“La salute è un diritto universale”: la missione di Soleterre nelle terre dimenticate
Promuovere oggi il diritto universale alla salute significa difendere la vita nella sua interezza, non soltanto curando i corpi, ma anche le menti e le relazioni. È questa la visione di Damiano Rizzi, presidente di Soleterre, fondazione che da oltre vent’anni opera in contesti di guerra, povertà e fragilità sociale per garantire cure mediche e sostegno psicologico a chi ne ha più bisogno.
“Nei reparti, nei campi profughi, negli ospedali bombardati – racconta Rizzi – vedi bambini guarire dal tumore ma non dal trauma, genitori sopravvivere al dolore ma non alla solitudine. Il diritto alla salute è il diritto a essere visti come persone intere”.
Soleterre lavora in alcuni dei contesti più difficili del pianeta, dove la sfida non è solo sanitaria, ma anche etica. “Le difficoltà maggiori non sono logistiche, ma morali. Operiamo nelle terre sole, i luoghi dimenticati dal mondo. In Palestina, dove le chemioterapie sono ormai terminate, siamo l’unica organizzazione che riesce a procurarle e a curare tutti i bambini della Cisgiordania anche grazie alla collaborazione con il Vis – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, presso il Beit Jala Hospital, l’ultimo ospedale pubblico dedicato al cancro infantile. In Ucraina stiamo riabilitando bambini feriti dalla guerra, sia fisicamente che psicologicamente, e continuiamo a occuparci dei piccoli malati di cancro insieme al partner locale Zaporuka. In Africa dimostriamo ogni giorno che i bambini malati di tumore possono guarire, se hanno accesso alle cure”.
Tra emergenze e disuguaglianze sociali
Per Rizzi, la vera emergenza non è solo la mancanza di medicine, ma la perdita di fiducia: “Quando le persone smettono di credere che la cura sia possibile, anche la medicina fallisce”.
Uno dei tratti distintivi della Fondazione è l’integrazione tra cura fisica e benessere psicologico, un approccio che, secondo il presidente, è “la condizione stessa della guarigione”. Al Beit Jala Hospital Soleterre ha introdotto la prima psico-oncologa della Palestina, la dottoressa Farah Fatafta. “Un bambino che affronta la chemioterapia, o un padre che lo accompagna, non guariscono se non possono raccontare la paura, la rabbia, la speranza. La mente cura il corpo tanto quanto il corpo cura la mente. Dove c’è relazione, c’è guarigione”.
Soleterre raccoglie dati e testimonianze per denunciare le disuguaglianze sanitarie e sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica. “Dietro ogni numero c’è un nome”, sottolinea Rizzi. “Abbiamo dimostrato che l’intervento psicologico riduce il tempo di ospedalizzazione, migliora l’aderenza alle cure e abbassa il rischio di depressione post-traumatica. Ma, soprattutto, restituisce dignità. La disuguaglianza sanitaria è una forma di violenza, e la salute non può dipendere dal passaporto”.
Il futuro della fondazione
Il presidente denuncia anche le contraddizioni del sistema sanitario italiano: “Viviamo in un Paese dove la spesa sanitaria viene dichiarata in aumento, ma nei pronto soccorso mancano infermieri e i medici sono per lo più giovani specializzandi”.
Guardando al futuro, Rizzi immagina una Fondazione sempre più aperta e partecipata: “Vorrei che arrivassero giovani capaci di portare avanti Soleterre anche senza di me, insieme a intellettuali di ogni parte del mondo. Servono nuove alleanze con imprese, fondazioni e cittadini, per costruire non solo aiuti ma anche una narrazione alternativa al potere, che tende a dividere tutto in vincitori e vinti”.
“La salute,” conclude, “è un atto politico, perché ci rende tutti uguali. È l’unico terreno su cui possiamo ancora incontrarci come esseri umani, perché il dolore è universale: lo stesso in ogni angolo della Terra”.
L’articolo “La salute è un diritto universale”: la missione di Soleterre nelle terre dimenticate è tratto da Forbes Italia.
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