L’Hitler ebreo e comunista eroe dell'Unione Sovietica

Ottobre 8, 2025 - 17:00
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L’Hitler ebreo e comunista eroe dell'Unione Sovietica

AGI - Hitler era ebreo e comunista, e durante l’Operazione Barbarossa era schierato dalla parte di Stalin. Fu ucciso in battaglia a Sebastopoli nel 1942, dai soldati tedeschi che neanche se ne accorsero. Non è fantascienza ma storia, quella rimasta nelle pieghe della narrazione del passato, con uno scherzo del destino e uno straordinario incrocio di coincidenze. Semën (Semion) Hitler era nato il 3 marzo 1922 in un villaggio ucraino, Orynyn, luogo lontanissimo dall’Austria di Braunau sull’Inn dove aveva visto la luce Adolf. Che tra i due non vi fosse neppure una goccia di sangue in comune è certo, in quanto il cognome Hitler era spuntato fuori dalla storia familiare del dittatore per caso e in maniera contorta. Il padre Alois si chiamava infatti Schicklgruber e portava il cognome materno perché di genitore ignoto, e solo in età adulta chiese e ottenne il riconoscimento. Attraverso una serie di contaminazioni nelle registrazioni anagrafiche di Hüttler, Hiedler, Hidler, per volontà di Alois divenne Hitler, perché suonava più secco e deciso, e si adattava meglio al suo ruolo di ufficiale delle dogane e al suo carattere autoritario. E lo trasmise ai figli avuti da due mogli, tra cui Adolf, tutti battezzati nella fede cattolica. 

"Sparò fino a esaurire le munizioni. Annientò più di cento militari della Wehrmacht"

Ben diversa la vicenda di Semën Konstaninovič Hitler, di famiglia ebraica, originario dell’oblast di Khmelnjtskij, che dopo aver fatto parte del Komsomol a 19 anni nel 1941 era stato arruolato in un’unità di mitraglieri dell’Armata Rossa e terminato l’addestramento a Odessa era stato mandato a combattere contro i tedeschi. Il suo nome spunta fuori durante la difesa di Tiraspol, quando si mette in luce per uno straordinario valore, viene ferito in combattimento e indicato dai suoi superiori per ricevere la Medaglia al coraggio. Il giovane soldato appartiene al 73° battaglione mitraglieri schierato sull’ala sinistra del fronte di 150 chilometri tenuto dai reparti dell’Armata Rossa, nella città fortificata di Tiraspol. Qui, dal 20 luglio, divamparono feroci scontri con i tedeschi che tra il 25 e il 26 riuscirono a superare il fiume Dniestr e sfondare le linee sovietiche, costringendo i russi alla ritirata. La zona di Dot, presidiata dal battaglione di Hitler, era stata circondata. Come racconta la motivazione della sua medaglia d’argento, il mitragliere "sostenne l’avanzata del suo plotone con il fuoco. Una volta circondato e ferito, il compagno Hitler sparò fino a esaurire le munizioni. Dopodiché, senza abbandonare le armi, raggiunse i suoi soldati e annientò in totale più di cento militari della Wehrmacht".

Il cambio sui documenti della “r” finale con una “v”

Il 14 agosto 1941, effettuato il ripiegamento, al comandante del battaglione mitraglieri di Tiraspol venne ordinato di stilare un elenco di militari da decorare, e si ritrovò il soldato semplice Semën Hitler. Con imbarazzo lasciò che fossero i superiori a gestire la situazione e a decidere fu il 9 settembre 1941 il tenente generale Georgij Pavlovič Sofronov, comandante dell’Armata del Litorale. Sul documento rilasciato assieme alla medaglia d’argento con il profilo di un carro armato, come deliberato dal Soviet Supremo nel 1938 per un «atto di coraggio sul campo di battaglia, nella difesa dei confini o nell’adempimento del proprio dovere in situazioni di pericolo», era scritto ovviamente in cirillico Hitler, ma sul retro invece appariva Hitlev. Un errore di trascrizione, o una voluta forzatura anagrafica? Fatto sta che da quel momento Hitler spariva da ogni documento del soldato che era diventato Hitlev. Il giovane Semën rientrerà al reparto ma sopravviverà pochi mesi: sarà ucciso nella difesa di Sebastopoli il 3 luglio 1942. 

Il cognome come salvacondotto dalla Shoah 

Il cognome Hitler tornerà utile alla famiglia nel momento in cui il villaggio ucraino dove vivevano era stato occupato dalla Wehrmacht, ed era scattata la caccia agli ebrei del ghetto e ai lavoratori coatti. Quando avevano presentato i documenti alle autorità naziste, all’udir pronunciare e al leggere il nome Hitler nessuno si assunse la responsabilità di decidere della deportazione o peggio dell’eliminazione, e così gli Hitler ucraini sopravvissero alla guerra e alla Shoah. Nel 1945 adottarono ufficialmente il nome Hitlev e appena possibile emigrarono in Israele. 

Le ipotesi di scambio del figlio di Stalin col nipote del Führer 

Un altro Hitler si trovava in Urss negli stessi tempi dell’omonimo soldato ebreo, e stavolta il legame di sangue con Adolf era certo. Si trattava di Heinz Hitler, figlio del fratellastro del dittatore, Alois junior, e della seconda moglie Hedwig Heidelmann. Era sottufficiale del 23° reggimento di artiglieria ed era stato preso prigioniero il 10 gennaio 1942. Il nome scritto sul tesserino segnò la sua fine. Sarà sottoposto a continue sevizie nel carcere moscovita di Butyrka dove morirà il 21 febbraio. Nelle mani dei tedeschi era invece caduto il 7 luglio 1941 durante la battaglia di Smolensk il tenente d’artiglieria Jakov Džugašvili: il figlio di Stalin. Si disse all’epoca che vi fossero trattative segrete per ottenerne la liberazione. A Stalingrado prigioniero dei sovietici era finito nel gennaio 1943 l’ingegnere della Luftwaffe Leo Raubal, fratello di Geli, nipote di Hitler. I rapporti con lo zio erano pessimi e Leo lo incolpava di aver provocato il suicidio della sorella. Stalin si oppose a ogni ipotesi di scambio. Per quanto riguardava il figlio, che disprezzava, disse che si rifiutava di liberare un generale come Friedrich Paulus in cambio di un semplice soldato; lasciò cadere la cosa per quanto riguardava Raubal che potrà tornare in Austria solo nel 1955. 

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Redazione Redazione Eventi e News