La putinizzazione dell’occidente e i suoi pochi oppositori

Settembre 8, 2025 - 20:00
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La putinizzazione dell’occidente e i suoi pochi oppositori

Da tempo mi sono convinto che la principale catastrofe della nostra epoca non sia tanto il ritorno del nazionalismo, dell’imperialismo e del fascismo, quanto la generale incomprensione del fenomeno, specialmente in occidente, e specialissimamente in Italia. Il problema più grave, secondo me, sta cioè nel fatto che le forze da cui dovremmo attenderci la costituzione del fronte antifascista, questa volta, a differenza di quanto accadde negli anni Trenta del secolo scorso, non sembrano nemmeno capaci di riconoscere il nemico. Abbiamo infatti da un lato il paradosso di una sinistra anti-imperialista filo-putiniana, dall’altro il paradosso non meno stridente dei liberali pro-Netanyahu.

In verità, si tratta di due facce della stessa medaglia, perfettamente rappresentate entrambe da Donald Trump, non per niente il principale vettore della putinizzazione dell’occidente. Di conseguenza, penso che chiarire simili equivoci sia la battaglia più urgente che ci sia oggi da combattere, e penso che Joseph Stiglitz, per la sua storia e per le sue posizioni, sia forse la personalità che possa essere più utile a questo scopo.

Per i pochi che non lo sapessero già, ricordo che oltre a essere un economista premio Nobel, ad avere lavorato come capo dei consiglieri economici del presidente degli Stati Uniti (Bill Clinton) nonché al vertice della Banca mondiale, Stiglitz è stato uno dei primi e certamente il più autorevole critico della globalizzazione, o per essere più precisi delle politiche attuate dal Fondo monetario internazionale e dalla stessa Banca mondiale negli anni Novanta, sulla base del cosiddetto «Washington Consensus», espressione che deve a lui la sua fama. Motivo per cui il dettagliato pamphlet del 20o2, «La globalizzazione e i suoi oppositori», è diventato subito la bibbia dei movimenti no global.

Nel libro Stiglitz denunciava infatti, con la solidità dei dati e la credibilità del testimone, il modo in cui le principali istituzioni economiche internazionali, applicando dogmaticamente le loro ricette, avevano prodotto spesso effetti socialmente e anche economicamente disastrosi in molti paesi, a cominciare dalla Russia di Boris Eltsin (vedi il capitolo, per tanti versi oggi ancora più interessante che allora, «Chi ha perso la Russia?»).

Sulla base dello stesso punto di vista, oltre che per ragioni più tecniche su cui non è il caso di dilungarsi, Stiglitz è stato anche un tenace critico dell’euro. Al riguardo, basta il titolo del suo libro del 2016: «The Euro and its threat to the future of Europe» (L’euro e la sua minaccia al futuro dell’Europa), che ne ha fatto un autore molto citato, senza sua colpa, anche dalla destra sovranista.

Questa lunghissima premessa mi serve per dare il giusto contesto, spero, alle seguenti parole pronunciate sabato da Stiglitz al Forum Ambrosetti di Cernobbio: «L’Europa deve imparare a vivere senza gli Stati Uniti, o almeno a fare sempre meno affidamento su Washington. È la sola strada perché conquisti una vera sovranità economica e politica. Ed è una strada che passa anche da maggiori investimenti sulla difesa».

Parole da scolpire nella pietra (possibilmente davanti alle sedi dei partiti di sinistra, dove i suoi libri non mancano mai) cui bisogna aggiungere quelle pronunciate domenica in un’intervista a Repubblica, in risposta a una domanda su come resistere a Trump: «La lezione è chiara: non si può capitolare. Chi ha resistito, come la Cina, ha visto Trump fare marcia indietro. Chi ha ceduto, come ha fatto l’Europa sui dazi, dopo pochi giorni si è trovato di fronte a nuove pretese; ad esempio l’abolizione delle tasse digitali».

L’intervista meriterebbe di essere citata tutta, ma mi accontento di questi due passaggi. Il primo mi serve infatti per dimostrare che si possono criticare le politiche del Fondo monetario e l’ideologia liberista, la politica economica europea, soprattutto ai tempi dell’austerità, e persino la politica americana e occidentale in Russia negli anni novanta, senza essere necessariamente né completamente cretini, né completamente in malafede, cioè complici consapevoli o inconsapevoli di Vladimir Putin.

Ma se non si è completamente cretini né completamente in malafede, da tali premesse non si può non arrivare alla conclusione cui arriva Stiglitz, quando auspica un’Europa capace di raggiungere una vera sovranità economica e politica, anche e prima di tutto attraverso l’autonomia nel campo della difesa.

Il secondo passaggio dell’intervista mi serve invece per ricordarvi, nel caso non foste state attenti la settimana scorsa, che io ve lo avevo detto subito (e pure più di una volta).

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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