Concorso Agenzia delle Entrate 2025: 100mila candidati per un sogno quasi impossibile?

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Ci troveremo di fronte a una competizione molto serrata e a un numero quasi spropositato di candidati rispetto ai posti disponibili: sono quasi 100mila coloro che parteciperanno al Concorso dell’Agenzia delle Entrate 2025.
Per la precisione novantasettemila persone in corsa per meno di tremila posti. È questo il bilancio del maxi concorso indetto dall’Agenzia delle Entrate, che alla chiusura delle iscrizioni – l’11 agosto 2025 – ha visto arrivare ben 97.367 domande per i 2.700 incarichi da funzionario. Numeri che fotografano un entusiasmo smisurato verso una carriera nella macchina fiscale dello Stato, ma che allo stesso tempo raccontano la disperata ricerca di stabilità di un Paese in cui il “posto fisso” è diventato un miraggio per intere generazioni.
Quando avrà luogo la prova scritta?
La selezione scritta, calendarizzata per il 9 ottobre, riguarderà nello specifico 350 unità per l’area giuridico-tributaria, con mansioni nell’ambito dell’adempimento collaborativo e della fiscalità internazionale. Un profilo tecnico, di alta specializzazione, che attira laureati in discipline giuridiche ed economiche, ma che richiede competenze di livello elevato. Le sedi d’esame sono state assegnate in base alla residenza dichiarata dai candidati: niente possibilità di modifiche, nessuno spostamento ammesso. Chi non si presenterà nel luogo e nell’orario stabiliti sarà escluso senza appello.
Qui la Circolare dell’Agenzia con diario e sedi della prova scritta.
Concorso Agenzia delle Entrate 2025: 100mila candidati sono troppi?
Il dato che colpisce di più è la sproporzione tra partecipanti e posti disponibili: meno del 2,8% degli iscritti riuscirà a ottenere il contratto a tempo indeterminato. In pratica, solo 1 candidato su 35 potrà dire di avercela fatta. Per tutti gli altri, resterà l’amaro in bocca di aver dedicato settimane, talvolta mesi, allo studio di manuali, codici tributari e banche dati, senza vedere un ritorno concreto.
Questa forbice enorme tra aspiranti e vincitori apre inevitabilmente una riflessione sul funzionamento dei concorsi pubblici in Italia. Da un lato, essi rappresentano un presidio di trasparenza e meritocrazia, uno strumento che teoricamente garantisce pari opportunità a tutti. Dall’altro, però, finiscono spesso per trasformarsi in veri e propri imbuti sociali, dove migliaia di giovani laureati vengono risucchiati nella speranza di una sicurezza economica che sfugge alla maggior parte di loro.
Il mito del posto fisso
Il successo clamoroso del bando dell’Agenzia delle Entrate conferma come la Pubblica Amministrazione resti, nell’immaginario collettivo, l’approdo più sicuro in un mercato del lavoro dominato da contratti precari e stipendi stagnanti. Nonostante le criticità legate a carichi di lavoro elevati, rigidità burocratiche e responsabilità crescenti, il “posto statale” continua a esercitare un fascino indiscusso: stipendio certo, tutele sindacali, ferie garantite e, soprattutto, stabilità.
In un’Italia dove il lavoro a tempo indeterminato nel privato è sempre più raro, e dove le imprese spesso offrono contratti brevi e mal retribuiti, la possibilità di entrare nella macchina pubblica rappresenta per molti l’unica via per costruire un futuro. Ma il prezzo da pagare è altissimo: anni di preparazione, concorsi che si svolgono a distanza di molto tempo l’uno dall’altro, e probabilità di successo ridotte al minimo.
Giovani intrappolati nella competizione permanente
Tra i quasi centomila candidati, la maggioranza sono under 35. Laureati freschi di università, spesso con titoli specialistici o master, che inseguono un’occasione di riscatto. A loro si affiancano professionisti già avviati ma insoddisfatti delle condizioni nel settore privato, e persino lavoratori precari della stessa Pubblica Amministrazione, che vedono nel concorso l’unica chance di stabilizzazione.
Il paradosso è che la selezione rischia di trasformarsi in una gigantesca lotteria: il talento e la preparazione contano, certo, ma a fronte di decine di migliaia di candidati brillanti, anche il più qualificato può non riuscire a spuntarla. Il risultato è un esercito di persone costrette a ripiegare su nuovi bandi, entrando in una spirale infinita di concorsi che diventano, di fatto, una seconda occupazione.
Il costo umano dei concorsi
Studiare per mesi, magari lasciando un lavoro temporaneo o riducendo drasticamente il tempo da dedicare alla famiglia, per poi ritrovarsi esclusi da un sistema che premia pochissimi, è un sacrificio che lascia cicatrici. Molti raccontano la frustrazione di aver investito energie e denaro in corsi di preparazione, libri e simulazioni, senza ottenere nulla in cambio.
Eppure, lo Stato sembra non interrogarsi abbastanza sulle conseguenze di questa dinamica. Se da un lato il maxi concorso attira titoli e laureati di qualità, dall’altro alimenta una percezione di ingiustizia diffusa, dove il merito rischia di confondersi con la mera fortuna. In un Paese in cui la disoccupazione giovanile resta una piaga strutturale, la corsa a questi bandi evidenzia più la mancanza di alternative che l’effettiva attrattiva della carriera pubblica.
Una selezione che fotografa le contraddizioni italiane
Il concorso dell’Agenzia delle Entrate diventa così un simbolo delle contraddizioni italiane: da un lato lo Stato annuncia piani di assunzione e rafforzamento della macchina amministrativa, dall’altro i numeri mostrano che le opportunità concrete sono pochissime rispetto alla domanda di lavoro.
La vicenda mostra anche il fallimento del settore privato nel trattenere i giovani più qualificati: se quasi centomila persone decidono di mettersi in fila per un esame che offre meno del 3% di possibilità di successo, significa che fuori da lì le prospettive sono ancora più incerte.
La vera sfida: superare l’illusione concorsuale
In un contesto del genere, la politica dovrebbe porsi una domanda urgente: può un Paese che ambisce alla crescita affidarsi a un modello di reclutamento che lascia per strada il 97% dei candidati? La risposta non può limitarsi a moltiplicare i bandi o a velocizzare le procedure. Serve una strategia più ampia, capace di creare lavoro dignitoso anche al di fuori della Pubblica Amministrazione.
Fino ad allora, concorsi come quello dell’Agenzia delle Entrate continueranno a funzionare come specchi per le allodole: attirano folle immense, promettono stabilità a pochi, e lasciano dietro di sé un’intera generazione di esclusi. Una competizione spietata che racconta meglio di ogni statistica quanto sia fragile oggi il patto sociale in Italia.
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