L’illusione dell’effetto Bruxelles non basta più a salvare la nostra Unione

Settembre 19, 2025 - 04:00
 0
L’illusione dell’effetto Bruxelles non basta più a salvare la nostra Unione

Meno di un secolo fa, nel 1942, Stefan Zweig, nella stanza d’albergo del suo esilio forzato in Brasile, completava le sue “Memorie di un europeo”. In quelle pagine descriveva con nostalgia l’Europa in cui era cresciuto e che non esisteva più: «Quando tento di trovare una formula semplice per il periodo in cui sono cresciuto, spero di renderne la pienezza chiamandolo “Età d’oro della sicurezza”. Tutto, nella nostra monarchia austriaca millenaria, sembrava fondato sulla permanenza, e lo Stato stesso era il principale garante di questa stabilità. Nessuno pensava a guerre, a rivoluzioni o a rivolte. Tutto ciò che era radicale, ogni violenza, sembrava impossibile in un’epoca di ragione».

Ciò che sembrava impossibile divenne presto un destino tragico: due guerre mondiali scoppiarono in rapida successione, infrangendo secoli di stabilità apparentemente immutabile. Quella storia fa rima con il nostro presente. Il 16 settembre 2025, Mario Draghi ha denunciato l’evidenza che in pochi ammettono: a un anno dalla pubblicazione della sua agenda per la competitività europea, la nostra Unione si trova in una «situazione più difficile». Come direbbe un altro presidente, la nostra Europa è diventata ancora più mortale.

L’Europa è stretta tra due sfere d’influenza, gli Stati Uniti e la Cina; siamo più dipendenti dalla loro tecnologia e dalla loro energia, mentre il nostro modello di crescita diventa obsoleto e il nostro tasso di crescita non sostiene una popolazione che invecchia. Il futuro dell’Europa dipende da una scelta tra coraggio e ignavia. Ma cosa dovrebbero fare i nostri leader, ora?

Prima di tutto, come europei, dobbiamo ammettere che la nostra realtà politica è cambiata: non siamo al livello di competitività a cui eravamo abituati. Abbiamo bisogno di buon senso per recuperare questa condizione perduta.

Il buon senso richiede anche mezzi sufficienti per raggiungere obiettivi realistici. Oggi l’Europa è al massimo una confederazione di Stati troppo scoordinati per agire come un’Unione. Di conseguenza, non ha la forza geopolitica, né la coesione interna, né l’indipendenza tecnologica ed energetica per essere un competitor di Stati Uniti e Cina. A oggi non possiamo pretendere di imporci come sfera di influenza globale.

Il buon senso richiede anche che le giuste capacità siano investite nel giusto settore. Quando si tratta di innovazione, ad esempio, «l’implementazione deve spettare a esperti – non a burocrati», come Mario Draghi ha giustamente affermato. Ciò richiede la creazione di nuove istituzioni, ispirate alla Darpa americana, l’agenzia responsabile della nascita di internet e del Gps. Che gli innovatori abbiano la libertà di innovare, scommettendo in modo mirato su programmi scientifici e tecnologici. Questi programmi sono ad alto rischio, ma soprattutto ad alto potenziale di rendimento, capaci di generare svolte economiche e sociali, come ha fatto internet.

Infine, con onestà e umiltà, devono essere accompagnate dal pragmatismo, invocato tante volte da Draghi. Il buon senso impone di fare scelte, perché ambizioni senza mezzi proporzionati sono semplici illusioni.

Le nostre istituzioni più importanti spesso hanno già gli strumenti per fare la differenza, ma scelgono di non usarli. Ad esempio, un procurement pubblico di dimensioni significative, pari al quattordici per cento del Pil dell’Ue, può diventare uno strumento per stimolare l’innovazione. Se utilizzato per ridurre il rischio nei mercati delle tecnologie emergenti e accelerare la crescita di startup, il procurement pubblico può attrarre più capitale privato nelle industrie del futuro. Invece viene trattato come un distributore automatico regolato da processi complessi, troppo assurdi per essere attrattivi.

Ciò che manca ai leader europei è il coraggio di dare agli innovatori l’autonomia per innovare, «di rompere i nostri tabù… e rimuovere vincoli autoimposti», per usare le parole di Draghi. Se la storia è una tensione tra continuità e cambiamento, oggi il buon senso impone all’Europa di innovare e innovarsi.

Questo buon senso richiede coraggio. Richiede scommesse mirate sulle tecnologie esponenziali che definiranno il nostro futuro. Applicare vecchi metodi per regolare la concorrenza a nuove industrie che seguono logiche diverse è una ricetta per l’obsolescenza programmata del continente.

Continuare a illudersi che l’effetto Bruxelles abbia una leva geopolitica in un mondo in cui gli Stati Uniti dettano la politica digitale europea e la Cina ha aumentato il suo surplus commerciale è illusorio.

Quando ascolto i discorsi dei leader europei, sembra spesso che l’Europa stia affrontando il dilemma dell’innovatore: perché cambiare ciò che funziona quando sei leader di mercato? In realtà, oggi l’Europa affronta il dilemma della rana bollita: la temperatura sta raggiungendo un punto letale e non stiamo saltando abbastanza in fretta per salvarci.

L’Unione europea in cui viviamo è nata da un atto di coraggio, una visione audace che ha superato la fine dell’Età dell’oro della sicurezza e lo scoppio di due guerre mondiali. Il nostro presente richiede la stessa leadership.

Sono nato europeo, cresciuto europeo, ho servito come funzionario europeo e continuo a lavorare nella speranza che gli ideali europei sopravvivano ai nostri cambiamenti storici. Ma essere europeisti oggi deve essere diverso: significa essere scettici del funzionamento di istituzioni che non funzionano più nel mondo di oggi. Senza coraggio e buon senso, noi europei dovremo riscrivere il mondo di Zweig. Ovvero: il mondo di ieri.

L'articolo L’illusione dell’effetto Bruxelles non basta più a salvare la nostra Unione proviene da Linkiesta.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News