I comici fanno i comici, ma sono puniti dai guardiani della morale di questo tempo sbandato

Facciamola breve: i comici fanno i comici. Non è molto rilevante ai fini della suscettibilità, della libertà d’espressione, delle ortodossie assortite, giacché la regola che chiunque può dire qualunque cosa e se ti offendi è un problema tuo vale quale che sia il mestiere del parlante. Tuttavia: i comici fanno i comici.
È una cosa che era chiara ai sovrani medievali – il giullare di corte li sbeffeggiava senza che gli venisse tagliata la testa – e non è chiara nel nostro secolo, senza morale ma moralistissimo, senza senso delle priorità ma prontissimo a impettirsi se osi mancare di rispetto a una qualche specifica idiosincrasia.
Dunque abbiamo due casi dall’esito diverso, cioè un comico inglese che viene arrestato per avere detto delle cose attorno al concetto «le donne non hanno il cazzo» su Twitter (o come si chiama ora), e un comico italiano la cui partecipazione a un festival culturale è stata annullata dopo aver detto delle cose contro una delle figurine di culto dell’attivismo attorno al troiaio mediorientale.
Il caso del comico italiano è più interessante, quindi partiamo da quello del comico inglese. Diversamente dall’Italia, dove la questione trans è una burletta da ambo le parti, in Inghilterra quella che pomposamente chiamiamo «guerra culturale» attorno a un concetto che sette minuti fa era ovvio per tutti (le donne non hanno il cazzo) è una cosa seria abbastanza da finire alla Corte suprema. Perché le femministe inglesi cosiddette gender critical (cioè: ancora attaccate all’antica convinzione che le donne non abbiano in effetti il cazzo) sono avvelenate, e perché le deliranti scelte legislative sono state partorite da una versione lisergica del senatore Zan.
In Inghilterra, se fai un tweet (o come si chiamano ora) dicendo che le donne non hanno il cazzo, ti viene a casa la polizia. Graham Linehan l’hanno aspettato in aeroporto, essendosi lui trasferito in Arizona proprio per evitare che, essendo uno di quelli avvelenati contro la religione della transessualità, la polizia si dovesse occupare di lui.
Fatto sta che atterra a Heathrow e lo aspettano (questa è la sua versione dei fatti, non smentita dalla controparte) cinque poliziotti che gli dicono che è in arresto per un tweet di aprile in cui incitava alla violenza (diceva che, se vedi un uomo nel bagno delle donne, Linehan ti consiglia di prenderlo a cazzotti nelle palle).
Lo rilasciano su cauzione e col divieto di adoperare Twitter (che mi pare sempre una buona cosa, anche se il suo avvocato fa sapere che, nella causa che faranno alla polizia, ci sarà anche questa violazione delle sue libertà. L’uso di Twitter conteggiato tra le libertà fondamentali è un segnale che non abbiamo problemi seri da risolvere quant’altri mai).
Il bello è che a questo tipo di gestione delle opinioni non conformi all’ortodossia transgender sono contrari tutti. Il capo della polizia ha dichiarato non è compito della polizia occuparsi dei «dibattiti tossici nelle guerre culturali». Il ministro della salute ha detto che, con tutti i problemi che ha l’Inghilterra, i poliziotti dovrebbero occuparsi delle strade e non dei social. Scusate, classe dirigente inglese: ma ’sta legge chi l’ha fatta?
Intanto, da queste parti, Rocco Tanica si vede disdire l’ingaggio da un qualche festival di provincia che l’aveva scritturato, in seguito al suo esser stato scortese con una delle figurine di un’altra guerra dei bottoni, quella che prende a pretesto una guerra vera per giocare a chi si posiziona più prontamente con la giusta bandierina colorata. Nel gioco di società «io per la Palestina soffro più di te», Rocco Tanica si diverte moltissimo a stare dalla parte opposta, e ciò mi fa più ridere di quanto abbia mai fatto qualsivoglia opera di Elio e le storie tese.
Il pubblico del gruppo è finalista con quello di “Boris” per il titolo di pubblico più insopportabile di tutti i tempi, e vederlo soffrire perché quello che è stato un suo poster di gioventù ha una posizione diversa dalla sua nella corsa all’empatia del momento, beh, vi confesso che è abbastanza divertente. Poi certo, Rocco Tanica ha sessantun anni e si diverte a scrivere frasi dispettose alle vongole sui social, io lo guardo e continuo a ripetere «non mi somiglia per niente» ma un po’ mi preoccupo per me.
Fatto sta che ieri Rocco Tanica decide di far saltare il banco, con una serie di tweet (o come si chiamano ora) dei quali sono stata assai pregata di non scrivere da chi teme che ci rovinino il fatturato. Tanica dice a chi lo sostituirà a quella serata che a lui davano seimila euro, e quindi di farsene dare altrettanti, e tutti coloro una parte del cui reddito viene dal presenziare ai festival si messaggiano preoccupati.
Sappiamo tutti che il pubblico, che non è intelligentissimo, tende a credere che la Thatcher avesse torto e che di certo esistano cose gratuite. Quindi, quando il pubblico viene a sentirci chiacchierare senza pagare un biglietto, pensa che il costo della nostra presenza non lo paghi nessuno. Se sapesse che le sue tasse vanno anche nel budget culturale dei comuni che poi lo usano per far salire noialtri stronzi su un palco, sarebbe la volta in cui imbraccia i forconi.
L’altro giorno l’assessore bolognese famoso per aver mangiato la mortadella con Stanley Tucci e per aver detto che ci vorrebbe uno stadio per il frisbee ha fatto un video spiegando che la tassa di soggiorno che i turisti pagano negli alberghi bolognesi, per un ammontare complessivo di sedici milioni l’anno, va all’ottanta per cento in cultura. Era un video surreale. «Vi piace la cineteca di Bologna? Tassa di soggiorno». Ora, io sono come tutti felice di vedere i vecchi film restaurati, d’estate, in piazza Maggiore, gratis, ma se mi ricordi che quei film non li vedo davvero gratis magari inizio a pensare che potresti farci funzionare meglio il pronto soccorso (sì, lo so che gli ospedali li gestiscono le regioni e non i comuni, ma è una sottigliezza troppo raffinata di fronte all’istinto di chi incrocia su Instagram un video e pensa solo «coi miei soldiiii»).
Quindi, riepilogando, lì con la polizia e qui col fatturato, si è deciso di punire i comici che facciano quel che fanno i comici, cioè dire le cose per cui un sovrano non illuminato ti taglierebbe la testa e invece lo scolarizzato occidente aveva deciso d’essere abbastanza adulto da riderne. Ci abbiamo ripensato, evidentemente.
Però, siccome quelli di mestiere vogliono avere l’ultima parola, non si fanno punire senza reagire. Linehan ha scritto su The Free Press che «in un paese in cui i pedofili sfuggono alla galera, in cui la violenza armata è fuori controllo, lo stato ha scomodato cinque agenti per arrestare un comico per tre tweet». Tanica ha reso noto al mondo quanto gli assessorati alla cultura buttino i vostri soldi (fosse successo a Bologna, direi: invece che investirli in spazzini).
Valgono solo le partigianerie e quindi ognuno continuerà a tifare per la sua curva, ideologia trans o vecchia cara biologia, Israele o Palestina. Nessuno può far cambiare idea a nessuno, in questo tempo sbandato. Però, se fosse rimasto qualche spettatore neutro che va allo stadio solo perché gli piace il bel gioco, direi che questa partita l’hanno vinta i comici e persa le istituzioni.
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