Conto alla rovescia per il “Liberation day” di Trump. I dazi fanno tremare il fashion europeo e lo sportswear

Il “Liberation day” degli Stati Uniti è ormai in arrivo e l’Italia, insieme al resto del mondo, attende in trepidante attesa di sapere come si concretizzeranno le profezie sui dazi di Donald Trump. Il nuovo presidente degli States annuncerà la stretta doganale alle ore 16 locali, ovvero intorno alle 22 in Italia, nel rose garden della Casa Bianca, illustrando i nuovi provvedimenti ispirati al – da lui stesso definito – criterio della reciprocità: “Tassiamo chi ci tassa”, ha detto e ribadito Trump. La prospettiva di una guerra commerciale a suon di dazi tra Europa e Stati Uniti, intanto, preoccupa e non poco il governo italiano.
“Bisogna evitare di alimentare un’escalation di dazi contro dazi, perché tutti ne farebbero le spese”, è stato l’invito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che verosimilmente cercherà di approfittare della visita a Roma del vicepresidente Usa J.D. Vance, attesa per la fine di aprile, per provare a mitigare la resistenza statunitense. Tanto più se si considera come il made in Italy, dal settore food al farmaceutico fino ovviamente al tessile-moda, sia particolarmente esposto alle possibili ripercussioni di un nuovo assetto doganale, che promette di diventare operativo all’indomani della sua ratifica.
Non è ancora chiaro, al momento, se Trump – dopo il primo colpo inferto alla Cina con una tariffa del 10% introdotta già a inizio marzo – intenda varare dazi specifici Paese per Paese – tra le ipotesi più gettonate – o se nel mirino ci siano solo alcune nazioni. Tra le possibilità contemplate dalla strategia del politico repubblicano, hanno indagato ultimamente le testate americane, ci sarebbe anche quella di introdurre un’unica tariffa fissa del 20% su tutte le importazioni, mossa che – stando alle stime dei consulenti della Casa Bianca – potrebbe garantire al governo a stelle e strisce 6 trilioni di dollari entrate extra.
Se tale scenario si verificasse – ha pronosticato la società Moody’s, con tono allarmista – il tasso di disoccupazione subirebbe un’impennata oltreoceano, salendo al 7,3%, mentre il Pil calerebbe dell’1,7% pena un trend di recessione per l’intera economia mondiale. Ad ogni modo, se i dazi saranno applicati a livello universale, riguarderanno importazioni per 3,3 milioni di dollari, e rischiano di dare il via a una vera e propria escalation dalle conseguenze ancora difficili da prevedere.
Nonostante la strategia del dialogo portata avanti dal governo, la speranza, a lungo coltivata, che gli Usa potessero fare eccezioni per il Belpaese è ormai poco quotata, e l’Italia – anzi – rischia di pagare un conto piuttosto salato se i dazi dovessero prendere corpo, se si pensa che nel 2024 le esportazioni di beni italiani oltreoceano hanno sfiorato i 65 miliardi di euro.
E anche il sistema moda accuserebbe dei contraccolpi, nonostante nel 2024 tutti i settori che lo compongono abbiano messo a segno una flessione (quasi tutti single digit) rispetto all’anno precedente. Riguardo al tessile e abbigliamento, i dati di Confindustria Moda evidenziano una flessione dello 0,7% rispetto al 2024, con un interscambio complessivo pari a 2,8 miliardi di euro, mentre i cali appaiono lievemente più pronunciati nei comparti presidiati da Confindustria Accessori Moda: le calzature, nello specifico, nel 2024 hanno contato esportazioni pari a 1,38 miliardi di euro (-4,9%); a seguire la pelletteria, con 1,21 miliardi (1,6%), la concia con 162 milioni (-4,1%), e la pellicceria con i suoi 21 milioni (-11,9%).
