Bologna è diventata la città dei salumi e dei cappuccini spiegati bene

Ottobre 1, 2025 - 23:30
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Bologna è diventata la città dei salumi e dei cappuccini spiegati bene

Sono le nove di mattina, e sono seduta a un tavolo il cui cartellino dice: prenotato per le 10. In questo bar ci sono tre tavolini in tutto, e non hanno mai preso prenotazioni, finché Bologna non ha smesso d’essere dei bolognesi ed è diventata di RyanAir.

Il problema di diventare una città di RyanAir è che, ai turisti che vengono qui, poi devi fargli fare qualcosa tutto il giorno, e a Bologna non c’è niente da fare, niente da vedere, nessun monumento (questo è uno di quegli articoli sotto i quali l’Instagram del giornale si riempie di bolognesi, principali esponenti dello schieramento «tu a mia mamma che non ha attrazioni non glielo dici capitoooo», che ci tengono a dire che Bologna ha ben due musei).

Quindi le guide turistiche portano il turista a vedere i salumi, giuro. O a bere il cappuccino. La guida che spiega loro che il bicchierino d’acqua che ti danno lo devi bere prima e non dopo mi strazia ogni volta: c’è Starbucks in tutto il mondo, pensi veramente che esista qualcuno cui devi far scoprire il cappuccino? Persino gli eschimesi avranno ormai imparato a dire «percaritadiddiono» appena un barista inizia a chiedere se ci vuoi il cacao sopra.

Dovrei bere il cappuccino velocemente e andare verso l’impegno più importante della mia giornata, quello col parrucchiere, ma tra i portati di RyanAir c’è che un mondo che puoi vedere con trenta euro di volo non è un mondo che ti faccia venir voglia a fare un lavoro pagato come quando viaggiare era un lusso, un lavoro che oltretutto ti fa stare in piedi tutto il giorno. Insomma: alla macchina del caffè c’è un’apprendista, come quasi sempre.

Nei venti minuti in cui aspetto per poi ricevere mezza tazza di cappuccino troppo bollente per essere bevuto, mi metto a chiacchierare con un turista del tema «lentezza dei baristi locali». Il turista ha uno zaino che, mi spiega, ora cercherà un deposito in cui lasciare, giacché la morte di ogni economia determina la nascita di economie nuove, e il viaggiare miserabile dormendo in Airbnb che non ti terranno in custodia il bagaglio come facevano gli alberghi di quand’eravamo meno miserabili ha fatto nascere dei depositi bagagli nel mezzo delle città.

Posti senza personale in cui metti il bagaglio in un armadietto, oppure posti che fanno un po’ di tutto, sali, tabacchi, ritiro dei pacchi dai corrieri per chi a casa non ha una portineria, custodia bagagli per i turisti, stampa allegati delle mail.

Quelli senza personale sono l’abolizione del lavoro umano da ben prima dell’intelligenza artificiale, se avete viaggiato a spese altrui negli ultimi anni vi saranno capitati quegli inferni chiamati alberghi diffusi, che non sono né Airbnb né veri alberghi, solo posti in cui nessuno è in grado di chiamarti un taxi perché nessuno c’è: accedi al cosiddetto albergo con un codice numerico, non ti tocca fare conversazione con nessuno ma se qualcosa va storto ti arrangi.

Un’amica aveva lasciato il caricabatterie in uno di questi inferni vicino casa mia, mi sono impuntata che non lo dovesse ricomprare, e ho scoperto che l’unico modo di recuperarlo era andare lì nella mezz’ora in cui ogni mattina c’è una cameriera che cambi le lenzuola, unico essere umano che può aprirti la porta e consegnarti un oggetto dimenticato. Gli altri forse non esistono, ti rispondono da una chat, perché nessuno risponde più al telefono parlando, come si faceva quando eravamo civili.

