L’intelligenza artificiale può diventare la nuova bolla di Wall Street

Settembre 10, 2025 - 03:30
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L’intelligenza artificiale può diventare la nuova bolla di Wall Street

Dall’uscita di ChatGpt, nel 2022, il mercato azionario americano ha vissuto un’impennata spettacolare. In pochi anni il valore complessivo è salito di ventunomila miliardi di dollari. Un piccolo nucleo di dieci colossi del settore – tra cui Amazon, Nvidia, Meta e Broadcom – hanno generato il cinquantacinque per cento di questa crescita. Sono tutte legate, in un modo o nell’altro, alla nuova corsa all’intelligenza artificiale. La promessa è quella di una rivoluzione economica senza precedenti, paragonata da molti investitori a quella industriale dell’Ottocento. «Sarà come la Rivoluzione industriale, se non più grande», hanno scritto i venture capitalist di Sequoia. Altri parlano apertamente di una gara per «creare un Dio digitale».

Ma a fronte di questo entusiasmo i numeri, per ora, non tornano. Secondo l’Economist, i ricavi effettivi delle principali aziende dell’intelligenza artificiale in Occidente si aggirano sui cinquanta miliardi di dollari l’anno: meno del due per cento rispetto ai duemilanovecento miliardi di investimenti in data center previsti entro il 2028. Uno studio del Mit ha rilevato che il novantacinque per cento delle aziende che hanno introdotto progetti di intelligenza artificiale non ha registrato alcun ritorno economico. «Gli investimenti in intelligenza artificiale hanno generato “zero ritorni” per il novantacinque per cento delle organizzazioni», scrivono i ricercatori.

A dare colore a questa discrepanza ci sono i risultati sorprendenti di uno studio del think tank Model Evaluation & Threat Research (Metr), raccontato dall’Atlantic. A un gruppo di sviluppatori esperti sono stati affidati compiti di programmazione da svolgere con o senza l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale. Tutti si aspettavano un’accelerazione significativa. La media delle previsioni era di una crescita del quaranta per cento nella produttività. E invece è accaduto il contrario: «Gli sviluppatori hanno completato i compiti il venti per cento più lentamente quando usavano l’intelligenza artificiale rispetto a quando lavoravano senza», spiegano gli autori. È il cosiddetto “capability-reliability gap”: l’intelligenza artificiale sa fare molte cose, ma non con l’affidabilità necessaria al lavoro reale. E così gli umani finiscono per spendere più tempo a correggere che a creare.

L’impressione, che emerge dalla letteratura presente al momento sull’argomento, è che forse siamo davanti a una gigantesca bolla tecnologica. Con tutti i rischi del caso.

La storia dice che entusiasmo e speculazione accompagnano sempre le grandi rivoluzioni tecnologiche. L’Economist, ad esempio, cita le bolle inglesi dell’Ottocento legate allo sviluppo ferroviario, o la mania delle compagnie elettriche nell’America di fine diciannovesimo secolo, fino al boom delle dot-com negli anni Novanta. «L’entusiasmo tecnologico corre sempre davanti alla realtà tecnologica», scriveva Michael Parekh, ex analista di Goldman Sachs. La Federal Reserve di San Francisco ricordava già nel 2008 che le bolle sono «un fenomeno ricorrente e quasi inevitabile» in presenza di innovazioni dirompenti.

Va specificata però una cosa: bolla non è sinonimo di stagnazione tecnologica o di un esito nefasto imminente. Le linee ferroviarie costruite nel Regno Unito durante le manie speculative hanno finito per diventare l’ossatura della rete britannica; i cavi in fibra ottica in eccesso posati negli anni Novanta sono diventati fondamentali un paio di decenni dopo per lo streaming. È quindi possibile che l’intelligenza artificiale segua un percorso simile, con una fase di euforia, un crollo, e poi l’assestamento in un new normal.

Il problema è ammortizzare, per quanto possibile, la fase del crollo, il crash. Quando scoppiano le bolle, le aziende leader del settore spesso vengono rimpiazzate da nuove realtà, più piccole o più agili. «Chi si ricorda Vulcatron, stella della bolla elettronica degli anni ’60? O Corning, simbolo della bolla dot-com?», ricorda l’Economist. Non è affatto detto che tra dieci anni i “magnifici sette” del tech esistano ancora nella forma attuale.

Ma non c’è solo questo. Perché l’intelligenza artificiale non è una mania di un piccolo gruppo di investitori. È già presente nelle nostre vite, in tutti i settori. L’Atlantic ad esempio avverte che oggi «l’intera economia statunitense è sorretta dalla promessa di guadagni di produttività che sembrano molto lontani dal materializzarsi». Gli investimenti in intelligenza artificiale hanno già superato, come quota del Pil, il livello raggiunto dalle telecomunicazioni al culmine della bolla delle dot-com. Nel primo semestre del 2025 la spesa per l’intelligenza artificiale ha contribuito alla crescita del Pil statunitense più di quanto abbiano fatto i consumi privati.

Se queste sono le condizioni di base, in caso di esplosione della bolla l’impatto su occupazione e consumi sarebbe devastante.

Alcuni economisti temono che un crash possa innescare una nuova crisi finanziaria, vista la quantità di prestiti privati che oggi alimentano la costruzione di data center. Noah Smith, sul suo blog Noahpinion, non esclude uno scenario di «credit crunch» sistemico.

Non tutti però condividono la visione catastrofista. Gli analisti di Ubs ad esempio suggeriscono che oggi ci siano reti di sicurezza più solide. «Nel 1999 il rapporto prezzo/utili dei leader tecnologici era in media di uno a ottantadue. Oggi per i magnifici sette quel rapporto è di uno a ventotto». Inoltre, a differenza di allora, i profitti stanno crescendo davvero: Nvidia ha registrato un aumento del cinquantasei per cento dei ricavi in un anno. E mentre la Fed allora alzava i tassi, oggi è attesa una fase di riduzione del costo del denaro.

In ogni caso, resta un dato di fatto: il futuro dell’economia globale, almeno per il momento, dipende da un gruppo ristretto di aziende e da una tecnologia che ancora deve dimostrare il suo impatto reale sulla produttività. L’intelligenza artificiale potrebbe ancora diventare il “Dio digitale” che rivoluziona società e mercati. Ma forse è più probabile che sia soltanto la ripetizione del giorno della marmotta con l’ennesima innovazione tecnologica che genera hype sconfinato, poi va giù facendo danni e magari poi si assesta su standard più modesti.

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