Nularse: “Siamo ospiti di una solitudine condivisa” | Indie Talks

Ospiti è una parola che parla di reciprocità, termine che per sonorità e significato ha affascinato Nularse, tanto che si esprime così:
” Questo concetto mi ha sempre affascinato. Essere ospiti è un gesto doppio: significa accogliere, ma anche lasciarsi accogliere.
Questo è un disco che nasce da una profonda intimità, da un necessario confronto con me stesso, che però sento appartenere a tutti, perché tutti noi siamo stanze vuote abitate da sconosciuti, che un po’ alla volta accettiamo nelle nostre vite. Dentro di noi vivono pensieri, emozioni, ricordi inattesi che bussano senza preavviso. Viviamo il tempo e lo spazio come presenze di passaggio. Nulla ci appartiene davvero: siamo tutti ospiti del mondo, della vita, di un istante. E anche dentro di noi trovano dimora i sentimenti. Amori, amicizie, legami: arrivano, ci attraversano, si trasformano. Alcuni restano, altri svaniscono per lasciare spazio a ciò che verrà. Essere ospiti è un’apertura verso il mondo: abbandonare l’abitudine, uscire da sé, accogliere l’altro. È lasciarsi guidare, introdurre, talvolta proteggere. È attraversare soglie, fisiche, emotive, interiori, e imparare ad abitare lo spazio fragile dell’anima. Lì dove si entra e si lascia entrare. Dove nulla è nostro, ma tutto ci sfiora.
Volevo che questo disco fosse una sorta di concept album sulla mia interiorità, che avesse un filo conduttore che unisse tutti i brani, parlando della ricerca di sé attraverso la mancanza, il cambiamento e la memoria. Volevo che ogni canzone esplorasse un frammento dell’identità in divenire: “Lacune” è stato il primo brano ad emergere, a parlare proprio di quelle mancanze che ci definiscono tanto quanto ciò che possediamo; poi è arrivata “Deserto”, ovvero l’amore finito che lascia il vuoto; e poi tutti gli altri: la consapevolezza che non ci si conosce mai del tutto; gli ospiti interiori che abitano la nostra mente; le ombre del passato che ci seguono; le promesse fatte a se stessi; la nebbia che confonde ma protegge; e i sogni rimandati che il tempo ci ruba”
Viene spontaneo andare oltre, farsi spazio tra i pensieri e guardarsi dentro. Noi come persone, cerchiamo consigli negli altri, comunichiamo all’esterno desideri e paure, ma quando è difficile abitare in maniera pacifica il nostro corpo?
Nelle contraddizioni delle relazioni che nascono divise, per unirsi, prima di ri-separarsi il più delle volte, l’individuo cerca di trovare la sua autonomia, probabilmente anche con l’ansia di riuscire a trovare un armonia definitiva.
NULARSE X INDIE TALKS
La solitudine assomiglia più ad un’ombra che illumina un deserto o che si nasconde tra la nebbia?
Io ho sempre avuto un forte rapporto con il mare e la laguna, quindi direi che associo le mie solitudini a un’ombra immersa nella nebbia. Nella nebbia si può essere in tanti e non vedere nessuno, in una sorta di solitudine condivisa. Quando ho scritto Nebbie pensavo proprio a questo: all’essere circondati da persone ma sentirsi soli.
Questa società interconnessa paradossalmente porta all’isolamento?
Senza dubbio. Siamo sempre più separati dal resto: ormai si possiedono le cose solo in abbonamento, e solo i numeri valgono qualcosa. Mi spaventa avere le cose ma non poterle toccare.
Nel confronto con gli altri si può capire se si è commesso un errore o se è stata solamente una cosa andata storta?
Credo che l’errore sia una cosa assoluta, uno sbaglio scientificamente comprovabile. La cosa andata storta, invece, è qualcosa che non soddisfa le aspettative, che diventa uno sbaglio dal momento in cui viene osservata.
Perché l’apparenza inganna, ma soprattutto che mondo c’è dentro le persone?
Lacune è un brano che ho scritto cercando di rispondere a questa domanda. Il nostro io è fatto di mancanze, non solo di ciò che possediamo. Allora mi andava di parlare di questo: di quello che abbiamo, ma soprattutto di quello che ci manca, che è essenziale.
Tu, quanto pensi di conoscerti?
Da piccolo credevo che, a un certo punto, mi sarei capito, racchiuso in un unico contenitore, che sarei stato felice di definirmi tizio o caio. Dannazione, questa cosa non accade, e non credo accadrà mai. Non mi capisco per nulla. Certo, conosco certe mie dinamiche rispetto agli eventi. So quando mi arrabbio e cosa non mi piace da mettere sulla pizza. Però queste sono risposte al mondo esterno. Dentro non ci capisco nulla. Non so se sia un bene o un male.
Ti senti più a tuo agio a dare o ricevere?
Assolutamente a dare, ma non per altruismo. Se do, so cosa sto facendo; se ricevo, invece, è un mistero che non dipende da me. Non mi piacciono i misteri.
Con quale personaggio del passato ti farebbe piacere avere a che fare?
Vorrei abbracciare forte John Fante e dirgli grazie.
Il disco si chiama Ospiti, sembra un inside joke il fatto che il tuo feat con Alaska sia rimasto fuori?
Il brano con Alaska è nato per puro caso, a disco finito. E poi il disco è un lavoro estremamente intimo, dove non volevo fare entrare nessuno. Ero felice di averlo solo per me, un racconto personale che posso ascoltare quando mi va.
Il lavoro con Alaska è la celebrazione dell’amicizia e della stima nei confronti di un’altra persona, quindi è stato naturale non includerlo nel mio progetto.
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