Macchine utensili, l’allarme di Ucimu: ordini fermi, l’export frena e l’automotive è un’incognita

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Macchine utensili, l’allarme di Ucimu: ordini fermi, l’export frena e l’automotive è un’incognita
Nel terzo trimestre del 2025 gli ordini di macchine utensili sono sostanzialmente stabili. I dati Ucimu mostrano un debole recupero sul mercato interno e un calo dell’export, frenato dalla crisi dell’automotive e dai dazi USA. L’associazione chiede misure di politica industriale adeguate ed efficaci.

Per i costruttori di macchine utensili non è un periodo particolarmente brillante. Il terzo trimestre del 2025 fa registrare ordini sostanzialmente stabili (+1,1%) rispetto allo stesso periodo del 2024. Ma non è una buona notizia. I dati elaborati dal Centro Studi & Cultura di Impresa di Ucimu – Sistemi per Produrre, l’associazione dei costruttori italiani del settore, sono migliori per il mercato interno, che mostra segnali di ripresa (+12,4%), mentre registrano un mercato estero in netta contrazione (-7,7%). Nell’insieme però il valore assoluto dell’indice si colloca a quota 53,3 rispetto alla base 100 del 2021: poco più della metà.
Il tutto in uno scenario preoccupante, tra la crisi dell’automotive europeo, le incertezze geopolitiche e la necessità di una politica industriale chiara per il biennio 2026-2027.
“Il contesto nel quale ci troviamo ad operare – ha commentato Riccardo Rosa, il presidente di Ucimu-Sistemi per Produrre – è davvero complicato. L’Europa soffre profondamente la crisi tedesca e l’instabilità geopolitica determinata dal conflitto tra Russia e Ucraina. In particolare, la transizione elettrica del motore ha innescato un pesante ridimensionamento dell’attività manifatturiera: i carmakers europei non investono perché non è chiaro cosa accadrà in futuro e le aziende della filiera annunciano con cadenza quasi quotidiana la chiusura di impianti e tagli del personale”.
L’andamento di mercato interno ed estero
Anche se la raccolta ordini sul mercato domestico ha registrato un incremento a doppia cifra, il suo valore assoluto si attesta a 15,4 (base 100 nel 2021), un livello che segnala una domanda decisamente asfittica. “Anche se questa ultima rilevazione conferma l’andamento positivo della domanda interna, il valore assoluto dell’indice mostra che la stessa è ancora molto debole”, ha commentato Rosa.
Il timido rimbalzo della domanda interna riesce poi a malapena a compensare il calo dell’attività oltreconfine, che storicamente rappresenta il polmone del settore. L’indice degli ordini esteri scende del 7,7%, ma si posiziona su un valore assoluto di 87,1 (sempre su base 100 del 2021), a testimonianza del peso preponderante delle esportazioni per i costruttori italiani.
Nell’insieme il valore assoluto dell’indice degli ordini a quota 53,3 evidenziando di fatto che l’attività siano oggi la metà rispetto al 2021.
La transizione elettrica e il fantasma della desertificazione industriale
Il nodo più complesso da sciogliere riguarda il principale settore di sbocco per le macchine utensili: l’automotive. La transizione verso la mobilità elettrica, anziché generare nuove opportunità di investimento, sta provocando un “pesante ridimensionamento dell’attività manifatturiera”, secondo le parole di Rosa. L’incertezza sul futuro della propulsione sta inducendo i grandi costruttori europei a congelare gli investimenti, con ripercussioni a cascata su tutta la filiera. “I carmakers europei non investono perché non è chiaro cosa accadrà in futuro e le aziende della filiera annunciano con cadenza quasi quotidiana la chiusura di impianti e tagli del personale”, ha sottolineato il presidente di Ucimu.
La paralisi degli investimenti in un settore così importante non può essere assorbita dalla domanda proveniente da settori alternativi, tradizionalmente di dimensioni inferiori. La preoccupazione di Ucimu è che questa dinamica possa innescare un processo di “desertificazione industriale del Vecchio Continente”. Per questo, l’associazione chiede un approccio più pragmatico da parte delle istituzioni comunitarie, suggerendo “un allungamento dei tempi della transizione verso la mobilità green e un ragionamento ponderato su forme alternative di propulsione”, garantendo così il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità senza sacrificare il tessuto produttivo, le fabbriche e i posti di lavoro che costituiscono la spina dorsale dell’industria europea.
Dazi USA e instabilità globale: le sfide per l’export
Se l’Europa soffre, il resto del mondo non offre un quadro più rassicurante. Negli Stati Uniti, che finora avevano rappresentato un mercato solido, iniziano a emergere segnali di difficoltà. Rosa ha evidenziato come si stiano registrando “alcuni casi di aziende italiane in difficoltà con le consegne di macchinari destinate agli USA, a causa dei dazi”.
Il clima di incertezza, alimentato dalle politiche commerciali dell’amministrazione americana, sta avendo un effetto frenante sull’export, come testimoniato dal calo degli ordini esteri. A questo si aggiunge la debolezza strutturale della Germania, hub manifatturiero europeo, e l’instabilità geopolitica legata al conflitto tra Russia e Ucraina, che continuano a pesare sulle catene globali del valore.
Politica industriale: archiviato il 5.0, serve una strategia per il 2026-2027
Gli occhi delle imprese sono comprensibilmente puntati sulle prossime mosse del governo. Finita la stagione del piano Transizione 5.0, archiviato dagli industriali con un giudizio non del tutto positivo, le imprese chiedono strumenti realmente efficaci per sostenere l’ammodernamento tecnologico degli impianti.
La richiesta di Ucimu al Governo è l’introduzione di un’unica misura, preferibilmente sotto forma di credito d’imposta, anche se in realtà arrivano indicazioni di un ritorno dell’iperammortamento. Indipendentemente da questo, Ucimu chiede una misura che possa includere una premialità per i macchinari “Made in EU”, per rafforzare la filiera produttiva continentale.
Due elementi – dice Rosa – saranno determinanti per il successo del nuovo piano: la tempistica e le risorse. “Chiediamo che il provvedimento sia operativo da inizio anno, evitando l’effetto di attesa esasperata che abbiamo vissuto con il 5.0”, ha detto Rosa. Sulla dotazione, la crescente pressione competitiva dell’offerta asiatica e l’instabilità generale richiedono un intervento con risorse adeguate a sostenere la trasformazione digitale delle fabbriche italiane, vero fattore differenziante per la competitività futura del manifatturiero.
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