Sigfrido Ranucci di Report si difende dall’accusa di diffamazione, “Noi guardiani della democrazia”


«Continenza, pertinenza, veridicità». Le tre condizioni per non venire condannati in caso di sospetta diffamazione – le “esimenti“ – vengono sgranate come un rosario in aula da Giorgio Mottola, inviato della trasmissione Report, Rai Tre, giornalista investigativo denunciato per diffamazione a mezzo stampa dalla figlia del presidente della regione Lombardia, l’avvocata Maria Cristina Fontana finita in una puntata di Report nell’ottobre 2020.
«Puntata dove al centro del servizio c’erano gli elementi offerti al pubblico in merito agli incarichi assunti alla figlia del governatore lombardo che a nostro avviso rappresentavano un conflitto di interessi». La parte offesa aveva denunciato i due giornalisti per il contenuto della puntata “Mogli, camici e cavalli dei paesi tuoi” del 19 ottobre del 2020, approfondimento (anche annunciato con trailers girati sui social qualche giorno prima della messa in onda) che trattava degli incarichi professionali di Maria Cristina Fontana per Regione Lombardia e per l’Azienda sanitaria Nord Milano, ipotizzando agevolazioni dal padre negli incarichi professionali.
La legale, specialista in diritto assicurativo e in particolare anche in casi di “medical malpractice” presente in aula di fronte al giudice monocratico Andrea Crema nel pomeriggio di martedì, era stata sentita nella precedente udienza nella quale aveva raccontato circa le modalità con le quali i giornalisti l’avevano raggiunta, e delle conseguenze seguite alla messa in onda del servizio.
Il primo dei giornalisti che ha parlato di fronte al giudice come imputato, il direttore della trasmissione Sigfrido Ranucci, ha esordito specificando il concetto di conflitto di interesse che rileva come interesse pubblico «anche nella sue formulazione di conflitto di interesse potenziale previsto dalle norme che il legislatore si è dato nel decreto legislativo numero 36 del 2023 (il nuovo codice degli appalti, anche se i fatti contestati risalgono al 2020 ndr), che disciplina. introduce proprio il concetto di conflitto di interessi percepito», ha spiegato Ranucci nel rispondere alle domande delle parti, specialmente dell’accusa, spiegando poi nel concreto il funzionamento della “macchina“ di una testata giornalistica d’inchiesta come Report «che riceve 120 mila segnalazioni ogni anno da parte di cittadini: noi siamo i cani da guardia della democrazia, assolviamo un ruolo di servizio pubblico e per farlo bilanciamo sempre gli elementi in nostro possesso sentendo le parti e dando la possibilità ai cittadini di farsi un’idea su quanto raccontato e prima ancora verificato. Lo pretendo da chi lavora con me, fino all’ultimo istante prima della messa in onda della puntata, chiedo sempre di mandare fino all’ultimo una mail, o di fare una telefonata. I testi della puntata li riguardo personalmente anche 4, 5 volte prima della messa in onda».
Una giustapposizione di metodo ricordata anche da Giorgio Mottola, che poi è il principale estensore della puntata sul piano giornalistico (Ranucci aveva poi in studio presentato e chiosato il servizio, puntata peraltro al centro di un altro e dunque separato processo per diffamazione aggravata che vede come parti offese il Ministero Giancarlo Giorgetti e l’avvocato varesino Andrea Mascetti). Alla fine l’escussione è stata lunga, molto puntigliosa, durata un pomeriggio intero, e ha permesso agli imputati di spiegare l’obiettivo del servizio: «Abbiamo mandato in onda la risposta ricevuta dall’avvocato Maria Cristina Fontana poi confrontata coi documenti in nostro possesso: non devo convincere nessuno nei miei servizi», ha spiegato Ranucci, «devo semplicemente trasmettere al pubblico i fatti. Cioè come stanno le cose, dando agli spettatori elementi certi». E ancora: «Condanno fermamente le minacce pervenute all’avvocato Fontana dopo l’andata in onda del servizio, ma non penso di aver contribuito a questo: anche noi veniamo sommersi di insulti. Viviamo in un Paese malato, e il risultato è che io sono sotto scorta», prova ne è stata, l’aliquota della Digos di Varese che ha assicurato, anche in aula, una presenza discreta.
L’elemento che avrebbe rivoluzionato il processo – fermandolo – , cioè la possibile remissione di querela proposta dalla pm non è stata accettata dalla parte offesa: «Ho provato fin dall’inizio ad instaurare un contatto, senza effetto alcuno», ha spiegato in aula la stessa avvocata Fontana. Dunque si arriverà in aula il prossimo 14 ottobre per la discussione e la probabile decisione del giudice.
A margine dell’udienza Sigfrido Ranucci ha commentato: «Conto in tutto 220 fra atti di citazione e querle, alcune delle quali arrivano anche da Varese, ma ho fiducia, e credo nella giustizia», per poi lasciare palazzo di giustizia con la scorta.
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