Nonostante ciò, gli Usa restano un mercato strategico – nel 2024 il terzo nel ranking italiano delle mete d’esportazione – e la prospettiva dei dazi non lascia indifferenti le associazioni: “Sin dall’inizio – ha commentato Giovanna Ceolini, presidente di Confindustria Accessori Moda – abbiamo guardato con estrema preoccupazione ai dazi annunciati da Donald Trump, in quanto potrebbero rappresentare un altro duro colpo per gli accessori moda italiani, quindi per le nostre imprese e i lavoratori. Le esportazioni in Usa dei prodotti delle aziende che come Confindustria Accessori Moda rappresentiamo, quindi dei comparti calzaturiero, pelletteria, conceria e pellicceria, nel 2024 hanno raggiunto un valore di quasi 3 miliardi di euro, una cifra importante che, seppur abbia visto una contrazione del 3,5% rispetto al 2023, riflette la solidità delle nostre esportazioni e l’apprezzamento per la qualità e la creatività del made in Italy”.
Proseguendo: “L’introduzione dei dazi rischia di compromettere questo risultato e le esportazioni potrebbero subire un drastico ridimensionamento a causa dell’inevitabile aumento dei costi per i consumatori americani e, conseguentemente, con il calo della loro volontà d’acquisto. Auspichiamo per conseguenza che non si passi dalle parole ai fatti, augurandoci che l’Italia e l’Europa riescano ad arginare questo rischio”.
Concorda Sergio Tamborini, presidente di Confindustria Moda: “La moda nella su dimensione globale è chiamata a ridisegnare rotte e approvvigionamenti. Per come è strutturata la filiera a preoccupare non sono, infatti, soltanto i dazi americani sui prodotti europei e le conseguenze dirette in termini di mancati ricavi, quanto l’impatto delle misure sulle fasi produttive e distributive, a partire dall’approvvigionamento delle materie prime e nella confezione dei capi. Le aziende e i brand si trovano a far fronte a un’ennesima sfida: ritoccare ulteriormente i listini o scegliere nuove destinazioni per la produzione e il commercio”.
Già a novembre, la società di consulenza Prometeia aveva ipotizzato il danno economico per le imprese italiane, fornendo un duplice dato che torna più che mai attuale. Due gli scenari che erano stati presentati dalla società: il primo simula un aumento di 10 punti percentuali limitato a quei prodotti che già oggi sono sottoposti a dazi e nessuna tassa per quelli che sono invece esenti mentre il secondo simula invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti per tutti i prodotti importati dagli Stati Uniti. Nel caso di aumenti limitati ai prodotti già colpiti, il sistema moda, già oggi insieme all’agroalimentare uno dei più esposti nell’ambito del made in Italy, pagherebbe il costo maggiore, dovendo fronteggiare oltre un miliardi di dollari di dazi, dai circa 700 milioni di dollari del 2025.
Intanto, lo spettro dei dazi in Vietnam fa tremare il mondo dello sportswear. Nike, in particolare, si legge su Reuters, potrebbe a breve subire un duro colpo nel pieno del suo processo di rilancio in seguito al declino delle vendite, proprio per via delle potenziali tariffe imposte da Trump sulle importazioni dal Paese del Sud-est asiatico. Il Vietnam, che vanta un surplus commerciale di 123,5 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, rischia di essere tra gli obiettivi primari della strategia trumpiana. Non sarebbe l’unico brand sportivo a patirne le conseguenze, anche se in misura minore: se Nike produce il 50% delle sue calzature e il 28% del suo abbigliamento in Vietnam, stando ai dati del 2024, la sua rivale Adidas è lievemente meno esposta ma pur sempre interessata, con il 39% e il 18% rispettivamente di calzature e abbigliamento prodotti nel Paese.
Restano da capire gli impatti sul mondo del lusso. Nonostante il mondo dell’alto di gamma appaia meno vulnerabile nella prospettiva di un nuovo assetto tariffario, i mercati si sono mostrati agitati a ridosso del cosiddetto “Liberation Day”, con listini azionari che vedono i player italiani in leggero ribasso e tenere alta l’asticella, invece, i colossi francesi Kering, Lvmh ed Hermès.
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