di dover prendere un treno andata e ritorno da Genova e di perdere una giornata di lavoro. Ma s’è trovato dinnanzi ad un muro invalicabile.

Questo episodio, mi ha detto Abhay, non avrebbe potuto verificarsi in India, dove il passaporto te lo consegnano a domicilio come qualsiasi documento di identità.

Abhay è fiero delle proprie origini e dei progressi economici e sociali della sua immensa nazione. Mi ha spiegato che l’attuale presidente Narenda Modì non discende da nobili dinastie ma è figlio del popolo: per vivere vendeva tè nelle carrozze dei treni e intanto studiava. L’ascesa di Modì è stata possibile grazie ai principi del liberalismo introdotti dai colonialisti inglesi, che avrebbero portato all’eliminazione delle caste.

I benefici del colonialismo

La lezione di Trump: i regimi repressivi nascono dagli errori delle democrazie, nella foto Narendra Modi, primo minisrro in India
La lezione di Trump: i regimi repressivi nascono dagli errori delle democrazie – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Abhay non odia gli “occidentali”, non demonizza gli inglesi e ne riconosce le eredità benefiche: le basi di una burocrazia solida e la lingua anglosassone. Infine, mi è grato per avergli dato un lavoro ed avergli messo la firma di garanzia sul contratto di affitto della casa.

A suo tempo mi ero arrabbiato per il fatto di dover garantire il locatore e avevo urlato al razzismo dei genovesi. È stato Abhay a spiegarmi la situazione. Molte case restano vuote perché i proprietari non si fidano di affittarle a persone che non pagano neppure le spese di condominio: se fossi proprietario farei la stessa cosa. Non è una questione di razzismo ma di tutela del diritto di proprietà.

A Genova si assiste all’occupazione illegale dell’intero centro storico da parte di nord africani e senegalesi che hanno trasformato la zona in una casbah: uno Stato dentro lo Stato, dove le case sono acquistate con i proventi della droga e della prostituzione.

Sono io a doverti ringraziare, ho detto più volte a Abhay, perché i servizi che ti sono richiesti li svolgi con professionalità,  hai appreso presto la lingua italiana e parli un inglese fluente. L’unico principio di democrazia che conosco è quello di non scegliere secondo il colore della pelle: la cittadinanza italiana non deve rappresentare una rendita di posizione su cui sedersi. Un immigrato che vuole lavorare deve avere gli stessi diritti dell’italiano in attesa perenne del reddito di cittadinanza o della pensione anticipata. Ogni altra considerazione è di tipo razzista.

Grazie a Abhay ho potuto constatare con mano che esistono immigrati in grado di integrarsi perfettamente con la cultura del paese ospitante ed altri che pretendono di imporre la propria“controcultura”. Tra questi ultimi, inutile negarlo, si collocano gli immigrati di origine mussulmana.

L’ombra di Trump su Israele

L’esempio più eclatante al mondo di mancata “integrazione” nel tessuto economico di paesi diversi è quello tra lavoratori palestinesi e imprenditori israeliani.

Perché Israle ha chiesto a Modì di inviare 150 mila lavoratori indiani, quando può disporre del bacino di mano d’opera palestinese? La vicenda ha dell’incredibile e non dipende da motivi religiosi ma strettamente economici.

L’agricoltura di Israele si basa su tecniche avanzate di irrigazione che hanno consentito di trasformare aree desertiche in terreni fertili. Sono stati sviluppati settori tecnologici tra i più avanzati del mondo, Google e Microsoft hanno centri di ricerca e di sviluppo nel paese. L’esercito israeliano è tra i più moderni ed efficienti. L’investimento in strumenti difensivi e di attacco per ogni soltato israeliano è di 50 mila euro, quello del militante di Hamas di 5 mila. La mortalità infantile in Israele è del 3,1 per mille abitanti.

La Palestina è divisa tra due territori separati da un muro di 360 Km. Dopo il 1967, Israele ha assorbito gran parte della manodopera palestinese non specializzata. La mortalità infantile per mille abitanti in Palestina, prima del sette ottobre, era del 12,8.

Gli israeliani dispongono di enormi capitali che vengono da tutto il mondo, in particolare dagli Usa, i palestinesi ricevono sussidi dall’Europa e sono stati dimenticati dai paesi arabi.

Le Nazioni Unite ritengono che la Palestina potrà sopravvivere solo se Israele riprenderà ad utilizzare a pieno regime la mano d’opera palestinese. Tuttavia, lo sviluppo tecnologico di Israele relega il lavoro dei palesinesi a ruoli e funzioni subalterne.

La sudditanza del fattore lavoro dei paesi poveri è una situazione ricorrente. Il disastro di Marcinelle del 1956 ci ricorda la morte in miniera di 136 immigrati italiani.

Il dramma mediorientale deriva dal divario tra sistemi economici che ha generato odi intollerabili: il bambino israeliano sogna di ammazzare un palestinese e ogni giovane di Gaza è pronto a massacrare l’intero popolo israeliano.

In questo scenario, invece di investire le scarse risorse nello sviluppo economico, da circa un ventennio il governo palestinese guidato da Hamas, ha deciso di costruire cunicoli sotterranei  per finalità belliche. Non importa la definizione “giuridica” di gruppo terroristico che molti paesi e la stessa Onu non accettano: Hamas è oggettivamente un’organizzazione politica e militare islamista, sunnita e fondamentalista, che vuole la distruzione totale di Israele.

