Dalla pista alla rete: il potere dei creator e delle community nell’era della viralità

Dai campi delle maggiori competizioni alle palestre di quartiere, fino alle strade cittadine, lo sport oggi detta tendenza, e non solo. Non riguarda più esclusivamente performance o spettacolo, ma un linguaggio capace di contagiare la moda e ridefinire le dinamiche dell’influencer marketing. E se anche i grandi brand del lusso scelgono sempre più campioni come volti delle loro campagne e delle loro attivazioni, il messaggio filtra rapidamente verso il basso: cresce l’attenzione per creator medi e micro che, in ambito sportivo, tra allenamenti, gare locali e racconti di attività quotidiana, diventano nuove voci credibili e vicine al pubblico, raggiungendo forse il traguardo più ambito: nutrire una community di appassionati.
Ma come si arriva a questo tipo di fiducia con il consumatore finale? Ancora una volta, i valori sembrano essere il punto di svolta, con una piccola differenza rispetto ai grandi nomi sportivi: queste figure di nicchia possono essere viste come i veri insider. Testano prodotti, condividono routine, rispondono ai commenti, creano engagement. Questo perché, per questioni di numeri, è certamente più facile instaurare un dialogo con figure più ‘basse’, tramutando qualcosa di aspirazionale in un momento di quotidianità, la gara di atletica in una corsa al running club nel cuore della città.
Come spiega a Pambianco Magazine Alberto Fiasconaro, direttore marketing di Cisalfa Group, “l’amplificazione del linguaggio sportivo da parte del mondo fashion ha abbattuto barriere e gerarchie, lasciando spazio anche a voci più piccole ma autorevoli. Il creator ‘di nicchia’, che magari parla di running tecnico, calcio o trekking, diventa un punto di riferimento per chi cerca consigli esperienziali e di prodotto in quei settori”. Una spinta che, come accennato, arriva direttamente ‘dall’alto’, generando una narrazione molto coerente, dove il creator si fa storyteller e ponte emotivo tra brand e community, a favore di un pubblico che cerca relazioni più personali con i prodotti.
“L’attenzione rivolta agli atleti professionisti genera un’eco culturale che apre la porta a figure nuove, capaci di unire estetica, competenza e passione. In questo senso, i micro e nano influencer sportivi diventano catalizzatori di community e cultura”. Anche in questo caso, per le aziende si parla ovviamente di scounting e di trovare il giusto ‘match’, perché – come sottolinea Fiasconaro – “collaborare con loro significa attivare una narrazione coinvolgente che parla agli sportivi, ma anche a chi si avvicina al mondo active per identità, gusto o aspirazione”.
E nel caso di Cisalfa Group, tra i player più attenti alle dinamiche di influencer marketing, la scelta cade anche su figure che non praticano sport a livello agonistico. “Per noi, la dimensione dello sportivo – in tutte le sue forme – e la sua autenticità restano fondamentali: ciò che ci interessa è il modo in cui incarnano uno stile di vita attivo, coerente e ispirazionale, capace di entrare in relazione con le persone”. Per l’azienda la coerenza è l’elemento che fa la differenza: “l’atleta non deve snaturare la propria identità per ‘fare pubblicità’, ma restare fedele al proprio tono di voce e integrare i messaggi in modo naturale, nel racconto autentico del proprio percorso. Vediamo un interesse crescente verso atleti che rappresentano territori, comunità, discipline, così come verso talent minori ma ad alto impatto identitario”.
Missione Fidelizzazione
In uno spaccato sempre più vasto, il giovane content creator Giovanni Maione, classe 2001, è un esempio perfetto di come influencer più ‘piccoli’ possano diventare punti di riferimento credibili nel panorama sportivo. La sua capacità di costruire una community autentica è il risultato di un impegno costante e di una strategia che mette al centro i valori, piuttosto che i numeri (nonostante abbia da poco raggiunto i 100mila follower su Instagram).
“L’importante è che ci sia valore e che io possa riuscire a trasmetterlo alla mia community. Quello che sta diventando sempre più importante è il grado di fidelizzazione delle persone”, racconta Maione, sottolineando come ogni collaborazione debba essere in linea con la propria identità. “Se non fosse per chi mi segue, io non starei facendo questo lavoro” aggiunge, testimoniando quanto il rapporto con i suoi follower sia fondamentale.
Un racconto, quello tramite i suoi profili social, che è iniziato durante il periodo della pandemia, con contenuti prettamente legati alla corda, e che poi si è concentrato, tre anni dopo e a seguito di un trasferimento a Milano, sulla corsa, disciplina oggi molto in tendenza grazie a cui è riuscito a fondare uno dei primi running club del capoluogo lombardo (con tanto di newsletter dedicata), insieme all’amico e creator Leonardo Marozzi. E se all’inizio i numeri, su Instagram e TikTok, faticavano a salire, perché “pubblicavo tanto, ma non in maniera ordinata, non avevo una verticalità”, con il passare del tempo la prima collaborazione importante è arrivata con Asics.
“Per me è fondamentale che il pubblico possa sentire che ciò che faccio – sto raccontando un prodotto o un servizio tramite una sponsorizzazione – non è solo un contenuto, ma una parte di me. Mi chiedo cosa guadagneranno le persone che mi seguono. Se poi è posizionante, è un valore aggiunto,” racconta, mettendo l’accento su come un aspetto fondamentale del suo approccio rimanga la trasparenza: “Non mi importa quanto mi pagano, dico no a una collaborazione se non credo che ci sia un valore. L’atleta non deve snaturare la propria identità per fare pubblicità”.
A conferma di questa visione, Maione ha sempre cercato di instaurare relazioni con brand che condividono i suoi valori. “Non è tanto una questione di numeri,” dice, “ma quanto l’engagement autentico che riesci a creare con la community”. Ecco perché, in un settore sempre più affollato da influencer, la sua scelta di focalizzarsi sulla qualità della relazione piuttosto che sulla quantità di follower gli ha permesso di emergere come una voce credibile nel settore. “Se non sei veramente tu – avverte, infine -, finisce che ti bruci. Il burnout arriva quando non sei autentico”.
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