Von der Leyen chiede di usare il Rapporto Draghi come una bussola politica

Pubblichiamo l’intervento di apertura della presidente della Commissione Ursula von der Leyen alla Conferenza “Un anno dopo il Rapporto Draghi”. Qui per leggere il discorso successivo di Mario Draghi.
Oggi celebriamo un anno dalla pubblicazione del Rapporto Draghi. Ma lasciatemi tornare per un momento a due anni fa, quando ti chiamai, Mario, per proporti di intraprendere questa nuova missione. Ricordo che l’offerta ti incuriosì. Ma ponesti una condizione. Dicesti che questo nuovo rapporto doveva fare davvero la differenza. Non ti interessava scrivere l’ennesimo documento accademico. Volevi una tabella di marcia per l’azione. Ed era esattamente ciò che cercavamo.
Tu e il tuo team avete dedicato un anno intero ad analizzare i punti di forza dell’Europa, le sue debolezze e come affrontarle. E appena il rapporto fu pubblicato, tutta l’Europa tese l’orecchio verso di te. Quindi, prima di tutto, voglio ringraziarti, caro Mario. Per il tuo rigore. Per la tua visione. E per il tuo servizio all’Europa. Grazie, Mario.
La mia nuova Commissione è entrata in carica nove mesi fa, e il primo atto del nuovo mandato è stata la nostra Bussola della Competitività – che traduce il rapporto in politiche pratiche. Poi siamo partiti subito di slancio. Con il Clean Industrial Deal. Le AI Gigafactories. Il nuovo quadro sugli aiuti di Stato. Il Piano d’Azione per l’Energia Accessibile. L’Unione del Risparmio e degli Investimenti. Piani d’azione su misura per l’industria automobilistica, l’acciaio e la chimica. Il più grande aumento di investimenti nella difesa della nostra storia. Nuove proposte sul Mercato Unico, il Fondo Start-up/Scale-up e il Quantum. E sei pacchetti di semplificazione in arrivo. Questa è la mentalità dell’urgenza che avevamo promesso. E con la stessa determinazione continueremo fino a realizzare tutto.
Ma oggi non voglio soffermarmi su quante iniziative o strategie abbiamo adottato. Voglio concentrarmi sull’impatto reale sul terreno. Perché è questo ciò che conta davvero. La competitività riguarda i posti di lavoro. Riguarda buoni salari per le persone e buoni profitti per le imprese. Riguarda il nostro stile di vita. Permettetemi di affrontare uno per uno i tre pilastri del Rapporto Draghi: colmare il divario di innovazione con Stati Uniti e Cina, un piano congiunto per decarbonizzazione e competitività, la necessità di ridurre le nostre dipendenze.
Comincio con gli aspetti positivo, prima di arrivare alle sfide. Oggi la competizione globale per la leadership tecnologica è profondamente ridefinita dall’intelligenza artificiale. E questa nuova corsa all’AI è appena iniziata. La leadership mondiale è ancora contendibile. E l’Europa non è soltanto un’inseguitrice, ma è già leader in molti campi che definiranno questa gara. Prendiamo la potenza di calcolo.
L’Europa dispone di alcuni dei migliori supercomputer al mondo. E anche se i giganti tecnologici continuano a costruire macchine sempre più grandi e veloci, siamo riusciti a rafforzare la nostra posizione globale. Sei anni fa avevamo due supercomputer tra i primi dieci al mondo. Poi, all’inizio del mio primo mandato, decidemmo di investire massicciamente nel calcolo ad alte prestazioni. Oggi ne abbiamo quattro tra i primi dieci, grazie al lancio, nell’ultimo anno, di Jupiter in Germania e HPC6 in Italia. Le nostre politiche e i nostri investimenti in questo settore stanno iniziando a dare frutti.
Secondo punto. L’Europa è ben posizionata anche nell’adozione dell’AI. Abbiamo iniziato a utilizzarla per aumentare la produttività. Lo sottolineo perché è proprio qui che l’Europa fallì trent’anni fa, quando le nostre imprese furono troppo lente a digitalizzarsi e a passare online. Questa volta, l’Europa non insegue: è tra i protagonisti. Le imprese europee sono ai vertici in molte applicazioni di intelligenza artificiale. Pensiamo a Lovable, l’app svedese che trasforma le idee di chiunque in applicazioni o siti web pienamente funzionanti. La scorsa estate è diventata la software company più rapida della storia a raggiungere i cento milioni di dollari di fatturato annuo. Oggi vale quasi 4 miliardi. Nel giugno scorso, il dieci per cento di tutti i nuovi siti web al mondo è stato realizzato con Lovable.