Domenica il Sunday Times aveva il resoconto d’una giornalista che era andata a dormire allo Zedwell Capsule, un albergo da trenta sterline a notte. Considerato che ormai un tre stelle a Milano ne costa quattrocento, trenta a Londra mi sembra una roba impossibile: voglio dire, ne costa venticinque (in seconda classe, solo andata) il trenino dall’aeroporto alla città.

L’articolo conferma quel che si vede nella foto: non è una stanza, è un giro di prova per la propria sepoltura. C’è un po’ più spazio che in una risonanza magnetica, dice la giornalista, assai più disposta a fare l’inviata in situazioni estreme di quanto lo sia mai stata la Fallaci. Ti devi portare il lucchetto per chiudere la bara in cui dormi, però il bagaglio te lo tengono in deposito, come negli alberghi veri (anche perché nella bara mica ci entra una valigia, la giornalista non è alta e può star seduta ma non in piedi).

Tuttavia pare soddisfatta, dice che ha dormito bene e che se vivi non in centro e fai tardi la sera ti costa meno del prezzo d’una macchina Uber per tornare a casa. E io inizio a fantasticare su queste città che fanno di tutto per attirare i turisti e niente per tenersi i cittadini in cui, tutto sommato, conviene dormire nella bara a Piccadilly: con quel che costa un affitto là intorno, novecento sterline al mese è regalato, sei a Soho. Certo, non si sa a far che, ma ci sei (la giornalista nota che tra i vari distributori che vendono cose alla clientela c’è anche quello di preservativi, anche se non si capisce bene come si possa avere lo spazio d’accoppiarsi in uno di quei loculi).

Il turista che aspetta come me un cappuccino lentissimo vuole assaggiare i tortellini, gli dico che vanno mangiati in brodo e non fa ancora abbastanza freddo, ma può provare quell’eresia che sono i tortellini fritti, i bolognesi cui piacciono vengono impietosamente irrisi ma lui è turista e non è tenuto a standard di condotta alimentare.

Poco dopo gli spiego l’esistenza delle sfogline, e lui che non era mai stato a Bologna ma ha Netflix s’illumina: the nonnas! No, non necessariamente le nonne, le sfogline tirano la sfoglia di mestiere, tengono anche corsi da quando appunto RyanAir e appunto la gastrocrazia. E soprattutto da quando, appunto, a tirar la sfoglia non c’insegnano più le nostre nonne. Proprio qui dietro c’è un ristorante che le ha messe in vetrina, col loro bravo mattarello, così vi fanno folklore e siete contenti. Annuisce soddisfatto d’essere abbastanza sgamato da riconoscere una tourist trap.

Poco dopo passo davanti a un murale. C’è scritto «Tourists, go home». Chissà chi l’ha disegnato cosa pensava. Sarà qualche studente fuori sede che non si rende conto che la sovrappopolazione turistica è ciò che fa sì che, con la sua inutile laurea del Dams, lui possa un domani andare a lavorare in uno dei diecimila posti che servono affettati (che a Bologna si chiamano «tagliere», dall’oggetto su cui sono poggiati: ho giurato eterno amore alla cameriera che, sentendosi chiedere da due turisti cosa fosse quella voce in menu, «tagliere», rispose «un pezzo di legno»).

Ogni economia che muore ne fa nascere un’altra. Sono i turisti che fanno sì che ogni civico di Bologna diventi un bistrot e che ognuno degli sfaccendati cui abbiamo pagato un’istruzione universitaria perché si percepissero élite abbia un domani un impiego all’altezza delle sue potenzialità intellettuali. E sono i turisti che fanno sì che gli studenti più ricchi, invece, più ricchi ma anch’essi non esattamente fulmini di guerra, possano evitare d’infelicitare il mondo con le loro incompetenze professionali: i genitori potranno affittare a esose cifre da Airbnb quel secondo appartamento, e mantenerli in eterno.

Finché non smantellano i bistrot, e li trasformano in loculi nei quali dormire a prezzo politico. Mi pare ottimo per i turisti, ma anche per risolvere la crisi degli alloggi troppo cari per gli universitari: possibile che non ci abbiano ancora pensato?

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Redazione Redazione Eventi e News