Il mondo sta per cambiare per sempre: arriva l’allarme che nessuno si aspettava

Un pericolo che nessuno (o in pochi) avevano considerato: i microbi del permafrost in scioglimento potrebbero peggiorare il riscaldamento globale.
Quando si pensa al cambiamento del clima terrestre, solitamente si pensa all’aumento di gas serra nell’atmosfera: ciò non è affatto un errore. Ma non si conoscono proprio tutti i fattori che contribuiscono alla ‘liberazione’ di questi gas, poiché si pensa principalmente alle attività dell’uomo e non a quelle legate ai microbi del permafrost in scioglimento che potrebbero peggiorare il riscaldamento globale. In che modo agiscono questi microrganismi e come è possibile tutelarsi dal peggio? Ecco qualche informazione in più.
I microbi del permafrost: tra le cause del riscaldamento globale
Chiariamo innanzitutto il concetto di ‘riscaldamento globale’: conosciuto anche come ‘global warming’, indica un fenomeno che incide molto sul pianeta con diversi effetti. In climatologia sta ad indicare un cambiamento del clima terrestre, iniziato tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo e che non si è mai davvero arrestato.
L’aumento delle temperature, come dicevamo, ha effetti complessi sul pianeta, quali:
- siccità,
- alluvioni,
- scioglimento dei ghiacciai,
- innalzamento del livello del mare e degli oceani,
- surriscaldamento dei mari.
Tra le cause principali del riscaldamento globale, gran parte della ‘colpa’ è affidata all’essere umano che, con le sue attività peggiora il problema tuttora in corso. Diverse sono le azioni umane che contribuiscono a rendere la situazione più problematica, ovvero:
- deforestazione,
- uso di combustibili fossili (che liberano nell’aria CO2e altri gas serra),
- uso di fertilizzanti nell’allevamento intensivo (che liberano nell’aria metano e ossido di azoto),
- smaltimento dei rifiuti,
- processi industriali (come la produzione di cemento).
Tuttavia vi è una causa non direttamente collegata all’attività umana, che potrebbe peggiorare il riscaldamento globale, ovvero la ripresa dell’attività dei microbi del permafrost che si sta sciogliendo in Alaska. Il riscaldamento globale è a sua volta causa ed effetto dunque: proprio le alte temperature stanno sciogliendo i ghiacci e ciò sta riattivando i microbi, che a loro volta liberano metano e carbonio.
I microbi del permafrost: cosa sta succedendo?
Dopo essere stati sepolti nel ghiaccio per ben 40mila anni, i microbi del permafrost si stanno risvegliando a causa dello scioglimento del permafrost: è questa la scoperta degli studiosi da anni impegnati nella ricerca ambientale nelle terre d’Alaska. Nelle regioni artiche infatti i microrganismi ‘scongelati’ potrebbero causare altri problemi non tanto legati allo sviluppo di malattie per l’essere umano bensì per l’emanazione di gas serra.
I geologi dell’Università del Colorado, che hanno attenzionato il Permafrost Research Tunnel, vicino Fairbanks (seconda città più grande dell’Alaska), hanno condotto delle ricerche su alcune carote risalenti al tardo Pleistocene (nota anche come ‘epoca glaciale’ appunto perle intense glaciazioni). Ciò che forse si ignora è il fatto che il Permafrost contiene più carbonio attivo di quanto sia già presente nell’atmosfera in generale come Anidride Carbonica.
I cosiddetti ‘microbi killer’ possono risultare dunque realmente dannosi perché, una volta scongelati, si nutrono di materia organica e rilasciano nell’atmosfera metano e anidride carbonica. Lo scioglimento inoltre sta procedendo abbastanza velocemente, quindi bisogna adottare al più presto delle precauzioni.
Come si potrebbe ‘frenare’ il surriscaldamento globale (che causa lo scioglimento del Permafrost)?
La risposta sembra ovvia ma non lo è, tanto è vero che le nuove normative UE sono state necessarie per garantire un freno al cambiamento climatico in corso. L’obiettivo è di ridurre del 55% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. Ma in che modo? Tra le possibili soluzioni di sicuro rientrano:
- diminuzione delle emissioni di gas serra,
- migliore gestione dell’acqua,
- diminuzione della deforestazione (in modo che gli alberi possano assorbire più CO2 possibile dall’atmosfera),
- tutelare gli ecosistemi,
- fare campagne di sensibilizzazione pubbliche,
- responsabilizzare i cittadini.
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Già alla fine del 2017 si è raggiunto un 22% in meno di emissioni di gas rispetto al 1990, con ben 3 anni di anticipo rispetto alla data prefissata (il 2020), quindi è possibile sperare nel raggiungimento dell’obiettivo del 2030.
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