«Te laudamus», perché cantare meglio si può e si deve


Il grande direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini era un cattolico praticante. A chi gli chiedeva come reagisse quando, a Messa, gli capitava di sentire certi “canti di Chiesa” malamente strimpellati, rispondeva lapidario: «Aspetto che finiscano». Come dargli torto, almeno in certi casi? Non sempre, però, le reazioni alla qualità altalenante del canto liturgico sono della stessa compostezza, ed è forte il rischio di dividersi fra urlanti tribù contrapposte: nostalgici di un passato mitizzato contro novatori senz’arte né parte. La strada del pragmatismo ambrosiano è però un’altra: si può ancora coltivare oggi, l’arte del canto sacro, in seno alle nostre comunità? Lo si può fare reclutando i volonterosi, stimolando i curiosi, valorizzando i talenti, accettando le domande, armonizzando voci e sensibilità? È questa la sfida che da alcuni anni ha preso corpo in Te laudamus, il percorso formativo per animatori musicali della liturgia promosso dalla Diocesi di Milano.
Cosa, come e perché
Muovendo i primi passi nel 2020, siamo partiti da alcune domande fondamentali: dall’apparentemente banale «cosa cantare?», al più controverso «come cantare?», fino al provocatorio, forse inatteso, «perché cantare?». E abbiamo iniziato – cantori, direttori di coro, strumentisti, musicologi, sotto la sapiente regia inclusiva di don Riccardo Miolo – a riflettere, pregare, dialogare e fare musica insieme.
Anno dopo anno, abbiamo incontrato decine, poi centinaia (l’auspicio – inutile nasconderlo – sarebbero però le migliaia) di cristiani desiderosi di un canto liturgico più intenso, più partecipato, più degno artisticamente e spiritualmente più autentico. Sono nati corsi teorici e pratici, laboratori e atelier, dalle materie più classiche (come vocalità e direzione di coro) a quelle più sperimentali (per lo meno alle nostre latitudini: dal metodo Dalcroze alla danza liturgica); e poi webinar, lezioni collettive e individuali, ordinarie e specialistiche, due-giorni intensive al Seminario di Seveso, e negli ultimi anni anche il festival Exsultet!, raduno primaverile di «un popolo che suona/canta/ascolta con passione», come recita lo slogan coniato per Monza 2024 e Varese 2025.
La proposta
Te laudamus, che riparte anche in quest’anno pastorale, vivrà il suo primo appuntamento con un webinar di presentazione giovedì 18 settembre aperto a tutti/e (per le modalità di partecipazione si veda questa pagina). La proposta si fonda su un’idea esigente e realista: cantare meglio nelle nostre comunità si può e si deve. Per farlo occorre conoscere la storia e il presente (ossia le esperienze di altri cristiani che in altri tempi e in altri luoghi si sono posti le stesse domande: cosa, come, perché cantare?), impadronirsi gradualmente della teoria e della pratica musicale, approfondire la spiritualità del canto, sperimentare l’impegnativa comunione dei talenti. Non ci sono ricette facili: come è noto, viviamo in una società in cui non si canta più insieme (e suonare sembra prerogativa dei professionisti, anzi delle star), con una scuola quasi completamente sorda alla musica, e mille dispositivi che rischiano di deprimere anziché stimolare la musicalità che è uno dei doni più preziosi del nostro essere (e restare) umani.
Te laudamus vuole essere un segno in controtendenza: non rassegnarsi alla passività, al cattivo gusto e all’improvvisazione, espandere gli orizzonti a volte ristretti delle nostre “sacrestie musicali”, e ascoltare, ascoltare, ascoltare – allineando, come volevano i Padri, vox, cor e opus (la voce, il cuore e la prassi).
Qual è la tua reazione?