E ci sono molte altre storie di successo europee nell’AI – dalla sanità alla difesa. Il campione francese Mistral è qui con noi oggi. Nel 2025, il numero di imprese europee che hanno adottato l’AI è cresciuto del sessantasette per cento rispetto all’anno precedente. È qui che possiamo davvero giocare la nostra partita.
Ma dobbiamo capitalizzare i nostri punti di forza e mettere le nostre infrastrutture digitali al servizio dell’industria e degli innovatori. Questo mi riporta ai nostri supercomputer. Abbiamo creato le AI Factories e presto trasformeremo le migliori in Gigafactories. L’obiettivo è permettere alle nostre straordinarie start-up innovative di accedere alla potenza di calcolo e di testare e addestrare i loro modelli, pensando in particolare alle applicazioni settoriali. E la risposta del settore privato europeo è stata notevole. Il nostro obiettivo iniziale era mobilitare 20 miliardi di euro di investimenti per sviluppare le Gigafactories. Abbiamo ricevuto dal settore privato proposte per 230 miliardi di euro. E più tardi, oggi, durante questa Conferenza, firmeremo i primi progetti pilota.
Naturalmente, anche il resto del mondo corre. Gli investimenti globali stanno schizzando verso l’alto. Dobbiamo quindi restare concentrati e rimboccarci le maniche. Non è una “missione compiuta”. È la missione del prossimo decennio: fare dell’Europa uno dei continenti guida nell’AI. Nel tuo rapporto, Mario, hai scritto che dobbiamo creare un circolo virtuoso, in cui l’investimento alimenta l’innovazione e l’innovazione attira nuovi investimenti. È l’idea alla base del nostro nuovo Fondo per la Competitività. Sarà il perno del prossimo bilancio europeo — con una potenza di fuoco proposta di oltre quattrocento miliardi di euro. Questo comprende: il raddoppio dei fondi per la ricerca; cinque volte le risorse attuali per il digitale; sei volte quelle per le tecnologie pulite. È lo stimolo agli investimenti di cui l’Europa ha bisogno, e ora Parlamento e Consiglio devono esserne convinti.
Vengo alle sfide: so bene che restano molti ostacoli. Una start-up di AI del Portogallo o della Romania deve poter crescere senza soluzione di continuità in tutto il nostro continente. E oggi spesso non è così. Il nostro Mercato Unico è lontano dall’essere completo. Secondo il FMI, le barriere interne equivalgono a un dazio del quarantacinque per cento sui beni e del centodieci per cento sui servizi. Non è accettabile. Non dovrebbe essere più facile cercare fortuna oltre oceano che oltre i confini europei. Abbiamo iniziato a intervenire su queste barriere — le cosiddette “terribili dieci” — con la nostra Strategia per il Mercato Unico. Ora deve dare risultati con urgenza. Per questo abbiamo annunciato una tabella di marcia del Mercato Unico fino al 2028. L’obiettivo è aumentare il ritmo — accelerare i processi. Collegherà il nostro lavoro su capitali, servizi, energia, telecomunicazioni, la quinta libertà per conoscenza e innovazione, nonché il 28º regime per le imprese innovative, a scadenze concrete. Perché solo ciò che si misura si realizza.
Signore e signori, il secondo pilastro del Rapporto Draghi è un piano congiunto per decarbonizzazione e competitività. Si comincia abbassando i costi dell’energia. Conosciamo la ragione di fondo per cui le nostre bollette sono più alte rispetto ai concorrenti: l’Europa dipende troppo dai combustibili fossili importati. Questo significa che il prezzo della nostra energia è dettato dai mercati globali. Ma conosciamo anche la soluzione: energia “di casa” — rinnovabili, con il nucleare come carico di base. Questo ci dà sicurezza e indipendenza energetica. E solo nell’ultimo anno abbiamo ottenuto progressi notevoli. Anzitutto, abbiamo varato un Pacchetto Eolico che sta riducendo i tempi di autorizzazione di due terzi. Nel primo semestre del 2025 gli investimenti nell’eolico europeo hanno toccato un massimo storico: oltre quaranta miliardi di euro. Dunque — gli investitori stanno scegliendo l’Europa.
Un’altra buona notizia: ormai oltre il 70% della nostra elettricità proviene da fonti a basse emissioni. Di conseguenza, lo scorso anno abbiamo ridotto la nostra bolletta dei combustibili fossili di 60 miliardi di euro. Questa è la strada. Dobbiamo tagliare contemporaneamente prezzi e dipendenze.
Ma diciamolo chiaramente: i nostri prezzi dell’energia restano ancora troppo elevati, troppo volatili e troppo disomogenei in Europa. In alcuni Stati membri l’elettricità costa tre volte più che in altri. E molti picchi di prezzo si potrebbero evitare se l’energia potesse fluire più liberamente dove serve. Ma le reti nazionali non sono ancora ben integrate. Troppo spesso ci mancano gli interconnettori necessari, oppure non utilizziamo in modo efficiente quelli esistenti. Ora abbiamo iniziato ad affrontare anche questo.
