Addio ad Aimo Moroni, narratore dell’Italia e dei suoi prodotti migliori

«Sei stata da Aimo? Ma si è seduto e ti ha raccontato dello spaghetto al cipollotto?». Ho sentito dire questa frase mille volte, sempre con rispetto e con ironia, perché il bello di andare nel tempio gastronomico e culturale di Aimo e Nadia era proprio la profondità enciclopedica di cultura sull’ingrediente che questa colonna portante della ristorazione milanese, nel tempo, è riuscito a far diventare prima piatto e poi racconto. Non c’era più da tempo, al ristorante, ma chi ha avuto la fortuna di incrociarlo ha potuto cogliere le sue storie e la sua passione sconfinata per il racconto degli alimenti. Aimo era un oste, un intrattenitore, ma soprattutto era un cultore dell’accoglienza. Insieme alla moglie, compagna di vita e di fornelli, ha costruito un immaginario gastronomico sconosciuto a Milano fino al loro arrivo. Perché i due facevano parte di quell’invasione gastronomica Toscana che ha reso grandi i ristoranti milanesi, facendo scoprire alla città lombarda l’esistenza di altre cucine e di altre materie prime.
Quando si parla di cucina italiana contemporanea, il nome di Aimo Moroni appare come una pietra miliare. Nato a Pescia, in Toscana, nel 1934, figlio di un carabiniere e di una cuoca che lavorava nelle case nobiliari, ha respirato fin da giovanissimo il profumo della cucina autentica. A dodici anni si trasferisce a Milano con la madre, portando con sé le radici della sua terra e un’educazione al gusto che avrebbe fatto scuola. Si racconta che iniziò vendendo caldarroste con un carretto, chissà se questa è una storia inventata o storytelling ante litteram. Il passo decisivo arriva nel 1962, quando insieme a Nadia Giuntoli – compagna di vita e di avventura, anche lei originaria della Toscana – apre una trattoria in via Montecuccoli, alla periferia di Milano. Era il “Luogo di Aimo e Nadia”, che in pochi decenni sarebbe diventato uno dei ristoranti più importanti del Paese. Dalla cucina di ispirazione toscana, fatta di ingredienti semplici e sapori riconoscibili, nasce un linguaggio personale e potente: un racconto dell’Italia a tavola che ha saputo unire memoria e innovazione, piacevolezza e rigore tecnico.
La prima stella Michelin arriva nel 1980, la seconda una decina d’anni più tardi: un riconoscimento a uno stile che non ha mai ceduto alle mode, ma ha sempre difeso la centralità del prodotto e la purezza del sapore. Nei suoi piatti si riconosce la lezione più alta: l’idea che la cucina sia cultura, e che il talento da solo non basti senza studio, conoscenza e ricerca assoluta.
A più di sessant’anni dall’apertura, il Luogo rimane il testamento spirituale e gastronomico di un uomo che ha saputo fare un passo indietro al momento giusto, identificando in due giovani e promettenti cuochi il suo futuro e lasciando a loro la sua eredità. Oggi continua a vivere grazie alla figlia Stefania e agli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che hanno raccolto l’eredità con rispetto e coraggio, e sono stati in grado negli anni di interpretare quegli insegnamenti con garbo e professionalità, senza mai tradire quella visione originaria di cucina vera, fatta di grandissimi ingredienti e di appassionato rapporto con gli ospiti, non clienti ma amici da accompagnare alla scoperta di nuovi sapori. Accanto al ristorante, il mondo Aimo e Nadia si è ampliato, con nuovi spazi come il BistRo e Voce, sempre fedeli alla filosofia originaria: dare voce al territorio, all’arte, al design, attraverso la cucina.
Aimo Moroni resta un maestro silenzioso ma imprescindibile, custode di un pensiero che ha reso grande la cucina italiana nel mondo. Un pensiero che continua a ispirare chi, oggi, cerca nella tavola non solo piacere, ma anche identità, memoria e bellezza.
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