Dragon Quest I e II Remake Anteprima – Gamescom 2025


A Colonia abbiamo avuto la possibilità di provare Dragon Quest I e II Remake, un'operazione di restauro dalla notevole complessità e rivolta a due capisaldi del gioco di ruolo. Prima di entrare nel dettaglio, vorremmo tracciare un breve compendio della genesi della saga, necessario per comprendere l'importanza di questi due capitoli e il motivo per cui sono stati riproposti.
Non sarà stato il primo Jrpg della storia e di certo non il primo gioco di ruolo, ma Dragon Quest I è la ragione per cui il genere si è imposto come la colonna portante del mercato videoludico giapponese e possiede tuttora rilevanza globale. La genesi della serie è, inoltre, più complessa di quanto possa apparire e sfata, in parte, la visione di coloro che vorrebbero un abisso tra GDR occidentale e orientale.
A fulminare un giovane Yuji Horii alla ricerca di idee per il suo ambizioso progetto fu nient'altro che Wizardry: uno dei padri illustri degli RPG americani, che il designer decise di semplificare ed adattare al Famicom, in quel momento dominante nel mercato nipponico, e all'utilizzo del controller.
Il tassello finale fu il reclutamento di un Akira Toriyama, allora all'apice del suo successo, per occuparsi del comparto artistico del titolo e conferire alla saga un aspetto e un fascino capaci di trascendere le epoche. E poiché ancora oggi si parla di queste opere, il piano deve essere riuscito alla perfezione.
A dispetto di ciò che la numerazione potrebbe suggerire, Dragon Quest 1 e 2 sono sequel del terzo capitolo, il cui remake è già disponibile su tutte le piattaforme, e seguono le vicende degli eredi del leggendario eroe Erdrick alle prese con il cataclisma di turno pronto a divellere il loro regno dalle fondamenta.
Come tutti i primi capitoli, tuttavia, anche questi sono appena embrioni di ciò che l'IP sarebbe diventata e dinanzi a Square Enix si profila un'impresa ben più ardua di quella compiuta per le avventure di Roto. Abbiamo potuto provare l'operazione di remake a fondo e numerosi dubbi si sono finalmente sciolti. Questo è ciò che ne pensiamo.
Cosa cambia in Dragon Quest I e II Remake
L'epopea di Dragon Quest 1 si è aperta in maniera inusitata, ponendoci dinanzi a una visione del gioco di ruolo ch'ora apparirebbe quasi inconcepibile. Il viaggio dell'eroe è, infatti, un errare silenzioso e solitario, una missione senza compagni a rischiararci la via e darci manforte nel pericolo.
L'assenza totale di un party è spiazzante e costringe a ripensare da capo il paradigma strategico normalmente utilizzato per titoli affini. Ciò vale anche per i veterani della serie, storicamente avvezzi a confrontarsi con una sola minaccia alla volta e ora costretti a respingere assalti multipli.
Il lavoro svolto sulle meccaniche del capostipite è altamente trasformativo e rivela come la stessa Square Enix abbia ben chiara la necessità di ritoccarne gli equilibri in maniera più proattiva. Lo stesso arsenale del protagonista è stato ampliato al fine di incrementarne l'efficacia verso i gruppi e vanta nuovi incantesimi e abilità atti allo scopo.
La mancanza di sodali da cui farsi curare e proteggere riduce considerevolmente il margine d'errore e suggerisce un gameplay prudente e più incentrato sull'ambito difensivo. D'altro canto la riduzione della complessità strutturale degli scontri è palese, con gli stessi che tendono a risolversi nell'una o nell'altra direzione in tempi piuttosto brevi.
Il rischio di cadere in una ripetitività di fondo è molto elevato ma dovrebbe essere lenito dall'esigua durata della produzione ed è, d'altronde, comprensibile all'interno di un titolo rilasciato nel 1986: un periodo storico ove il genere era ancora giovane e molti dei suoi capisaldi non erano apparsi.
Siamo, invece, meno convinti nei confronti dell'introduzione delle pergamene. Queste, disperse nel vasto regno di Alefgard, possono essere utilizzate per insegnare all'eroe nuovi incantesimi da utilizzare nella mischia. Se da una parte arricchiscono le idilliache ambientazioni del gioco e sostengono con forza l'esplorazione, dall'altra non riescono a rappresentare un cambiamento sufficientemente netto.
Non vi è, infatti, nessun tipo di dilemma legato alla scelta del tributario di tali poteri, in quanto non c'è nessuna squadra ed è ovvio chi beneficerà dei nuovi incantesimi. In tal modo divengono una semplice porzione della progressione tradizionale che è stata enucleata dal sistema di levelling per premiare i viandanti più curiosi, ma nulla che alteri sostanzialmente gli equilibri.
