Il caso Bartolozzi mostra i limiti del Tribunale dei ministri nella responsabilità penale

Settembre 14, 2025 - 01:00
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Il caso Bartolozzi mostra i limiti del Tribunale dei ministri nella responsabilità penale

«Mentre il mondo cade a pezzi» Marco Mengoni oggi aggiungerebbe che in Italia c’è chi «compone nuovi spazi» nel diritto penale. Il caso della capa di gabinetto di Nordio che si immola devota per il suo ministro davanti al tribunale, mentendo per una causa superiore (l’integrità del governo), ha scatenato diverse fantasie complottiste anche in qualche insospettabile giurista. È toccato così leggere financo che «il tribunale dei ministri ha iscritto Giusi Bartolozzi nel registro degli indagati». Abbiamo visto scaraventare libretti appresso a malcapitati esaminandi di procedura penale per molto meno.

Proviamo, come direbbe un serio studioso, a scriverne sine ira ac studio. Innanzitutto non compete certo al Tribunale dei ministri «iscrivere» notizie di reato e nomi di indagati, ma valutare le responsabilità dei soggetti istituzionali indagati. Al più, come è avvenuto nel caso Bartolozzi, il Tribunale potrà evidenziare possibili ulteriori ipotesi di reato all’unico organo titolare della pubblica accusa verso altri soggetti non considerati dal pm.

E infatti, dopo qualche precipitoso e avventuroso parere iniziale, è escluso che la giunta delle autorizzazioni possa addirittura sollecitare in tal senso il Tribunale dei ministri. Azzardiamo, da modesti praticoni del diritto, cosa potrà accadere.

È presumibile che l’esperta avvocata di Bartolozzi chieda alla procura di Roma di inviare al giudice ministeriale anche il fascicolo sulla collaboratrice del ministro. Qui i pareri possono divergere: tecnicamente Bartolozzi non è «una concorrente nei reati di favoreggiamento e peculato» ascritti ai ministri Nordio e Piantedosi, bensì una «indagata di reato connesso», quello di false dichiarazioni al pubblico ministero compiuto al fine di «occultare» quelli principali, secondo la definizione che ne dà l’articolo 12 del codice di procedura penale. Il fatto che rivesta tale qualità impone però che esso sia giudicato dal medesimo giudice dei reati principali secondo il codice di rito, per cui Bartolozzi dovrà sottoporsi alla stessa procedura.

Ma c’è un di più: il dubbio che possa proprio configurarsi il reato di false dichiarazioni al pubblico ministero. Vige per tale reato una causa che ne esclude la punibilità prevista dall’articolo 384 del codice penale. Non è punibile «chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione».

Il punto cruciale è questo: se Bartolozzi ha avuto un ruolo centrale fin dall’inizio nella complessa vicenda del libico Almasri non poteva essere chiamata a deporre come persona informata sui fatti o testimone su una vicenda che concerne eventuali proprie responsabilità (nessuno può essere costretto ad accusarsi, vedi il garantismo a che serve), ma se ciò è vero allora il suo ruolo fatalmente non può che essere concorrente con i ministri e dunque destinata alla giunta delle autorizzazioni.

Dunque: altro che trappolone della procura: ammesso che i pm volessero fare i furbi, sì, si sono dati la zappa sui piedi da soli.

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Redazione Redazione Eventi e News