Non solo AI: i trend del settore Manifatturiero nell’era della doppia transizione

Settembre 16, 2025 - 21:30
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Non solo AI: i trend del settore Manifatturiero nell’era della doppia transizione

SCENARI

Non solo AI: i trend del settore Manifatturiero nell’era della doppia transizione



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La manifattura italiana affronta la doppia transizione digitale e sostenibile cercando di trasformare le sfide in opportunità. Dal XVII Convegno Aitem un’analisi su come le tecnologie avanzate – dai sensori intelligenti ai robot collaborativi, dall’AI alla simulazione e al digital twin, fino all’additive manufacturing – stiano riscrivendo le regole della produzione, spostando il valore dal prodotto al servizio e aprendo a nuovi modelli di business. Un’opportunità da sfruttare anche per non perdere la sfida della competizione globale.

Pubblicato il 16 set 2025



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Il settore manifatturiero investe nelle tecnologie 4.0 sulla spinta, quasi esclusiva, dell’esigenza di efficientare i processi interni e i costi (56%) e di migliorare la qualità (22%). Il dato che emerge dalla recente indagine di Unioncamere e del Centro Studi Tagliacarne, relativo alle intenzioni di investimento per il triennio 2025-27, ha fatto da sfondo al dibattito sulle traiettorie tecnologiche che attendono (e ispirano) l’industria nel corso di un panel del XVII Convegno Aitem – Associazione Italiana delle
Tecnologie Manifatturiere, ospitato quest’anno al Politecnico di Bari, che ha visto partecipare esponenti di aziende fornitrici di tecnologie abilitanti, OEM e aziende manifatturiere utilizzatrici di queste tecnologie.

Se da un lato le intenzioni di investimento segnalano una vitalità del tessuto produttivo, con il Sud e le Isole che mostrano una propensione superiore alla media nazionale (35% contro 33%), dall’altro emergono ostacoli ormai noti ma non per questo meno critici: la mancanza di competenze (27,7%) e le risorse economiche insufficienti (25,9%).

Dal dibattito è emerso che la partita della competitività non si gioca solo sul versante delle tecnologie, ma sull’integrazione di sistemi complessi e, soprattutto, sulla ridefinizione dei modelli di business. La sfida insomma è ripensare il modo in cui si genera valore, coniugando performance (efficienza ed efficacia sul mercato), sostenibilità e un livello di servizio che diventi strumento di differenziazione competitiva.

L’impatto reale dell’intelligenza artificiale

Al di là delle narrazioni più estreme, che oscillano dal catastrofismo alle visioni salvifiche, possiamo sicuramente dire che l’intelligenza artificiale si sta affermando in fabbrica come uno strumento in grado di risolvere alcuni problemi concreti. Lo dimostra l’approccio di SKF, multinazionale svedese dei cuscinetti con un importante stabilimento a Modugno. Come spiega Maurizio Clemente, SKF Manager, Connectivity, Data & AI, l’azienda sta lavorando su tre direttrici principali: “Sistemi di visione AI-based per migliorare la precisione dei controlli qualitativi, liberando gli operatori da attività ripetitive; predictive maintenance e predictive quality, per anticipare guasti e deviazioni qualitative; e process optimization, utilizzando il machine learning per ottimizzare in tempo reale i parametri dei macchinari, ad esempio riducendo i consumi energetici dei forni per il trattamento termico”. L’obiettivo, sottolinea Clemente, è fare in modo che l’AI “non sia soltanto una tecnologia, ma un vero acceleratore del valore operativo per l’azienda”.

Questa visione trova applicazione concreta anche a livello locale. Lo testimonia Giuliano Tornese, Manufacturing Engineering & Maintenance Manager dello stabilimento SKF di Modugno, che ha sottolineato come la spinta verso la sostenibilità si sia tradotta in “autoproduzione di energia tramite cogenerazione, fotovoltaico e geotermico, con l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2030”. Sul fronte digitale, l’obiettivo è “il monitoraggio del processo dall’ingresso dei componenti fino al prodotto finito, riducendo le attività a basso valore aggiunto e abilitando la manutenzione predittiva”.