E lo fa con le stesse tecniche della guerriglia di Lawrence d’Arabia che colpiva gli ottomani e fuggiva negli immensi deserti, mentre a Gaza l’unica via di scampo è la casa o l’ospedale.

Questa scelta di guerra rappresenta la negazione di qualsiasi tipo di integrazione economica con Israele che tuttavia resta l’unica via di salvezza per la Palestina.

Non prendo posizione sulle responsabilità storiche del conflitto e posso anche concludere che Israele sia un paese colonialista che ha rubato territori e ridotto i residenti a sudditi. Non posso tuttavia pensare che i quasi dieci milioni di israeliani decidano di autoestinguersi assumendo la cicuta.

Si capisce quindi che gli israeliani abbiano difficoltà ad accettare nelle proprie fattorie o nelle proprie aziende lavoratori palestinesi che hanno dimostrato di non sapersi “integrare” sul piano economico e sociale e li considerano nemici.

A questo punto sollevo una questione pratica:  la barriera divisoria di muri e recinzioni, i checkpoint costruiti dagli israeliani per difendersi dagli attacchi terroristici,  i 700 chilometri di tunnel a Gaza, non li tiri su in una notte.

Possibile che l’Autorità palestinese, il Mossad, ciascun cittadino di Israele e di Gaza, ignorassero che si stava preparando una guerra finale per la reciproca distruzione?

Possibile che l’Onu e l’Unione Europea siano rimasti silenti “lasciando fare” ai “due popoli e due Stati”? Possibile che il mondo sia rimasto stupito dai fatti del sette ottobre?

Il principo dei “due popoli e due stati” di cui si discute nei talk show, il riconoscimento dello Stato palestinese che ricomprenda l’intera Cisgiordania, sono astrazioni che potranno realizzarsi dopo che si saranno spenti i fuochi della guerra.

Non basterà distruggere i cunicoli, disarmare Hamas o sostituire Netanayu, si dovrà disperdere la memoria collettiva di questo passato e attendere nuove generazioni in grado di “integrarsi”.

I giapponesi hanno dimenticato Hiroshima in meno di vent’anni. Recep Erdogan urla il proprio sdegno per i fatti di Gaza perché ha dimenticato il genocidio di due milioni di armeni ad opera dei turchi di appena un secolo fa.

Per queste ragioni, i movimenti di piazza di natura anti semita nei quali si mischiano i sindacati, sono privi di senso. Credo che le decisioni governative di tollerare questi movimenti all’insegna del “panta rei”, del tutto scorre e resta come prima, siano politicamente corrette.

Mi sono sempre chiesto perché i sindacati non lottino per migliorare l’efficienza delle burocrazie. La risposta è: i sindacati vivono grazie ai contributi degli iscritti e il maggior numeno di iscritti proviene dalle burocrazie pubbliche.

A questo punto vi dirò quello che pensa veramente la gente che non sfila nei cortei e non va a votare.

Non gliene frega niente che i due popoli mediorientali continuino a scannarsi: vinca il migliore.

Nessun “occidentale” di oggi si sente in colpa per il fatto di discendere da Colombo, per lo schiavismo o il colonialismo dei secoli scorsi, perché qualche regime religioso perseguita gli omosessuali.

Nella mente della gente qualunque, i problemi di questa generazione non hanno niente a che fare con la bomba atomica del ventesimo secolo, con la rivoluzione di Lenin o di Mao, di Hitler o di Mussolini. Nessuno potrà mai dimostrarci che il regime dello zar fosse stato più repressivo di quello sovietico.

Questi spettri del passato non devono influire sul tenore di vita dell’uomo di oggi. La domanda cui occorre rispondere è la seguente: a fine giornata ho guadagnato tanto da vivere oppure il guadagno del mio vicino è parassitario? Il sistema di governo è adatto a tutelare i miei diritti, a difendermi dai delinquenti e dagli arresti arbitrari? Le burocrazie che raddoppiano il costo dei servizi e ne aumentano l’inefficienza, possono essere ricondotte a normalità? Perché non si riesce a contenere l’immigrazione abusiva?

All’uomo qualuque non frega niente dei “valori” agitati nei cortei dove ci sono sempre vetrine rotte, teste contuse, parole grosse.

I “silenti” sono stufi dei musulmani, ebrei, cattolici, induisti, dei conflittti tra capitale e lavoro, di tutte le discussioni tra intellettuali più o meno accreditati. Che vadano tutti a lavorare e non si mantengano per via di chiacchere ripetitive o di ideologie.

Non si capisce perché sia consentito il ghetto del centro storico genovese, quello più vecchio e bello d’Europa, e i migliaia di ghetti che sorgono in ogni territorio italiano e ci si chiede a cosa servano i partiti, le forze di polizia e la Magistratura.

A chi replicasse che tutto ciò suona “qualunquista” e prelude a qualche forma di governo autarchico, bisogna ricordare che tutti i regimi repressivi nascono dagli errori delle “democrazie”. La vittoria elettorale di Trump ce lo sta dimostrando.

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