UE: gli Stati membri devono riconoscere i matrimoni gay contratti all'estero

Novembre 26, 2025 - 23:30
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UE: gli Stati membri devono riconoscere i matrimoni gay contratti all'estero

lentepubblica.it

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza destinata ad avere un impatto significativo sul rapporto tra diritto nazionale e libertà di circolazione dei cittadini europei.


Con la decisione relativa alla causa C-713/23, i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che un Paese membro non può rifiutare il riconoscimento di un matrimonio tra persone dello stesso sesso validamente celebrato in un altro Stato dell’Unione, quando tale coppia ha esercitato il proprio diritto a trasferirsi e soggiornare in un diverso Paese europeo.

Il caso al centro della vicenda

Il caso riguarda due cittadini polacchi che, dopo essersi uniti civilmente a Berlino nel 2018—uno di loro possiede anche la nazionalità tedesca—hanno chiesto che il loro matrimonio fosse trascritto nei registri polacchi dello stato civile. Tale trascrizione rappresenta in Polonia l’unico strumento formale attraverso cui le autorità riconoscono i matrimoni celebrati all’estero, permettendo alle coppie coinvolte di vedersi attribuiti i diritti connessi allo stato coniugale. La richiesta è stata tuttavia respinta, con la motivazione che l’ordinamento polacco non contempla il matrimonio tra persone dello stesso sesso e che procedere alla registrazione avrebbe violato i principi fondamentali del diritto interno.

La coppia ha impugnato il rifiuto, e il procedimento è giunto fino alla Corte amministrativa suprema polacca. Quest’ultima, ritenendo che il caso sollevasse interrogativi rilevanti per l’applicazione del diritto europeo, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia per chiarire se una normativa nazionale che impedisce il riconoscimento di un matrimonio omosessuale contratto in un altro Stato membro sia compatibile con le libertà garantite dall’Unione.

UE: gli Stati membri devono riconoscere i matrimoni gay contratti all’estero

I giudici europei hanno ricordato che la regolamentazione del matrimonio rientra nelle competenze degli Stati membri, ma questo potere non può essere esercitato in contrasto con le norme comunitarie. In particolare, i cittadini dell’Unione hanno il diritto di muoversi e risiedere in qualunque Paese dell’UE, oltre alla possibilità di mantenere una vita familiare stabile durante tale spostamento e al ritorno nel proprio Paese d’origine. Quando una coppia costruisce un nucleo familiare in un altro Stato membro, deve poter continuare a beneficiare di quello stesso status una volta tornata a casa, senza essere costretta a subire ostacoli burocratici o a vivere come se non fosse sposata.

Secondo la Corte, rifiutare il riconoscimento di un matrimonio validamente celebrato in un altro Paese dell’UE compromette gravemente l’esercizio dei diritti derivanti dalla cittadinanza europea. Questa scelta, infatti, può generare problemi sia nella vita privata sia in quella professionale, oltre a comportare difficoltà amministrative rilevanti. Le persone interessate rischierebbero di non vedersi riconosciuti diritti fondamentali legati allo status coniugale, come ad esempio decisioni sanitarie congiunte, benefici sociali, semplificazioni fiscali o procedure relative alla residenza.

Il divieto di riconoscimento confligge con il diritto dell’UE

La Corte ha quindi concluso che un simile diniego confligge con il diritto dell’Unione, poiché limita la libertà di circolazione e soggiorno e contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Quest’ultimo diritto, hanno sottolineato i giudici, non può essere sacrificato in nome della struttura costituzionale di uno Stato membro, soprattutto quando non è in discussione alcun obbligo di introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel diritto interno.

L’obbligo imposto agli Stati membri riguarda solo il riconoscimento, ai fini dell’ordinamento dell’Unione, dello status acquisito all’estero, senza pregiudicare l’autonomia dei singoli Paesi nel definire le proprie norme matrimoniali. In altre parole, la sentenza non impone alla Polonia—and a nessun altro Stato europeo che non ammette il matrimonio omosessuale—di modificarne la disciplina familiare, ma stabilisce che, quando una coppia si è sposata in un altro Paese dell’UE dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale, quello status deve essere riconosciuto almeno per garantire la piena applicazione dei diritti europei.

Come deve avvenire il riconoscimento?

Un punto fondamentale della pronuncia riguarda le modalità attraverso cui questo riconoscimento deve avvenire. I giudici hanno affermato che gli Stati membri possono scegliere la procedura che ritengono più adeguata, ma tali modalità non devono rendere il riconoscimento irrealizzabile o discriminatorio. Non è ammissibile, ad esempio, che un Paese permetta la trascrizione dei matrimoni eterosessuali celebrati all’estero e neghi invece la stessa possibilità alle coppie omosessuali, poiché ciò costituirebbe un trattamento diseguale basato sull’orientamento sessuale.

Nello specifico, la Polonia prevede la trascrizione come unico mezzo per riconoscere i matrimoni contratti fuori dai propri confini. Questo comporta, secondo la Corte di Giustizia, l’obbligo per le autorità polacche di applicare tale meccanismo anche ai matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati negli altri Paesi dell’Unione. Un mancato adeguamento significherebbe impedire l’esercizio dei diritti garantiti dal diritto europeo, violando il principio di non discriminazione e quello di leale cooperazione tra gli Stati membri.

L’impatto della pronuncia giuridica

La sentenza rappresenta un nuovo tassello nell’evoluzione giuridica europea in tema di diritti delle coppie omosessuali e consolida la linea già tracciata in precedenti decisioni della Corte, che più volte ha ricordato come la libertà di circolazione non possa essere compressa da normative nazionali che negano il riconoscimento di situazioni familiari legalmente costituite in un altro Stato membro. Per le coppie interessate, il verdetto apre la strada a un maggiore livello di tutela e certezza giuridica, soprattutto in quei Paesi dell’Unione dove il matrimonio egualitario non è ancora previsto.

Il comunicato della Corte di Giustizia UE

Qui il documento completo.

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