Proprio la settimana scorsa il Parlamento europeo ha approvato la nostra proposta di usare i Fondi di Coesione per potenziare le infrastrutture energetiche. Molti progetti sono già in avanzamento: come l’interconnettore celtico, che porrà fine all’isolamento dell’Irlanda dalla rete europea; o il progetto del Golfo di Biscaglia, per raddoppiare la capacità tra Francia e Spagna. Inoltre presenteremo un Pacchetto Reti e una nuova iniziativa Energy Highways. Si concentrerà su otto colli di bottiglia critici della nostra infrastruttura energetica: dai Pirenei all’oleodotto trans-balcanico, dallo Stretto dell’Øresund al Canale di Sicilia. Libereremo questi colli di bottiglia uno per uno. E interverremo con finanziamenti quando necessario.
Mario, hai dedicato un intero capitolo alla transizione pulita. Si tratta di un’enorme opportunità per le nostre industrie. Il mercato globale delle batterie è destinato a raddoppiare nei prossimi cinque anni. Quello delle turbine eoliche continua a crescere di oltre il 10% l’anno. E il mercato mondiale delle auto elettriche è in pieno boom. In Europa, le vendite sono aumentate di quasi il 25% su base annua. In Africa, Asia e America Latina le vendite di veicoli elettrici sono cresciute del 60% nel 2024. È innanzitutto una buona notizia per il clima. Ma la vera domanda è: vogliamo raccoglierne anche i benefici economici? O vogliamo che altri conquistino quote sempre più ampie di questi mercati in espansione? Io non ho dubbi sulla risposta.
Quando parlo con il Sud globale — dall’Africa all’India, fino all’Asia centrale — colpito duramente dai cambiamenti climatici, tutti cercano soluzioni tecnologiche pulite. L’Europa può essere la sede di industrie di punta capaci di esportare queste soluzioni. Dobbiamo diventare la potenza industriale in grado di soddisfare questa crescente domanda di tecnologie verdi. Ma non è un risultato garantito. I numeri, in questo settore, non sono incoraggianti quanto in altri. Troppo spesso perdiamo posti di lavoro e quote di mercato a vantaggio di economie non di mercato. Ma possiamo ancora invertire la rotta.
Ecco perché serve un massiccio incremento degli investimenti pubblici e privati. Dobbiamo creare mercati guida per i prodotti circolari e puliti, e garantire condizioni di concorrenza eque. L’Europa deve proteggere le proprie industrie. Sono le apripista nella corsa alla decarbonizzazione, e devono essere incentivate e premiate. Altrimenti rischiamo di trovarci di nuovo dipendenti da altri per importare l’acciaio di cui hanno bisogno i nostri costruttori di automobili, o il cemento di cui hanno bisogno i nostri edili. Saremmo nuovamente in balia del prezzo, del volume e della qualità che altri sono disposti e capaci di fornirci. Ecco perché ci concentriamo sui settori per noi più strategici.
Con il Clean Industrial Deal, ad esempio, stiamo affrontando i principali ostacoli che le rallentano. Oppure stiamo lavorando a un pacchetto Battery Booster, perché le batterie sono l’elemento abilitante di tutte le altre tecnologie pulite. Questo metterà a disposizione 1,8 miliardi di euro in capitale di rischio per espandere la produzione in Europa. Un lavoro che tocca il cuore stesso dell’indipendenza europea.
Signore e signori, il terzo e ultimo pilastro è proprio la necessità di ridurre le nostre dipendenze. Nell’ultimo anno abbiamo visto i controlli alle esportazioni dalla Cina fermare linee di produzione in Europa. Oggi un solo paese controlla il 75% della raffinazione del cobalto, il 90% delle terre rare, il 100% della grafite. Una situazione critica, senza dubbio. Ma non c’è nulla di inevitabile. Con le politiche giuste possiamo rafforzare la nostra sicurezza e costruire la nostra indipendenza. Ed è quello che l’Europa sta facendo oggi.
Anzitutto con la diversificazione. Solo nell’ultimo anno abbiamo concluso nuovi accordi commerciali con Mercosur, Messico e Svizzera. L’intesa con il Mercosur, ad esempio, creerà un mercato da 770 milioni di consumatori e circa un quarto del PIL globale. Abbiamo raggiunto un accordo iniziale con un gigante minerario come l’Indonesia. Ora siamo in trattativa con l’India e vogliamo concludere entro la fine dell’anno. Stiamo avanzando con Sudafrica, Malesia, Emirati Arabi Uniti e altri ancora. La sicurezza economica è un punto centrale in tutti questi accordi. E insieme al commercio arriva l’investimento.
