Quando lo sport esce dal campo: sono gli atleti i futuri change maker del lusso?

Settembre 18, 2025 - 06:30
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Quando lo sport esce dal campo: sono gli atleti i futuri change maker del lusso?
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Alti, slanciati, carismatici, di successo e spesso persino di bell’aspetto. Difficile non notarli. Oltre che sul campo, agli eventi di lancio, tra gli scroll delle sponsorizzate o nei front row delle sfilate più importanti, il loro fascino e la loro risonanza mediatica sono immediatamente percepibili – potremmo dire che hanno una certa ‘aura’, a voler essere moderni. Sono gli sportivi (e le sportive), atleti professionisti: l’ultima grande – e ormai quasi necessaria – scommessa del mondo della moda e del lusso.

Poco importa la disciplina: nuotatori, corridori, saltatori, cestisti, piloti, tennisti (oggi i più seguiti) e, finalmente, non più soltanto calciatori. Nel fashion system sembra esserci posto per tutti, al punto che ci si chiede perché le partnership con queste figure siano diventate un must have all’interno delle strategie di comunicazione e di influencer marketing dei fashion brand. Quello che è certo è che il mercato continua a crescere: nel 2024, solo negli Stati Uniti, i brand hanno speso oltre 7,1 miliardi di dollari in influencer marketing, mentre lo sportswear ha registrato una crescita del 24% in termini di Media Impact Value (Miv). Un livello di investimento che conferma ciò che molti già sanno: le collaborazioni con ambassador si sono evolute fino a diventare una strategia fondamentale.

Il fenomeno non è certo nuovo. Da almeno quarant’anni il legame tra sport e moda è saldo quanto quello con musica e cinema, e continua a rafforzarsi grazie ad accordi sempre più ambiziosi e mirati. Se in passato l’attenzione era concentrata soprattutto sulle star del pallone – con pionieri come David Beckham – oggi, complice una diversa sensibilità del pubblico e dei brand e l’arrivo di una nuova generazione di consumatori, il campo si è allargato a nuove discipline e a volti inediti. Non solo i colossi dello sportswear (da Nike ad Adidas, passando per Puma, Lululemon, New Balance e On): anche il lusso ha compreso il valore di una storia di successo forgiata da impegno e sacrifici, lontana dai feed spesso artificiosi dei più tradizionali content creator.

Mondo Duplantis e la fidanzata Desire Inglander all’ultima sfilata di Jacquemus, Ph. Launchmethrics/Spotlight

Gli esempi sono numerosi. Il campione americano-svedese di salto con l’asta Armand “Mondo” Duplantis (14 record mondiali all’attivo) è dal 2024 ambassador di Omega, che ha accompagnato il suo penultimo record con un modello personalizzato da 60mila euro al polso, ed è stato tra gli ospiti più fotografati all’ultima sfilata di Jacquemus. Il nuotatore francese e stella delle Olimpiadi Léon Marchand ha siglato un accordo con Lvmh e le sue maison (in particolare Louis Vuitton). Lewis Hamilton, tra gli sportivi più ambiti, è legato a Dior con una collezione tutta sua, complice anche l’amicizia con l’ex direttore creativo del menswear Kim Jones. Coco Gauff ha sfiorato il trionfo agli Internazionali di Roma indossando New Balance x Miu Miu. Sempre nel tennis, Jack Draper è stato nominato volto di Burberry con tanto di adv in costume da bagno; Stefanos Tsitsipas ha scelto la sartorialità di Canali. E naturalmente Jannik Sinner, già in orbita Rolex come molti altri pesi massimi dello sport e dal 2023 ambassador Gucci, con un debutto discusso quanto memorabile a Wimbledon. 

Coco Gauff in Miu Miu x New Balance, Ph. Tennis Photo Network

Sport chiama autenticità

Perché dunque il lusso ama così tanto lo sport e i suoi protagonisti? Probabilmente perché rappresentano una scommessa a basso rischio. Gli atleti piacciono, trasmettono valori positivi e parlano a pubblici trasversali, sempre più desiderosi di autenticità. Incarnano i brand che indossano e, grazie a uno stile di vita piuttosto regolato, rappresentano un rischio minore rispetto a certi ‘errori di comunicazione’ che possono coinvolgere celebrità dello spettacolo o mega influencer. Come ha spiegato la campionessa Federica Pellegrini a Pambianco Magazine: “Da sempre lo sportivo piace perché è una persona con valori alti e, soprattutto, con un viso pulito – non solo in senso estetico, ma perché lo sport resta un ambiente sano anche quando il resto del mondo è toccato da dinamiche complesse. Credo sia questo ad attrarre i brand, oltre al fatto che, di solito, chi fa sport ha sempre amato la moda. Ed è bello vedere che ora anche la moda riconosce nello sportivo un punto di riferimento”.

Tornando a uno dei più amati, Jannik Sinner, oggi tra gli sportivi più seguiti al mondo e primo tennista italiano ad aver raggiunto la vetta del ranking Atp in singolare, bastano alcuni numeri per comprendere la portata della Sinner-mania. Secondo i dati raccolti da Launchmetrics, l’avvio della partnership tra l’altoatesino e Gucci ha generato 2,9 milioni di dollari di Miv (media impact value) in un solo mese. A Wimbledon, con la sua vittoria, Sinner ha ulteriormente confermato il suo peso come ambassador: 4,7 milioni di Miv per Rolex e 4,4 milioni per Nike. Un suo post su Instagram – quello in cui trionfante bacia la coppa, indossando e taggando entrambi i marchi – è stato il contenuto con le migliori performance dell’intero torneo, generando da solo 1,4 milioni. Un momento che, nella sua semplicità, parla di successo, fatica e disciplina, senza troppi orpelli.

