L’intelligenza artigianale della legatoria Il Borgo

Ottobre 8, 2025 - 09:00
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L’intelligenza artigianale della legatoria Il Borgo

Milano, via Canonica. In un cortile silenzioso tra Chinatown e il vecchio Borgo degli Ortolani c’è una legatoria unica, talmente unica (e paziente) che nel 2018 non mi cacciò tirandomi dietro degli ortaggi – del resto, al Borgh di Scigulatt… – quando gli portai 35 copertine in marmo con cui rilegare altrettanti libri oggetto che avevo prodotto ai tempi.

Si chiama Il Borgo, è una cooperativa nata nel 1985 e da quarant’anni traduce idee librarie e cartotecniche in oggetti da conservare e tramandare alle prossime generazioni; o anche da toccare e usare ogni giorno. Gli portate un libro antico, che so, dell’Ottocento, che ha visto tempi migliori? Ve lo restituiscono come nuovo – anche se al Borgo tengono molto a precisare di non essere restauratori. Siete dei commercialisti – o anche solo grandi appassionati di pratica tributaria, chacun à son goût – e volete rilegare quelle vecchie annate de Il Fisco? Gliele portate e fanno tutto loro. Avete vent’anni – beate e beati voi – e volete fare una tesi di laurea incredibile, sbalordire la commissione, prenotarvi per il bacio accademico? Come sopra.

Se non sapete come risolvere un problema dove c’è di mezzo della carta e una copertina, il Borgo di solito lo sa fare. E sa fare anche un sotto-mestiere della legatoria che negli ultimi anni a Milano è esploso: prototipare e produrre porta-menu e carte dei vini su misura per la ristorazione di alto profilo.

@Gabriele Ferraresi

Chi fa ristorazione di solito chiede tre cose a questi oggetti, spiega Guido Artosin, dal 1991 al Borgo, oggi coordina la cooperativa di cinque soci lavoratori. Praticità – un oggetto facile da consultare per chi siede al tavolo e facile da aggiornare per chi lavora in sala; durata e resistenza – perché «in un ristorante girano alimenti e mani non sempre pulitissime», quindi servono materiali “pulibili” e robusti; e infine originalità, cioè un segno riconoscibile, dal logo alla scelta delle finiture.

Su questi tre assi si costruisce ogni pezzo. La bottega lavora poi molto sulle strutture interne dei porta-menu: pagine sostituibili con calamite che bloccano i fogli per aggiornare prezzi e piatti in pochi secondi, o fustelle su misura che incastrano la carta con precisione, dando un aspetto raffinato a un oggetto tutto sommato semplice, ma che spesso finirà nelle mani di chi non ha problemi a pagare un conto da Creso. Lo stesso qualcuno che anche dal menu, inteso come oggetto da sfogliare, si aspetta la medesima cura che troverà nel piatto pochi minuti dopo.

Ogni ordine è un progetto: c’è chi vuole la carta dei vini in una sola facciata, chi preferisce fascicoli multipli; chi divide per sale, colazioni, o percorsi degustazione, ma sempre e comunque si parte da un campione che si corregge insieme al ristoratore e poi si arriva al pezzo finito. «Non sono prodotti in serie», ma nel 2024, continua Artosin, sono usciti dalla bottega fra cinquecento e seicento porta-menu: tutt’altro che tirature industriali, ma famiglie di oggetti pensati sulle esigenze reali dei locali che spesso e volentieri non sono la ­– rispettabilissima – pizzeria all’angolo, ma Cracco, La Jungle de Plein, la Terrazza Duomo 21 o l’Antica Osteria Moirago. E tanti altri.

@Gabriele Ferraresi

Un lavoro simbolo? Tra i tanti, proprio la monumentale carta dei vini di Cracco: «Diecimila etichette, centosessanta pagine». Mi mostrano un prototipo: è un po’ più piccola, ma direi alta circa come un volume dell’elenco del telefono – per chi può capire questo riferimento novecentesco, bene, altrimenti: fate cinque, sei centimetri. Non una sfida solo di rilegatura, ma di ergonomia d’uso: pesi, cerniere, scorrimento, la necessità di stupire con una carta dei vini lunga come un romanzo, ma senza che diventi ingestibile in sala. «Il primo prototipo non andava bene; abbiamo lottato un po’, poi trovato la soluzione giusta». È il tipo di commessa che racconta cosa significhi, oggi, fare legatoria per l’alta cucina: saper coniugare presenza scenica e maneggevolezza, identità e manutenzione.

Altra chicca che mi mostrano: un porta-scontrino a forma di finto libro, vuoto all’interno e foderato in velluto verde, per la Cantina Piemontese di Milano. Un oggetto talmente gradevole che «mi dicevano che ogni tanto qualche cliente cerca di portarselo via» conclude Guido, e c’è da capirli quei clienti, me lo sarei portato via anch’io.

@Gabriele Ferraresi

Non tutte le richieste, però, sono realizzabili: qualcuno voleva fare i porta-menu in tessuto blu Tiffany, e il tessuto si trovava anche, ma non ne vendevano meno di mille metri; troppi, finiva che dovevano tappezzarci casa, o più case. Altri si innamorano di tessuti bellissimi ma troppo “sporchevoli” per l’uso intenso di sala e qui il mestiere del Borgo sta anche nel saper dire di no, o nel trovare strade alternative con materiali facili da pulire, resistenti e gradevoli alla vista e soprattutto al tatto.

Un saper fare che interessa anche fuori: la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte ha infatti selezionato la legatoria per un workshop al Museo Poldi Pezzoli, una giornata in cui portare il banco artigiano “in esterno”, davanti a un pubblico curioso di tecniche e materiali. Segno di un artigianato che parla il presente e che trova casa nell’alta ristorazione e anche nei musei.

@Gabriele Ferraresi

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