Le svastiche della Guardia Costiera americana, e le coccole di Trump agli estremisti

Novembre 23, 2025 - 07:30
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Le svastiche della Guardia Costiera americana, e le coccole di Trump agli estremisti

Negli Stati Uniti di Donald Trump i simboli d’odio non sono più considerati un pericolo. La Guardia Costiera americana ha aggiornato le sue politiche interne su svastiche, bandiere confederate e altri loghi riconducibili al suprematismo bianco stabilendo che, dal 15 dicembre, saranno classificati semplicemente come «potenzialmente divisivi». Una categoria che, a differenza della precedente (erano vietati), non prevede automaticamente la rimozione né impone procedure disciplinari chiare. La distinzione tra cosa è “vietato” e cosa solo “potenzialmente divisivo” è dirimente: non tutte le situazioni verranno trattate allo stesso modo, e la valutazione dipenderà dai livelli intermedi della catena di comando.

Una parte dell’amministrazione Trump ha provato a smentire. Il Dipartimento della Sicurezza Interna (Dhs) è stato perfino aggressivo nei toni: «Una menzogna assolutamente ridicola», ha detto la portavoce Tricia McLaughlin su X. Ma le nuove istruzioni, descritte in un documento intitolato “Prevenzione, risposta e responsabilità dei comportamenti molesti”, sono state firmate il 13 novembre dal contrammiraglio Charles E. Fosse.

Il nuovo regolamento non si limita a declassare i simboli d’odio, tra cui anche il cappio, ma elimina del tutto il concetto di hate incident, e introduce un limite di quarantacinque giorni per segnalare la presenza di uno di questi simboli. Quest’ultimo non è un dettaglio marginale: le operazioni della Guardia Costiera possono durare per settimane, anche mesi, e questo rende sconveniente fare una segnalazione di questo tipo. Per un ufficiale della Guardia Costiera, citato dal Washington Post, questa modifica è «agghiacciante»: «Se sei ebreo o nero, e il tuo compagno di nave ha una svastica vicino alla branda, e sarete bloccati insieme in mare per due mesi, ti sentirai davvero al sicuro a segnalarlo?».

Dall’inizio dell’anno, la Guardia Costiera è diventata un laboratorio delle politiche più estremiste dell’amministrazione Trump. Già a gennaio è stata licenziata la comandante Linda Fagan, prima donna alla guida di una forza armata, accusandola di insistere troppo sulla diversity e sul contrasto alle violenze sessuali. Poi è stato nominato Kevin Lunday, che ha immediatamente sospeso le policy su molestie e comportamenti aggressivi. Adesso è arrivata la revisione dei regolamenti sui simboli d’odio.

La senatrice democratica Jacky Rosen ha chiesto che il nuovo documento venga bloccato dal Congresso prima dell’entrata in vigore: «Con l’antisemitismo in aumento negli Stati Uniti e nel mondo, indebolire le norme che contrastano i crimini d’odio manda un messaggio sbagliato e mette a rischio la sicurezza dei membri della Guardia Costiera».

La discussione non riguarda solo una questione semantica. Il nuovo regolamento apre uno spazio interpretativo che può degenerare in paura di denunciare violenze e aggressioni, tensioni interne, fino a una normalizzazione dell’estremismo.

Le novità introdotte dalla Guardia Costiera, come nelle altre forze armate, sorprendono fino a un certo punto. Questo tipo di direttive accondiscendenti con le più oscure pulsioni neonaziste del popolo americano sono un motivo ricorrente del secondo mandato di Trump.

A settembre il segretario alla Difesa Pete Hegseth aveva denunciato come «eccessivamente ampie» le norme su razzismo ed estremismo nelle altre forze armate, sostenendo che ostacolassero il reclutamento e l’efficienza operativa.

Non potendo sostituire tutti tutti i federali con altrettanti Jake Angeli – lo sciamano con le corna da bufalo nell’assalto a Capitol Hill – l’amministrazione Trump sta procedendo con una politica di piccoli passi (sebbene molto rapidi), in cui le simpatie per posizioni politiche estreme e antidemocratiche vengono incoraggiate e anche premiate.

Ad esempio Peter Hayes, professore emerito alla Northwestern University in Illinois e autore di numerosi studi sul partito nazista, ha già fatto notare come i paragoni tra l’amministrazione Trump e il Terzo Reich siano paradossalmente «esagerati», ma anche «sempre più pertinenti». Esagerati perché Trump non ha preso di mira un gruppo etnico specifico come la radice di tutti i mali del mondo. Ma ha moltiplicato gli attacchi contro tutti quelli che considera nemici interni, che devono essere rimossi dal corpo politico dello Stato, e mostra, proprio come Hitler, un’assoluta certezza del proprio genio unita a una spietata determinazione nel rimuovere qualsiasi impedimento al raggiungimento dei suoi obiettivi.

Anche la politica estera viene piegata in questa direzione. Lo scorso marzo, Giuliano Cazzola aveva rilevato su queste pagine un parallelismo tra la Germania di allora e gli Stati Uniti di oggi, guardando alla gestione del dossier ucraino da parte di Trump. Il 26 settembre del 1943 Herbert Kappler, Maggiore delle SS e della polizia segreta a Roma, aveva intimato ai vertici dell’ebraismo romano e italiano che se non gli fossero stati consegnati cinquanta chili d’oro entro trentasei ore, duecento membri della Comunità sarebbero stati deportati. La raccolta venne organizzata in tempi brevissimi. Il 29 settembre l’oro raccolto venne portato al comando tedesco, nella convinzione della comunità ebraica di avere così scongiurato il peggio. Ma era un’illusione: la deportazione sarebbe iniziata poco dopo. Per garantire la sicurezza dell’Ucraina nel 2025, Donald Trump ha superato di gran lunga il maggiore Kappler, in quanto imponendo al governo di Kyjiv un accordo capestro per lo sfruttamento delle terre rare delle miniere del Donbas, il tutto per un valore stimato di cinquecento miliardi di dollari.

I punti di contatto tra i due sistemi sono macroscopici: il nazionalismo, il mancato rispetto degli oppositori politici, le minacce alla stampa, la repressione dei dissidenti, in particolare degli studenti. Ma una serie di analogie non corrisponde alla totale identità. Per quanto Trump abbia più volte fatto sapere di apprezzare chi, tra le fila dei suoi elettori si dichiara apertamente fascista – come i Proud Boys –, per il momento siamo ancora nel campo delle somiglianze. E per fortuna la democrazia americana, per quanto scricchiolante, ha ancora dalla sua parte pesi e contrappesi molto validi. Tra un anno gli Stati Uniti avranno compiuto duecentocinquanta anni e il mandato di Trump avrà superato il giro di boa. Le elezioni di midterm di novembre 2026 potrebbero rendere il presidente un’anatra zoppa consegnando al Partito Democratico la maggioranza in almeno uno dei due rami del Congresso. A quel punto diventerebbe molto più difficile per gli estremisti Repubblicani solleticare gli istinti neofascisti della nazione, a partire dalle forze armate.

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Redazione Redazione Eventi e News