L’illusione autarchica di Netanyahu allontana Israele dall’Europa (e dai paesi arabi)

Settembre 19, 2025 - 04:00
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L’illusione autarchica di Netanyahu allontana Israele dall’Europa (e dai paesi arabi)

Benjamin Netanyahu non si limita più a scavare un fosso tra Israele, l’Europa, tutte le democrazie occidentali, esclusi gli Stati Uniti, e tutti i paesi arabi, ma ora cristallizza una dottrina dell’isolamento assoluto di Israele. Di fatto, abbandona l’area liberale nella quale si è mosso per un quindicennio sino al 2023, e sposa in pieno la visione del mondo dell’estrema destra israeliana, imperniata su uno sciagurato suprematismo ebraico che porta all’autarchia, che vuole un Israele che conti solo su sé stesso, fregandosene del mondo. Un cascame ideologico reazionario, peraltro sempre fallimentare, e negazione assoluta dell’essenza stessa del sionismo.

La radicale involuzione strategica di Netanyahu traspare con chiarezza in un suo recente intervento pubblico a Gerusalemme, nel quale innanzitutto ha dato prova di non voler comprendere le ragioni del radicale isolamento da quasi tutti i paesi europei in cui il suo governo ha gettato Israele. Secondo lui, infatti, questa gravissima crisi nelle relazioni mediterranee non è conseguenza delle scelte belliche feroci del suo governo nella Striscia, ma del fatto che «l’immigrazione musulmana in Europa ha creato una minoranza significativa e rumorosa che influenza i governi europei sulle questioni relative a Gaza». A questo, si aggiunge una «grande campagna mediatica orchestrata dalla Cina e dal Qatar».

È questo un voluto e radicale errore di interpretazione che mistifica le ragioni vere delle forti critiche espresse anche da governi amici e solidali come quello tedesco e quello italiano sull’uso sproporzionato della forza e sulla carestia indotta. Un’analisi forzata e falsa che rinfocola, come vogliono i suoi ministri di estrema destra, il conflitto tra ebraismo e islam. «Questi paesi europei negano il sionismo – ha aggiunto Netanyahu – e questa influenza sta alimentando sanzioni e restrizioni nei confronti di Israele e limita la sua capacità di importare elementi chiave per gli armamenti».

Sbagliata, volutamente, l’analisi delle ragioni del drammatico isolamento internazionale di Israele, provocata in realtà dalle scelte feroci nella Striscia e in Cisgiordania e dalla palese e rivendicata volontà di effettuare una pulizia etnica.

Benjamin Netanyahu delinea una svolta strategica radicale quanto alla sua collocazione internazionale. Sposa infatti in pieno un’opzione autarchica di autosufficienza, di esplicita matrice di estrema destra. Auspica quindi che Israele diventi Atene e una super Sparta: «Queste tendenze stanno spingendo Israele verso una parziale autosufficienza economica. Dovremo adattarci sempre più a un’economia con caratteristiche autarchiche. È una parola che non mi piace, credo nel libero mercato, ho lavorato per portare Israele in un’economia di libero mercato. Ma potremmo trovarci in una situazione in cui le nostre industrie di difesa saranno bloccate. Dovremo sviluppare industrie di difesa autoctone. Dovremo diventare Atene e una super Sparta».

La reazione immediata a queste parole è stata una caduta del due per cento della borsa di Tel Aviv, poi leggermente recuperata, ma in seguito confermata, e un coro di critiche di tutti gli ambienti economici e dell’opposizione che lo hanno frontalmente attaccato, accusandolo a ragione di avere come sciagurato punto di riferimento solo il «pubblico messianico».

Drastica l’analisi dell’Israel Business Forum che riunisce le più importanti aziende del paese: «La politica del governo Netanyahu sta conducendo Israele verso un pericoloso e senza precedenti nadir economico e diplomatico. Non siamo Sparta. Questa visione, così come presentata, renderà difficile la nostra sopravvivenza in un mondo globalizzato in via di sviluppo».

In questa presa di posizione si conferma il dato di fatto che la struttura economica di Israele non può semplicemente tollerare questa svolta autarchica. L’economia israeliana è infatti basata su un mercato azionario forte, pienamente globalizzato, e su una produzione hi-tech e industriale larghissimamente destinata all’esportazione. Una svolta autarchica, con un unico sbocco internazionale verso gli Stati Uniti che può durare, se dura, solo quanto la presidenza Trump, produrrebbe solo il soffocamento di Israele su sé stesso.

Ma l’isolamento suprematista – il riferimento alla super Sparta è agghiacciante – è ormai l’opzione di un Netanyahu che infatti volutamente e freddamente boicotta le enormi prospettive di integrazione vertiginosa dell’economia israeliana con quella dei paesi del Golfo, nel momento in cui ordina il bombardamento dei leader di Hamas a Doha, in Qatar.

Quell’azione, per di più fallita nei suoi obiettivi, contrastata frontalmente dal Mossad di David Barnea – una rottura istituzionale drammatica, mai vista prima – porterà infatti per ritorsione o a una rottura o a un lungo congelamento degli Accordi di Abramo, che appunto miravano alla fine del conflitto arabo-israeliano e alla formazione di un’enorme area di libero scambio di finanziamenti, ricerca e alta tecnologia e di clamorose infrastrutture logistiche comuni tra Israele, Arabia Saudita e tutti i paesi del Golfo.

Il fatto grave, ma indicativo, è che a fronte di questo quadro, il premier israeliano non si pone il problema di come recuperare il gravissimo isolamento internazionale di Israele, neanche con i paesi amici come Germania e Italia, ma che addirittura si crogiola in questa situazione e si propone di consolidarla in un’impraticabile autarchia dal sapore mussoliniano.

Dunque, Netanyahu, come un giocatore di poker, si consegna in toto all’ideologia dell’estrema destra, insiste per una guerra totale a Gaza City, scontrandosi ferocemente con il comandante dell’IDF Eyal Zamir, che continua ad accusarlo ad alta voce nelle riunioni di governo di non avviare nessuna trattativa per gli ostaggi, e punta tutto su una sola carta: Donald Trump.

Una scelta miope e azzardata, e non solo perché è possibile che tra un solo anno, nelle elezioni di midterm, Trump perda il controllo del Congresso. In realtà, infatti, l’avventuristica scelta di Netanyahu di bombardare Doha ha inflitto una umiliazione tale a tutto il mondo arabo che Israele, di nuovo, ne pagherà le gravi ritorsioni per anni. E Donald Trump, da qui a poco, sarà costretto dalla strategica Arabia Saudita, dal Qatar e da tutti i paesi del Golfo alla scelta tra mantenere i fondamentali rapporti economici e petroliferi con loro e l’isolamento di Israele. Il tutto, aggravato dalle cronache di un’operazione militare a Gaza che avrà esiti negativi, se non disastrosi, per gli ostaggi e per Israele.

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Redazione Redazione Eventi e News