Siria. I curdi trattano con Damasco ma chiedono autonomia

Aprile 11, 2025 - 20:00
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Siria. I curdi trattano con Damasco ma chiedono autonomia

di Giuseppe Gagliano –

Mentre la Siria tenta con fatica di ricomporsi dalle macerie lasciate da 14 anni di guerra civile e dalla caduta del regime di Bashar al-Assad nel dicembre scorso, i curdi del nord-est riemergono come attori politici centrali. Non più solo forza militare efficace contro il jihadismo, le autorità dell’Amministrazione autonoma del Rojava alzano ora il tiro: chiedono una ristrutturazione istituzionale del Paese che preveda un sistema federale, una pluralità parlamentare e il riconoscimento delle specificità regionali. Una visione che, com’era prevedibile, entra in rotta di collisione con i progetti accentratori del nuovo presidente ad interim, Ahmad al-Sharaa.
A fare da sfondo a questa battaglia politica vi è un elemento altamente simbolico e strategico: la diga di Tishrin, sull’Eufrate. Costruita per generare energia idroelettrica e irrigare le regioni agricole della Siria settentrionale, la diga è passata di mano più volte nel corso del conflitto. Nel 2015 fu strappata allo Stato Islamico dalle Forze democratiche siriane (SDF), le milizie curde sostenute dagli Stati Uniti. Oggi, in un accordo delicato e carico di implicazioni, i curdi hanno acconsentito a cedere il controllo dell’infrastruttura al governo centrale di Damasco, mantenendo però una partecipazione nella gestione.
Questo passaggio si inserisce in un più ampio processo di integrazione istituzionale tra le SDF e il nuovo apparato statale siriano, formalizzato il 10 marzo con un’intesa che ha previsto il ritiro dei combattenti curdi da quartieri strategici di Aleppo e un primo scambio di detenuti tra le due parti. Tuttavia gli osservatori più attenti notano che dietro l’apparente cooperazione permane un dualismo irrisolto: da un lato la volontà curda di preservare la propria autonomia politica e culturale; dall’altro il tentativo del nuovo governo centrale di riaffermare il controllo su tutto il territorio, anche a costo di ridurre il riconoscimento delle minoranze a semplici gesti simbolici.
L’intervista rilasciata da Badran Jia Kurd a Reuters è illuminante: i partiti curdi, pur divisi su molti fronti, avrebbero raggiunto un’intesa comune sulla necessità di un sistema federale e democratico, ma si rifiutano di riconoscere la validità della nuova dichiarazione costituzionale redatta da al-Sharaa. Quest’ultima, promulgata il 13 marzo, impone l’arabo come unica lingua ufficiale, introduce la legge islamica come riferimento normativo primario e concentra ampi poteri nelle mani del presidente ad interim. Per il Rojava, tutto questo rappresenta una regressione.
La situazione è resa ancora più tesa dalle accuse mosse dai curdi contro le nuove milizie integrate all’esercito siriano, ex membri di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ritenute responsabili di massacri settari contro civili alawiti. A peggiorare le cose, il nuovo esecutivo siriano include un solo curdo, il ministro dell’Istruzione Mohammad Turko, ma esclude completamente esponenti del Rojava, accentuando la frattura tra le due visioni del Paese.
Non sorprende quindi che, parallelamente al dialogo istituzionale, i curdi continuino a denunciare pubblicamente l’approccio “monopolistico” di Damasco e la sua incapacità di rappresentare la diversità del mosaico siriano. La loro richiesta è chiara: non indipendenza, ma un’autonomia reale, codificata e garantita, con forze di sicurezza locali, consigli legislativi regionali e riconoscimento della lingua e dell’identità curda.
In un Paese segnato da guerre per procura, ingerenze regionali (Iran, Russia, Turchia) e un Occidente sempre più assente, il destino del progetto curdo dipenderà anche dagli equilibri geopolitici esterni. Con la Turchia che continua a considerare le YPG una minaccia alla sicurezza nazionale e gli Stati Uniti in fase di disimpegno, resta da vedere quanto spazio politico avranno i curdi per negoziare un’autonomia che non si trasformi in marginalizzazione.
L’accordo sulla diga di Tishrin, pur nella sua apparente tecnicità, è quindi un passaggio cruciale. È la cartina tornasole di un processo fragile, in bilico tra inclusione e assorbimento, tra promessa e tradimento.

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Redazione Redazione Eventi e News