Riforma della dirigenza pubblica: le nostre proposte per un vero cambio di passo

Ottobre 16, 2025 - 12:00
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Riforma della dirigenza pubblica: le nostre proposte per un vero cambio di passo

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Il disegno di legge Zangrillo sulla carriera dirigenziale rappresenta un primo segnale di attenzione verso un tema che abbiamo posto all’attenzione del governo da tempo: la necessità di riaprire percorsi di crescita professionale nella pubblica amministrazione dopo decenni di blocchi e disinvestimenti.

Ma un segnale, per quanto importante, non basta. Come FLP abbiamo seguito con interesse l’iter del provvedimento in discussione alla Camera e, nell’audizione dell’8 ottobre scorso, abbiamo voluto essere chiari: condividiamo l’obiettivo, ma il metodo e alcuni contenuti vanno rivisti profondamente.

Una quota troppo timida

La proposta di riservare il 30% delle posizioni dirigenziali allo sviluppo di carriera dei funzionari interni va nella direzione giusta, ma è insufficiente. Chiediamo che questa quota salga al 50%. Non si tratta di una rivendicazione corporativa: nelle amministrazioni lavorano migliaia di professionisti preparati, che conoscono le dinamiche interne, hanno maturato competenze specifiche e meritano di vedere riconosciuto il proprio valore. Lasciare l’altro 50% ai corsi-concorso della Scuola Nazionale dell’Amministrazione garantirebbe comunque l’ingresso di nuove energie e competenze dall’esterno.

Ma dobbiamo smetterla di trattare i nostri funzionari come eterni subalterni, mentre continuiamo a vedere dirigenti paracadutati dall’esterno, spesso senza alcuna preparazione specifica o, peggio ancora, nominati attraverso logiche clientelari con gli incarichi speciali previsti dall’articolo 19 comma 6 del decreto legislativo 165. Proprio la limitazione di questi incarichi potrebbe liberare le risorse necessarie per l’innalzamento della quota riservata ai funzionari interni.

Il rischio del dirigente “intuitu personae”

Ma la nostra preoccupazione maggiore riguarda il meccanismo di selezione previsto dal disegno di legge. Affidare alla relazione del dirigente il primo filtro nella scelta dei candidati significa aprire la porta a pratiche clientelari che pensavamo superate. Il metodo comparativo basato sulla discrezionalità del superiore gerarchico non garantisce né trasparenza né oggettività.

Parliamoci chiaro: questo sistema rischia di escludere a priori migliaia di funzionari competenti, mentre premia chi ha avuto la fortuna di essere gradito al dirigente di turno. E la composizione della commissione – prevalentemente formata da dirigenti di vertice e superiori gerarchici – non attenua certo queste preoccupazioni. Tutto questo avverrebbe, per paradosso, utilizzando gli attuali sistemi di valutazione che lo stesso disegno di legge riconosce implicitamente come inadeguati e da riformare. Come si può selezionare la nuova classe dirigente sulla base di strumenti che si ritengono poco affidabili?

Quattro anni di precarietà

Aggiungiamo poi il “tirocinio” di quattro anni previsto tra l’accesso provvisorio alla funzione e il consolidamento nel ruolo dirigenziale. Questa previsione non solo precarizza ulteriormente la funzione, ma la espone a condizionamenti inaccettabili.

Un aspirante dirigente che per quattro anni deve dimostrare di meritare la conferma sarà davvero libero nelle sue scelte? O cercherà piuttosto di compiacere chi dovrà giudicarlo? Sul contratto individuale, poi, restano troppi punti oscuri: quale trattamento economico e giuridico per questi “aspiranti” dirigenti? Cosa succede se non vengono confermati? Mantengono il posto da funzionario? Sono domande legittime che meritano risposte precise.

L’Area delle elevate professionalità: un’occasione persa

L’Area delle elevate professionalità: un’occasione persa. C’è poi un’assenza che pesa come un macigno: il disegno di legge non dice nulla sull’Area delle elevate professionalità, introdotta dal contratto delle Funzioni Centrali 2019-2021, ma rimasta finora un contenitore vuoto. In molte amministrazioni non è stata nemmeno istituita sulla carta. Serve invece una norma che definisca con urgenza quanti posti destinare a quest’area in ogni amministrazione e preveda procedure in deroga per il personale interno.

