Le assise interparlamentari sono la via obbligata per rifondare la democrazia europea

Il principio della democrazia rappresentativa, che si fonda principalmente sul ruolo dei parlamenti o, più generalmente, delle assemblee legislative elettive, permea o meglio dovrebbe permeare i sistemi in vigore nei paesi membri dell’Unione europea, anche se prevale progressivamente quello che Juergen Habermas ha chiamato il «federalismo degli esecutivi», che mette in pericolo il processo di integrazione europea, perché in quel federalismo agisce la logica dell’unanimità e interviene la paralisi istituzionale che impedisce l’adozione di decisioni nell’interesse dei cittadini, che sono i depositari della sovranità popolare.
Dopo aver scritto che «il fondamento dell’Unione europea si fonda nella democrazia rappresentativa», i governi si sono affrettati a precisare che la democrazia europea riposa sulla doppia legittimità delle cittadine e dei cittadini rappresentati dal Parlamento europeo e degli Stati rappresentati dai governi nel Consiglio e nel Consiglio europeo, sapendo che il Parlamento europeo ha una sovranità limitata e che invece le istituzioni intergovernative o confederali hanno una sovranità piena, che arriva fino al punto di considerare che i governi sono i padroni dei trattati (art. 48.4 TUE) e che possono anche decidere di demolire l’Unione europea (art. 48.2 TUE), restituendo competenze agli Stati o rifiutandosi di aprire una procedura di revisione dei trattati (art. 48.3 TUE).
Questo modello zoppo di doppia legittimità – in cui il ruolo dei parlamenti nazionali o, più in generale, delle assemblee legislative elettive è limitato alle ratifiche ex post o a un complicato potere negativo sulla legislazione europea nel controllo del principio di sussidiarietà, e quello del Parlamento europeo è sottomesso a limiti che sarebbero inaccettabili nelle democrazie nazionali, creando una situazione di democrazia incompleta – è molto grave in due settori essenziali nella vita dell’Unione europea, che riguardano la sua costituzione materiale.
Il primo settore è quello della politica fiscale, dove il Consiglio decide all’unanimità sulle misure di armonizzazione, limitandosi a consultare il Parlamento europeo (art. 113 TFUE) attraverso una procedura cosiddetta speciale, che si applica a tutti gli articoli dei trattati, come l’ambiente con implicazioni fiscali, e quello del bilancio e in particolare delle entrate o risorse proprie, perché anche in questo caso il Consiglio decide all’unanimità, limitandosi a consultare il Parlamento europeo, sottoponendo poi la decisione all’approvazione degli Stati membri, che potrebbe avvenire anche senza l’intervento dei parlamenti nazionali.
Lo stesso sistema di democrazia incompleta si applica anche al Quadro finanziario, che è ormai pluriennale dal 1988, così come sono pluriennali dalla metà degli anni settanta i bilanci nazionali dopo l’adozione di riforme finanziarie ispirate dal sistema statunitense, dove il Consiglio adotta questo quadro all’unanimità «previa approvazione del Parlamento europeo» (art. 312.2 TFUE), prescindendo dal parere o dall’accordo dei parlamenti nazionali, fatta salva la questione delle risorse proprie.
Il Trattato non precisa che la proposta di regolamento sia sottomessa al Consiglio dalla Commissione europea, ma ciò è naturale nella logica del diritto quasi esclusivo di iniziativa legislativa dell’esecutivo europeo, che è poi responsabile della gestione del bilancio. Nulla si dice nel Trattato sulla concertazione o sulla cooperazione, che avviene informalmente fra il Consiglio (e il Consiglio europeo) e il Parlamento europeo, che interviene con propri orientamenti politici anche prima della presentazione da parte della Commissione europea della proposta di regolamento, come ha fatto quest’anno con due risoluzioni frutto del lavoro di tutte le commissioni parlamentari e con l’attività costante di due co-relatori del Ppe (Siegfried Muresan) e dei Socialisti (Carla Tavares) le cui posizioni sono largamente convergenti.
Lo stesso Parlamento europeo ha elaborato, del resto, molte proposte negli anni sulle risorse proprie, fin da quando fu istituito nel 1980 un gruppo di lavoro su proposta di Altiero Spinelli, che presentò e fece approvare dall’Assemblea un rapporto che conserva ancora oggi una stringente attualità, con iniziative a cui si sono in parte ispirati, ampliandole, il Movimento europeo e il Centro studi sul federalismo.