Un approccio che parte dal dato è anche quello di Martur Fompak, azienda che sviluppa tecnologie per l’automotive interior con un centro di eccellenza a Modugno. Vincenzo Quatraro, Artificial Intelligence Specialist, spiega come l’AI stia cambiando la progettazione e la simulazione: “Solo imparando a trattare il dato a livello ‘atomico’ è possibile ottenere risultati concreti in termini di ottimizzazione”. Un esempio? “Per una simulazione di crash test di un sedile, che richiedeva 44 minuti, con un sistema AI addestrato su dati specifici abbiamo ottenuto 10.000 possibili combinazioni con esito positivo in soli 12 secondi”. L’intelligenza artificiale, se governata correttamente, può quindi effettivamente aiutare a comprimere i cicli di sviluppo.

Anche nel campo dell’automazione l’AI sta diventando fondamentale per aumentare la reattività, una necessità imposta da un mercato che chiede lotti sempre più piccoli. Come risponde un fornitore di tecnologia? Carmine Leone, Manager Coordinator dell’area Centro Sud di Omron, utilizza una metafora calcistica per descrivere la tecnologia Automation Playback: “È il VAR del processo produttivo. Nel momento in cui si verifica un’anomalia, spesso non ripetibile, il sistema permette di mappare tutte le variabili, sincronizzandole con un flusso video, per ricostruire le cause esatte dell’evento e intervenire in modo mirato”. L’obiettivo, aggiunge, è rendere l’AI accessibile, perché “richiede competenze che il settore manifatturiero dichiara di non avere”. La soluzione passa quindi per algoritmi di edge computing, integrati direttamente nel controllore di macchina, come l’ultimo nato Sysmac-Edge DX1 Data Flow Controller, che richiedono un numero minore di immagini per essere addestrati e supportano concretamente il lavoro quotidiano.

La robotica diventa smart e accessibile

Se l’AI è il ‘cervello’, la robotica ne è sempre più il ‘braccio’ intelligente. Un settore che, secondo i dati Unioncamere, si posiziona al secondo posto per intenzioni di investimento (24,8%). Lungi dall’essere una tecnologia matura, la robotica sta vivendo una nuova giovinezza grazie all’integrazione di sensori e intelligenza, che la rendono più collaborativa e flessibile. Secondo Emanuele Cannella, R&D Mechanical Engineer di G-Nous Tech, l’obiettivo è “facilitare l’ingresso di queste tecnologie all’interno delle aziende”. Cosa che avviene integrando nei robot collaborativi “camere e sensori i cui dati vengono usati attivamente dal robot per retroazionare comportamenti differenti a seconda dell’obiettivo”, rispondendo così alle esigenze di flessibilità e ai mix produttivi tipici delle PMI.

Oltre il prodotto, il valore è nel servizio e nei dati

Uno dei trend citati nel corso della discussione è la transizione da un modello di business basato sulla vendita del prodotto a uno incentrato sull’erogazione di servizi ad alto valore aggiunto, la cosiddetta servitizzazione. Per un costruttore di macchine utensili come FPT Industrie, questo significa un cambio di paradigma nel rapporto con il cliente. “Ormai non forniamo più un oggetto stand alone”, spiega Marco Marchiori, Project Manager. “Stiamo spostando il focus dal solo prodotto al prodotto più servizio: siamo costantemente collegati con i macchinari installati nelle fabbriche dei nostri clienti. E questo ci permette di offrire servizi a valore aggiunto, come la manutenzione predittiva che migliora la competitività dei nostri clienti”.

Un’evoluzione ancora più spinta è quella del gruppo vicentino Tema Automazioni, al cui interno è nata MOOV3 per risolvere il problema della lavorazione di componenti custom in lotti unitari, servizio che ha poi messo a disposizione del mercato. All’interno del gruppo un ulteriore step è stato fatto da un’altra consociata, la Sima, che si è spinta ad offrire un servizio di “hosted manufacturing”. Come spiega Simone Scacco, titolare di MOOV3: “Con Sima non solo vendiamo la linea di assemblaggio al cliente, ma la teniamo al nostro interno gestendo noi la produzione per suo conto. Questo è reso possibile grazie alla condivisione delle competenze, un concetto che ci permette di raggiungere un’efficienza altrimenti irraggiungibile”.

