Trump ha costretto il mondo arabo a farsi garante della sicurezza di Israele

Settembre 30, 2025 - 17:00
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Trump ha costretto il mondo arabo a farsi garante della sicurezza di Israele

Donald Trump ha aperto una pagina nuova in Medio Oriente. La forza del piano di pace su Gaza, come è stato chiarito dalle parole del presidente degli Stati Uniti, che ha ringraziato uno per uno tutti i leader arabi, è stata la sua capacità di portare tutto il mondo arabo a farsi carico in prima persona, anche dal punto di vista militare, del disarmo di Hamas, della sua espulsione da Gaza e del controllo della Striscia sotto il governo di un Board of Peace, composto da personalità internazionali e palestinesi (tra questi pensiamo vi sarà Mohammed Dahlan, odiato da Abu Mazen, ma sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti), presieduto dallo stesso Trump e coadiuvato da Tony Blair.

Quindi, nessuno Stato palestinese nell’immediato, nessun governo a breve dell’Anp dell’impopolare Abu Mazen su Gaza, ma un lungo periodo di decantazione dei Territori sotto amministrazione internazionale arabo-americana. Le elezioni palestinesi, il governo palestinese dei Territori, sono spostati a un futuro indeterminato, quando – ci vorranno anni – il terrorismo palestinese in tutte le sue forme sarà sradicato.

Questa è la novità di una svolta che al momento è solo annunciata e che per concretizzarsi deve superare scogli non piccoli: le nazioni arabe, con una decisione inedita, accettano la proposta del presidente americano di assumere la gestione della Palestina, di garantirla militarmente e di assicurare così la sicurezza di Israele. 

Al netto di tutto ciò che si possa pensare di Donald Trump, se ci riuscisse sarebbe un gran colpo perché ribalterebbe il rifiuto arabo di Israele che dura da più di un secolo e che ha portato alla guerra del 1948, e alle guerre e sconfitte arabe successive.

Il mondo arabo e islamico – Indonesia inclusa e persino il Qatar, padrino di Hamas – escono così da decenni di complicità implicita o esplicita con una leadership palestinese terrorista: prima il Gran Mufti di Gerusalemme, poi Yasser Arafat, oggi Hamas. Sotto la direzione politica del presidente americano e di Tony Blair, teorico dell’intervento in Iraq del 2003, odiato per questo dal mondo arabo, sono disposti ad assumere in prima persona il governo temporaneo della Striscia di Gaza. Quel mondo arabo che per un secolo si è unito solo per combattere Israele ora si muove per collaborare con Israele.

Uno scenario inaspettato. Sempre che si realizzi, ovviamente. Comunque vada, è agli atti che è stato delineato e approvato dal mondo arabo. Il tutto con liberazione immediata degli ostaggi israeliani entro settantadue ore e con conseguente ritiro graduale delle truppe di occupazione israeliane (su questo vi è ancora opacità nel piano).

Conseguenza immediata di questa road map sarà la fine del governo di Benjamin Netanyahu, perché è difficile che Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich la accetteranno, anzi è probabile che inizieranno la loro campagna elettorale chiamando a raccolta gli elettori per farlo fallire. Questo non influirà però sul voto di approvazione della Knesset, perché Yair Lapid, Avigdor Lieberman e altri leader dell’opposizione ne garantiranno l’approvazione. A seguire, elezioni anticipate in Israele nei prossimi mesi, con un Netanyahu che tenterà di rivincerle presentandosi all’elettorato come colui che ha portato a un piano che sblocca la liberazione degli ostaggi e non solo.

È infatti evidente che questa road map – che dovrà essere implementata e non è ancora detto che lo sarà – riapre le porte all’estensione degli Accordi di Abramo – un successo della prima presidenza Trump – all’Arabia Saudita e a tutti i paesi arabi. Se così sarà, Donald Trump, per uno dei capricci della storia, avrà rivoluzionato in meglio il Medio Oriente.

L’ostacolo a questi sviluppi, al di là del trionfalismo retorico del presidente americano, è Hamas. Questo progetto segna la sua sconfitta politico-militare più netta. La speranza è che il Qatar – che ha ricevuto le scuse di Netanyahu per l’attacco israeliano, un’umiliazione impostagli da Trump – e che ha accettato il piano americano, abbia compreso – perché il presidente Usa glielo ha fatto comprendere – che è finita la sua possibilità di doppio gioco. Solo il Qatar, e indirettamente la Turchia, hanno infatti le leve per imporre ai dirigenti di Hamas di accettare la sconfitta, in cambio della loro immunità personale e di una forma di sopravvivenza politica.

Questa è la parte decisiva del piano americano: che la pressione degli Stati Uniti e soprattutto dei paesi arabi, in primis dell’Arabia Saudita, sul Qatar sia tale da obbligare lo sceicco Tamim Al-Thani a imporre la resa ai dirigenti di Hamas, che hanno ormai solo una sponda negli ayatollah iraniani.

Dunque, questo passaggio è ancora incerto, aperto. Se così non sarà – e potrebbe non essere – se Hamas non sarà costretto dai paesi arabi ad accettare la resa, Donald Trump ha minacciato – col suo abituale gusto discutibile – la soluzione finale, il via libera americano alla continuazione della guerra israeliana più dura a Gaza City. I giochi quindi sono ancora aperti. Il piano americano può ancora essere vanificato dalla determinazione di Hamas di trascinare con sé il popolo palestinese nella rovina.

Nel frattempo, la flottiglia Sumud veleggia lentamente verso Gaza. Simbolo dell’incapacità della sinistra europea che la fiancheggia, Elly Schlein inclusa, di essere dentro, di sapere interpretare da protagonista i momenti decisivi della storia.

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Redazione Redazione Eventi e News