Ph. @Janniksin via Instagram

“Direi che da un anno, poco più, abbiamo visto un forte slancio post-Covid (degli sportivi, ndr.)”, spiega Alison Bringé, chief marketing officer di Launchmetrics. “Durante la pandemia – aggiunge – i brand non potevano lavorare facilmente con le celebrità, e forse c’era anche un po’ di fatica verso le influencer classiche. Da allora i consumatori si sono molto interessati agli atleti. Basta guardare le fashion week di Parigi: ‘invase’ da sportivi, soprattutto uomini. Le persone vogliono vedere i professionisti fuori dal campo, li percepiscono più autentici. Le celebrità tradizionali talvolta sono quasi solo un personaggio, mentre gli atleti diventano famosi per la loro carriera, e mostrano anche un lato umano, personale. Le star hanno stylist e team d’immagine, invece gli sportivi vengono percepiti come genuini” . Per Bringé, “questa curiosità off the court ha alimentato anche l’interesse verso gli sport stessi, trainati dalla personalità di atleti e non. Un esempio? Il boom del tennis con l’uscita del film ‘Challengers’: Zendaya (nel film ex tennista, ma nella realtà definita una All-Star Contributor, cioè una figura capace di generare buzz oltre il proprio ambito e ridefinire la percezione del marchio, ndr.) ha acceso un’enorme attenzione mediatica, con spettatori che andavano al cinema con completi da tennis. Tutto questo si è legato anche alle Olimpiadi, che hanno rafforzato il legame tra moda e sport”.

Jack Draper nella prima adv per Burberry

La vera sfida, oggi, è dunque apparire autentici al 100%, cercando di riconquistare una fiducia che i consumatori sembrano avere in parte perso. Un aspetto interessante di queste partnership è che l’associazione rimane positiva anche nella sconfitta: “Se Carlos Alcaraz (legato a Rolex e Louis Vuitton, ndr.) non vince Wimbledon, rimane comunque uno dei migliori tennisti al mondo. L’associazione quindi resta positiva”, sottolinea Bringé.

La ‘pesca’ dei brand

In definitiva, i brand che riescono davvero a distinguersi non sono quelli che si limitano a comunicare con il proprio pubblico, ma quelli che scelgono di agire con un obiettivo chiaro, contribuendo a plasmare vere e proprie community – proprio come già avviene per i marchi di sportswear. Come evidenziano gli studi della piattaforma, a guidare questo processo sono spesso le ‘voci di fiducia’ – atleti, trainer, creator e celebrità – capaci di garantire credibilità, alimentare la fiducia e costruire un legame duraturo con i consumatori.

La domanda che molti marchi si pongono, però, resta la stessa: con chi collaborare e come farlo nel modo giusto? Un esempio emblematico è lo Style-Driven Athlete, l’atleta che fonde performance ed estetica. La sua forza non scaturisce soltanto dai risultati sportivi, ma dalla capacità di trasferire ai brand che rappresenta credibilità e rilevanza culturale, generando contenuti che uniscono sport, stile e senso di appartenenza. Un esempio recente conferma bene questa tendenza: la scelta di Lorenzo Musetti come ambassador di Bottega Veneta, che ha vestito il giovane tennista nell’arrivo in campo al Roland Garros e agli Us Open e lo ha inserito tra i protagonisti della campagna ‘Craft is Our Language’. Con il suo tennis, il giovane talento carrarese incarna uno stile elegante e discreto (da qui il soprannome “L’illusionista” o “Lorenzo il Magnifico”), espressione di quel quiet luxury che è sempre stato cifra distintiva della maison ora guidata da Louise Trotter.

Lorenzo Musetti in Bottega Veneta agli ultimi Us Open, Ph. Courtesy of Bottega Veneta

Restando in tema tennis – è qui che molti brand stanno investendo sempre più risorse – è dovere menzionare un’altra intesa tra italiani: Mattia Bellucci e C.P. Company. In questo caso, la collaborazione, che ha aggiunto un tassello nell’intreccio di mondi che è il marchio (pensato come sportswear, con primi approcci in ambito calcistico e nel motorsport, ma che non produce abbigliamento tecnico da performance, concentrandosi sul quotidiano) non nasce da un’operazione di scouting classico, ma piuttosto da un incontro naturale di interessi: “In passato, negli archivi C.P. c’erano stati brevi esperimenti legati al tennis, ma l’interesse vero è nato grazie a Mattia. Ci è stato presentato come un outsider, con interessi molto vicini ai nostri, dal vintage al collezionismo. Lo abbiamo invitato a visitare il nostro archivio a Bologna, e da lì è nato un dialogo naturale che si è trasformato in partnership”, racconta Enrico Grigoletti, vicepresidente del marchio. 

Mattia Bellucci x C. P. Company per Wimbledon

La collaborazione con Bellucci non è la classica sponsorizzazione “ti vesto e vai in campo”, ma un percorso costruito insieme. Per Wimbledon i contenuti sono stati sviluppati anche con il suo contributo creativo. Un incontro che, forse grazie proprio alla sua naturale evoluzione – e quindi, ancora una volta, grazie all’autenticità – ha portato a buoni risultati: “La risposta è stata positiva. Con club come Manchester City e Bologna facciamo analisi quantitative, perché sono investimenti consistenti. Con Mattia il riscontro è stato più qualitativo, legato soprattutto alla visibilità a Wimbledon. Lo sport permette davvero di raggiungere pubblici molto ampi e trasversali”.

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Redazione Redazione Eventi e News