Stiamo costruendo una rete di progetti strategici in tutto il mondo: il nichel in Canada, sufficiente a produrre oltre 800.000 batterie per veicoli elettrici ogni anno; la grafite in Kazakistan, per 100.000 batterie l’anno; il Corridoio di Lobito verso la cintura del rame africana.
Naturalmente, il lavoro per la sicurezza economica comincia qui, in casa nostra. Quest’anno abbiamo selezionato 47 progetti strategici in Europa nell’ambito del Critical Raw Materials Act. Concentreremo il nostro sostegno finanziario su queste iniziative cruciali, e garantiremo che tutte le autorizzazioni vengano rilasciate nei tempi giusti. Dall’estrazione di rame e cobalto in Finlandia, alla lavorazione del litio in Portogallo, fino al riciclo delle batterie in Italia.
Voglio soffermarmi in particolare sul riciclo. Perché l’economia circolare è centrale per la nostra sicurezza negli approvvigionamenti. Già oggi, con ogni chilo di materie prime, produciamo il 33% in più di output rispetto agli Stati Uniti e il 400% in più rispetto alla Cina. Pensiamo al potenziale vantaggio competitivo se riusciremo a scalarlo. La risposta migliore è creare una vera economia circolare. Per questo stiamo lavorando a un Circular Economy Act. Partiremo dai settori che sono già pronti — come le batterie, ad esempio.
La produzione circolare riduce le nostre dipendenze strategiche. E permette alle nostre industrie di punta di esportare soluzioni ad altri. Possiamo letteralmente trasformare i rifiuti nel fattore abilitante della nostra competitività.
Permettetemi di concludere con un ultimo esempio di come dobbiamo ridurre le nostre dipendenze. C’è un altro settore vitale in cui non possiamo più permetterci di essere eccessivamente dipendenti dagli altri: la difesa. Naturalmente, un’Europa più autonoma sul piano della difesa non nascerà dall’oggi al domani. Serviranno anni di determinazione e impegno. Ma è assolutamente chiaro che l’Europa deve ora assumersi la parte principale della propria sicurezza.
Ecco perché abbiamo lanciato Readiness 2030, per mobilitare fino a 800 miliardi di euro di investimenti nella difesa. Di questi, 150 miliardi di euro – SAFE – per gli appalti comuni in materia di difesa. È destinato a diventare lo strumento di maggior successo in questo settore. Ci sono voluti solo 72 giorni per approvare i prestiti SAFE. E in meno di sei mesi l’intero importo è già stato assegnato. Questo è il senso di urgenza di cui abbiamo bisogno.
Vorrei vedere la stessa urgenza applicata a tutta la nostra agenda per la competitività. Perché le nostre imprese e i nostri lavoratori non possono più aspettare. Pensiamo alla semplificazione. In ogni incontro con le imprese, questa è sempre la loro prima richiesta. E in appena nove mesi, abbiamo presentato sei pacchetti di semplificazione – i cosiddetti omnibus. Altri due sono in arrivo – sulla digitalizzazione e sulla mobilità militare. Faranno davvero la differenza: meno burocrazia, meno sovrapposizioni, regole più semplici. Le nostre proposte taglieranno 8 miliardi di euro l’anno di costi burocratici per le aziende europee.
Ma è già passato troppo tempo da quando gli omnibus sono partiti. Ora devono arrivare a destinazione. Hanno bisogno di un’approvazione urgente da parte dei co-legislatori. E lo stesso vale per molte altre proposte – dall’Unione del risparmio e degli investimenti, fino a diversi accordi commerciali.
E sì, anche la Commissione deve fare la sua parte. Pensiamo alla politica di concorrenza: da tempo discutiamo di una revisione complessiva, e la direzione è chiara. Per questo anticiperemo la pubblicazione delle linee guida sulle fusioni. È il momento di passare dalle parole ai fatti.
Sono assolutamente convinta che l’Europa possa unirsi attorno a questa agenda. Ogni singolo Stato membro ha approvato il rapporto Draghi. E così ha fatto anche il Parlamento europeo. Sappiamo tutti cosa deve essere fatto. E sappiamo che il “business as usual” non funziona più.
Questo è il mio messaggio finale oggi. È ciò che i cittadini d’Europa si aspettano da noi: che la nostra democrazia sappia decidere, agire e realizzare. E so che l’Europa può farcela. Perché abbiamo già dimostrato ciò che è possibile quando abbiamo l’ambizione, l’unità e l’urgenza.
È una nostra scelta. E allora facciamola di nuovo. Per la prosperità. Per l’indipendenza. Per l’Europa.
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