Ma per abilitare questi nuovi modelli di business è necessario un layer software in grado di connettere i sistemi informativi aziendali, spesso visti ancora ‘a compartimenti stagni’. Un ruolo chiave è giocato dai sistemi MES (Manufacturing Execution System), storicamente appannaggio delle grandi imprese. Oggi, come spiega Emanuele Pansini, Technical Sales Manager & Business Developer di Key4, la sfida è “democratizzare queste tecnologie per le piccole e medie imprese”. Questo significa non solo abbattere i costi, ma soprattutto offrire “strumenti modulari e in cloud, in grado di adeguarsi alla flessibilità e ai processi scarsamente formalizzati delle PMI”, superando la rigidità delle soluzioni tradizionali.

La twin transition passa anche dalla finanza

La convergenza tra digitale e sostenibilità, o “twin transition” per usare un’espressione che ben evidenzia il legame a doppio filo tra le due transizioni digitale e green, è un altro pilastro dell’industria del futuro. Un legame tecnologico che però richiede un importante supporto finanziario. La presenza di Intesa Sanpaolo alla tavola rotonda ha sottolineato il ruolo crescente degli istituti di credito come abilitatori di questa transizione, non solo dal punto di vista finanziario ma anche culturale. “Abbiamo da tempo compreso che l’economia circolare era l’elemento distintivo del nuovo modello di sviluppo”, ha dichiarato Simona Miglietta, Direttrice di Area Imprese Puglia Sud. “Un investimento in questa direzione ha un costo iniziale, ma abbiamo dimostrato con la Fondazione Ellen MacArthur e la Bocconi che nel tempo è assolutamente compensato da un aumento di fatturato”. L’impegno della banca, ha aggiunto Miglietta, si concretizza attraverso iniziative come i Laboratori ESG, uno dei quali ospitato proprio al Politecnico di Bari, che mirano a mettere in contatto le aziende più avanzate con quelle che necessitano di un accompagnamento, e con un’azione di divulgazione per superare resistenze culturali, come è successo (e ancora succede) sul fronte della cybersecurity.

A confermare il nesso tra investimenti in tecnologie digitali e benefici in termini di sostenibilità è l’esperienza diretta di aziende come Ecotre Valente, specializzata in software di simulazione per il settore metallurgico. Cristian Viscardi, Technical Manager dell’azienda, racconta un caso emblematico legato alla crisi energetica: “Un’azienda siderurgica ci ha chiesto di ridurre del 10% i consumi di gas. Utilizzando il gemello digitale del loro impianto e ottimizzando il ciclo manifatturiero, senza cambiare i macchinari, abbiamo ottenuto un risparmio del 14%. Questo dimostra che c’è ancora tantissimo margine per queste soluzioni”. E non è un caso che, secondo i dati Unioncamere, la simulazione sia la prima tecnologia per intenzione di investimento (29,4%).

L’additive manufacturing per la produzione distribuita e sostenibile

E poi c’è la manifattura additiva, che sta evolvendo da tecnologia per la prototipazione a vero e proprio sistema di produzione industriale, abilitando nuovi modelli organizzativi. Roboze, multinazionale pugliese specializzata in stampa 3D con super polimeri, sta promuovendo attivamente la “distributed manufacturing”. Andrea Tanzi, General Manager & CHRO, spiega: “Stiamo transitando verso una creazione di offerta locale, anche in reazione ai recenti squilibri di natura geopolitica. Lo facciamo contribuendo alla creazione di smart factory con i nostri partner, fabbriche che producono dove e quando serve, abbattendo drasticamente la catena di fornitura tradizionale e i costi legati al digital warehousing”.

La sfida, però, è rendere la tecnologia scalabile per la produzione di massa. Secondo Paolo Calefati, CEO di Prima Additive, “Dobbiamo concentrarci sugli aspetti meccatronici e relativi al sistema di produzione. Abbiamo portato i processi additivi in linee completamente automatizzate che producono un disco freno ogni 19 secondi. È questa la chiave per portare queste tecnologie in produzione e competere non sul prezzo, ma sul valore aggiunto, sull’economia circolare e su nuovi modelli finanziari come il pay-per-use”.