Ben più corpose sono le innovazioni presenti in Dragon Quest II che dalla sua è già un opera molto più avanzata rispetto al suo predecessore. Innanzitutto, già ai tempi era presente un party, composto dagli svariati rampolli delle famiglie reali di Torland, ove si sono trasferiti i discendenti del leggendario Erdrick.
Proprio in tale ambito brillano maggiormente gli interventi di Square Enix che ha aggiunto un nuovo personaggio giocabile, incarnato dalla principessa di Cannock e riequilibrato lo storicamente debole fratello. Quello che in origine era un ibrido senza affinità sufficienti né per la scherma né per le magie, ora è capace di esprimere un discreto contributo in battaglia e partecipare attivamente all'economia dello scontro.
Certo, si nota una discreta arretratezza del sistema, con le differenze di playstyle tra i vari personaggi giocabili che per quanto presenti, raramente risultano veramente ampie; ma ci troviamo, comunque, davanti ad un'operazione di svecchiamento audace, che parrebbe, almeno sulla base di ciò che abbiamo visto, essere ben riuscita.
L'impostazione vecchia scuola degli incontri è rimasta pressoché intatta e si esprime in una gameplay essenziale e privo di fronzoli e in un livello di difficoltà discretamente elevato, ove è molto semplice trovarsi dinanzi creature ben al di là delle proprie possibilità. Fortunatamente, il publisher nipponico ha reso disponibile la possibilità di incrementare la velocità dei combattimenti, de facto, semplificando quelle fasi di farming che oggigiorno potrebbero risultare indigeste.
Il ritorno delle leggende
Per restaurare il comparto grafico di Dragon Quest 1 e 2, Square Enix si è affidata a uno stile ben rodato come il HD-2D, già utilizzato con ottimi esiti per le avventure di Erdrick. L'approccio ideato da Team Asano, negli anni, ha certamente perduto parte del suo lustro ma rimane efficacissimo nel restituire le atmosfere di allora senza smarrirne il fascino.
Nonostante siano passati quasi quarant'anni, la visione del Fantasy delle due opere di Yuji Horii riesce a risaltare compiutamente e, ironia della sorte, appare quasi come una ventata di aria fresca. In un'industria che da anni ha abbracciato storie macabre e raccontate in tonalità di grigio, è sorprendente trovarsi dinanzi a quella che è quasi una poesia dell'innocenza, una fiaba sgargiante in un mondo di incubi.
Lo stesso producer del titolo ci ha rivelato come preservare le fascinazioni originali del gioco fosse uno dei temi centrali durante lo sviluppo, così come convogliare quella nostalgia quasi bucolica, quell'ora velato e ora prorompente umorismo che ne rappresentava la cifra emblematica.
I colori sono estremamente vividi, quasi innaturali ma d'altronde non è il realismo lo scopo di Dragon Quest. I due regni che abbiamo attraversato sono composizioni acutissime, frutto di una grande padronanza delle tinte, e per questo capaci pur in un contesto mutato di non far rimpiangere affatto le produzioni originali.
Il lavoro svolto in termini di quality of life, inoltre, è degno di plauso grazie a una netta semplificazione dei menù e un considerevole aumento delle opportunità per salvare i propri progressi. Dovrebbero essere presenti, sebbene ciò debba essere ancora verificato, alcuni mutamenti relativi alla narrativa allo scopo di ampliare l'interdipendenza tra i capitoli della trilogia.
Conclusioni
Quella di Dragon Quest 1 e 2 Remake è un'operazione dal valore storico inestimabile, uno squarcio verso la genesi e la consacrazione del Jrpg, tramite i titoli che ne hanno gettato le fondamenta. Questi, ora restaurati nella loro forma migliore, hanno tratto giovamento da una serie di grossi cambiamenti atti a stemperarne alcune delle caratteristiche più vetuste.
Nonostante ciò ci troviamo, ugualmente, dinanzi a produzioni embrionali, spartane e prive di molteplici sottigliezze meccaniche che sarebbero giunte solo in seguito. I giocatori, al netto dell'intervento di Square Enix, si troveranno dinanzi a una vasta serie di piccole e grandi asperità, che sebbene siano parte del fascino dei giochi di ruolo degli anni '80 potrebbero risultare indigeste.
Nonostante tutto, il reverenziale rispetto che traspira dalle scelte stilistiche del team e la brillante implementazione dell'HD-2D restituiscono pienamente l'atmosfera di bizzarra fiaba di queste opere immortali. Riteniamo, pertanto, che il remake possa rappresentare un testamento vivo del gioco di ruolo e che, consci delle limitazioni, i giocatori possano coglierne l'indiscutibile valore, che sia nel segno di un tanto agognato ritorno o di un primo incontro.
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