Il secondo settore è quello della politica estera e della sicurezza, che comprende anche la dimensione della difesa comune, a cui è dedicato tutto il titolo V del Trattato sull’Unione europea, in cui un ruolo quasi esclusivo è attribuito al Consiglio europeo e al Consiglio, con l’introduzione a Lisbona dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica della sicurezza (dal 2024 Kaja Kallas), che «consulta regolarmente il Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte fondamentali della Pesc e della difesa comune», che ha sostituito l’Alto rappresentante per la Pesc istituito ad Amsterdam, e il Servizio europeo per l’azione esterna, a cui la seconda Commissione von der Leyen ha aggiunto un commissario europeo per la difesa e lo spazio (Andrius Kubilius).
Al di là della consultazione e dell’informazione, il Parlamento europeo è escluso da qualunque procedura di decisione – anche se ha avviato, fin dalla sua origine, una crescente attività politica ed ha istituito nel luglio 2024 una commissione sulla difesa comune (Sede), che ha sostituito la sottocommissione della commissione affari esteri – e la prospettiva di una difesa comune, in primo luogo nella dimensione industriale e poi nella dimensione propriamente militare, si sta sviluppando su iniziativa della Commissione europea e del Consiglio, a partire da basi giuridiche (art. 122 TFUE) che non prevedono il coinvolgimento del Parlamento europeo e anche dei parlamenti nazionali.
Se fosse seguita l’idea della costituzione di un piano di riarmo europeo, secondo un modello intergovernativo, come è stato proposto dalla Commissione europea con il progetto Readiness 2030 (ex Rearm Europe), si tratterebbe principalmente di fondi pubblici nazionali, mobilitando capitali privati e della Bei, che sfuggirebbero al controllo del Parlamento europeo, mentre passerebbero dai parlamenti nazionali attraverso l’approvazione dei documenti di programmazione economico-finanziaria e del livello di debito pubblico, comunque autorizzato dalla Commissione europea anche sulla base di prestiti europei.
Un altro metodo potrebbe essere invece adottato se si seguisse la via di una nuova Comunità europea di difesa o una Schengen della difesa aperta a un gruppo inizialmente più limitato di paesi, sulla base di un trattato parallelo ai trattati europei, in cui si potrebbe inserire un ruolo significativo delle istituzioni europee nel quadro di una Comunità politica europea, dove il Parlamento europeo potrebbe essere uno spazio trasparente di controllo democratico, come avviene con la Bce e la presidenza dell’Eurogruppo per la politica monetaria, e la Corte di giustizia potrebbe controllare il rispetto della cooperazione leale fra gli Stati membri e delle regole del Trattato.
Sulla base di queste considerazioni relative ai settori della politica fiscale, del bilancio e della politica estera e della sicurezza, che comprende la dimensione della difesa comune, e partendo dal principio della democrazia rappresentativa e della sua attuale zoppia europea, nella prospettiva di passare da una costituzione materiale a una costituzione formale con un processo costituente, noi rilanciamo l’idea della convocazione di assise interparlamentari, come quelle che si svolsero a Roma nel novembre 1990, alla vigilia delle Conferenze intergovernative che sfociarono nel Trattato di Maastricht.
Alle assise interparlamentari dovrebbero essere invitati i rappresentanti delle assemblee legislative elettive regionali e osservatori dei parlamenti dei paesi candidati all’adesione, così come avvenne in occasione della Conferenza sul futuro dell’Europa nel 2002-2003, ed essere affiancate da una conferenza di organizzazioni della società civile e dei partner sociali, secondo un modello di democrazia partecipativa.
Le assise interparlamentari dovrebbero essere promosse dal Parlamento europeo insieme alla presidenza della conferenza dei presidenti dei parlamenti nazionali, entro il 2027, in tempo utile prima che il negoziato sul Quadro finanziario pluriennale entri nel vivo delle trattative fra i governi e in vista degli accordi sui contenuti relativi alla difesa comune come strumento di una politica estera al servizio della pace, prevedendo in agenda anche i temi delle conseguenze istituzionali dell’allargamento e dei rapporti Draghi, Letta e Niinistö. Così facendo, si rafforzerebbe la dimensione della democrazia rappresentativa e si aprirebbe la via indispensabile verso la riforma dell’Unione europea, vent’anni dopo la firma del Trattato di Lisbona.
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