Per le PMI che vogliono avvicinarsi a questa tecnologia senza sostenere ingenti investimenti iniziali, esistono soluzioni che ne democratizzano l’accesso. Ne è un esempio il modello proposto da Morphica, che ha creato un marketplace popolato da un migliaio di affiliati tra professionisti e aziende. Come spiega il CEO Sante Calefati, questa rete di produttori mette a disposizione le proprie macchine per rispondere a commesse on-demand, superando così uno dei limiti storici dell’additive: la scalabilità. “Se un’azienda ha bisogno di mille pezzi, allochiamo la produzione alla nostra rete, restando garanti dell’intero processo”, spiega Calefati.

Un modello di business innovativo che si innesta su una tecnologia che in alcuni settori verticali ha già raggiunto una notevole maturità. È il caso, ad esempio, del settore dentale, dove l’additive si sposa perfettamente con l’esigenza di customizzazione spinta. “Un cavo orale non può essere uguale a un altro”, sottolinea Calefati, “e l’additive sta effettivamente trasformando gli odontotecnici in avanzatissimi artigiani digitali”.

La sfida cinese: competere sul valore, non sul prezzo

La transizione tecnologica e l’avvento dei nuovi business model devono però fare i conti con uno scenario geopolitico sempre più complesso, dominato dalla competizione con la Cina. Una sfida posta con chiarezza, durante il dibattito, dal professor Tullio Tolio del Politecnico di Milano che, riferendosi ai beni strumentali, ha evidenziato la politica aggressiva di Pechino, in grado di proporre sui nostri mercati macchine a costi fino al 40% inferiori rispetto ai prodotti europei. Come affrontare una battaglia che, se giocata solo sul fronte dei costi, sarebbe già persa?

Secondo Simone Scacco, la risposta si muove su un doppio binario. Il primo è normativo: “Intanto se ci fosse un maggior controllo sul rispetto delle normative CE dei macchinari di origine cinese, che spesso non rispondono alle normative europee di sicurezza, avremmo più possibilità di giocarcela alla pari”. Il secondo piano è invece strategico e culturale: “Dobbiamo essere in grado di costruire macchine più complesse, sfruttando il nostro bagaglio di expertise e competenze. Perché dobbiamo andare sullo stesso campo della Cina? Continuiamo a essere italiani, puntando su originalità e artigianalità, un terreno sul quale loro non possono competere”.

Il ruolo della ricerca come abilitatore strategico

Se la tecnologia è il motore e la finanza il carburante, la ricerca universitaria può e deve agire da “bussola” strategica in grado di indicare la rotta, soprattutto per le PMI. È questa la visione di Michele Dassisti, professore del Politecnico di Bari e coordinatore del Comitato organizzatore del XVII convegno Aitem. L’associazione, spiega, “ha voluto fungere da stimolo per le Università italiane nel promuovere una riflessione su di un nuovo ruolo pro-attivo della Università verso il mondo imprenditoriale, diverso da quello pull on-demand”.

Si tratta di superare l’approccio reattivo per abbracciare un modello basato su “relazioni di dialogo osmotico e permanente, per stabilire una nuova alleanza alla pari, non più basata sul valore economico ma sul valore sociale”. L’obiettivo comune diventa lo sviluppo del benessere collettivo, attraverso visioni di lungo respiro.

Secondo Dassisti “è fondamentale che si avvii un dialogo programmatorio, fertile e costruttivo, tra imprese ed Università per creare visioni, immaginare scenari e quindi generare piani di azione di medio-lungo periodo da affidare ai politici per la loro attuazione”. Un’alleanza in cui l’Università, libera dalle contingenze del business, può “giocare il ruolo di attore capace di immaginare, di guardare lontano”. Solo in questo modo, conclude il professore, “riequilibrando i ruoli di Università, Impresa e Politica si potrà raggiungere nel concreto il paradigma dello sviluppo resiliente”.

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