C’è una fascia importante di professionalità – funzionari con esperienza nel coordinamento e nella direzione di uffici – che potrebbero ricoprire questi ruoli, alleggerendo così la pressione sulla dirigenza vera e propria, quella con funzioni propriamente manageriali. Gli sbarramenti del decreto legge 80/2021 hanno di fatto reso quest’area accessibile solo agli esterni, in totale contraddizione con lo spirito del provvedimento in discussione. È ora di cambiare.

Performance e percentuali: no all’invasione di campo

L’altra parte del provvedimento, quella sulle performance, è ancora più problematica. Stabilire per legge le percentuali di personale a cui attribuire le valutazioni massime, e perfino le modalità di ripartizione delle risorse della contrattazione integrativa, significa invadere sfacciatamente il terreno della contrattazione collettiva.

Dopo anni di battaglie per ricostruire il ruolo del sindacato e restituire centralità ai contratti nazionali, non possiamo accettare un ritorno alle politiche dirigiste dall’alto che nei decenni scorsi hanno bloccato la contrattazione e limitato l’autonomia delle amministrazioni. Le parti sociali devono avere lo spazio che meritano e i contratti collettivi nazionali restano la sede naturale per regolare questi aspetti.

Un sistema di valutazione ancora nebuloso

Il disegno di legge si dimostra poi eccessivamente generico sulle modalità di riforma del sistema di valutazione, rinviando tutto a successivi regolamenti del Dipartimento della Funzione pubblica. Ma come si può pensare di rendere coerente un universo così variegato?

L’INPS, l’Agenzia delle Entrate, il Ministero della Giustizia e Presidenza del Consiglio hanno missioni, dimensioni e specificità completamente diverse. Serve un approccio meno standardizzato e più attento alle peculiarità di ciascuna realtà. E poi c’è la questione della valutazione dal basso verso l’alto, un’ambizione inizialmente annunciata dal ministro Zangrillo e da noi condivisa, ma che non abbiamo ritrovato nel testo. Superare il dualismo valutatore-valutato, coinvolgendo anche i collaboratori nella valutazione dei dirigenti, sarebbe un passo avanti importante verso una pubblica amministrazione davvero moderna.

Investire per davvero

La verità è che non esistono scorciatoie. Dopo anni di tagli e disinvestimenti che hanno portato l’Italia agli ultimi posti nell’Unione Europea per numero di occupati pubblici e livello delle retribuzioni, serve un cambio di marcia radicale. Abbiamo apprezzato gli sforzi compiuti con i rinnovi contrattuali recenti e gli stanziamenti nelle leggi di bilancio 2024 e 2025. Ma bisogna fare di più, utilizzando tutte le risorse disponibili – non solo quelle del PNRR ma anche i Fondi Europei – e recuperando gli sprechi, le duplicazioni di competenze e le costose esternalizzazioni che hanno aumentato i costi senza migliorare i servizi.

L’unica strada per garantire servizi pubblici all’altezza della Costituzione passa dal rafforzamento della pubblica amministrazione: più personale, retribuzioni adeguate, investimenti sulle competenze. E una vera cultura del merito, non certo quella clientelare che rischia di emergere dal testo attuale. I giovani non cercano solo il “posto fisso”. Vogliono opportunità di crescita, riconoscimento del merito, possibilità di realizzare i propri progetti professionali. Se vogliamo attrarre nuovi talenti dobbiamo offrire contratti stabili e di qualità, retribuzioni allineate al mercato, flessibilità, e soprattutto percorsi di carriera trasparenti e meritocratici.

Il confronto non è un optional

Per questo chiediamo che si rilanci davvero la stagione del confronto, come lo stesso ministro Zangrillo aveva auspicato nei mesi scorsi aprendo una serie di riunioni a Palazzo Vidoni. La dichiarazione congiunta firmata in occasione del rinnovo del contratto delle Funzioni Centrali 2022-2024 indicava proprio questa strada. Non possiamo accettare che si ripropongano modelli normativi parziali, già visti in passato e rivelatisi inefficaci, che hanno alimentato solo disaffezione nei dipendenti pubblici e indebolito l’azione amministrativa.

Serve un metodo diverso, che metta davvero al centro le persone, le loro competenze, le loro legittime aspirazioni. Nelle prossime settimane presenteremo ai componenti della Commissione Affari Costituzionali una serie di emendamenti puntuali. Non è spirito ostruzionistico: è senso di responsabilità verso i lavoratori della pubblica amministrazione e verso i cittadini che da quei lavoratori si aspettano servizi efficienti. La riforma è necessaria, ma va fatta bene. Altrimenti rischiamo l’ennesima occasione sprecata.

Marco Carlomagno, Segretario Generale FLP

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