Nella prima metà del 2025 perdite da catastrofi naturali a 131 miliardi di dollari

Settembre 8, 2025 - 06:00
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Nella prima metà del 2025 perdite da catastrofi naturali a 131 miliardi di dollari

Il primo semestre dell’anno in corso è stato punteggiato da molteplici catastrofi naturali, in ogni parte del mondo: gli incendi devastanti nell'area di Los Angeles – verificatisi in pieno inverno, un periodo tipicamente piovoso –, il terremoto di magnitudo 7,7 che ha colpito il Myanmar il 28 marzo, il crollo del ghiacciaio svizzero che ha quasi completamente sepolto il villaggio di Blatten sono solo alcuni esempi.

Una delle principali realtà globali attive nel mondo dell’assicurazione e ri-assicurazione, Munich Re, ha aggiornato il conto dei danni portandolo a circa 131 miliardi di dollari – il secondo dato più alto dal 1980 almeno, mentre in cima alla lista c’è quello del 2024 con 155 miliardi di dollari –, di cui 80 miliardi assicurati. Sia le perdite complessive che quelle assicurate sono state significativamente più alte rispetto alla media dei dieci anni precedenti e dei 30 anni precedenti (al netto dell'inflazione: perdite complessive di US$ 101/79 miliardi, perdite assicurate di US$ 41/26 miliardi); nonostante le numerose catastrofi meteorologiche, le perdite complessive in Europa sono rimaste al di sotto dei valori dell'anno precedente, con circa 5 miliardi di dollari, di cui più della metà assicurati.

A livello globale, le catastrofi meteorologiche hanno causato l'88% dei danni complessivi e il 98% dei danni assicurati, mentre i terremoti hanno rappresentato rispettivamente il 12% e il 2%. «Il cambiamento climatico è un dato di fatto e sta cambiando la vita sulla Terra. Disastri come quello di Los Angeles sono diventati più probabili a causa del riscaldamento globale e ci insegnano una lezione molto importante: persone, autorità e aziende devono adattarsi alle nuove circostanze – commenta Thomas Bluck, membro del board of management di Munich Re – Il modo migliore per evitare perdite è implementare efficaci misure preventive, come la costruzione di edifici e infrastrutture più robuste per resistere meglio ai disastri naturali. Tali precauzioni possono contribuire a mantenere premi assicurativi ragionevoli, anche nelle aree ad alto rischio. E, soprattutto: per ridurre l'esposizione futura, non dovrebbero essere consentiti nuovi edifici nelle aree ad alto rischio».

Ovviamente, oltre a prevenzione e adattamento, occorre mettere in campo anche azioni di mitigazione del cambiamento climatico: ovvero abbandonare rapidamente i combustibili fossili – in favore di efficienza energetica, fonti rinnovabili ed economia circolare –, in modo da abbattere le relative emissioni di gas serra. Perché sappiamo già che, da solo, l’adattamento non è sufficiente.

Il problema per l’Italia è il Paese si presenta molto indietro su entrambi i versanti. Sia sul fronte della mitigazione – con le nuove installazioni di impianti rinnovabili che stanno rallentando a causa delle ampie difficoltà normative, anziché accelerare –, sia su quello dell’adattamento. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è di fatto fermo al palo: approvato nel gennaio 2024 dal Governo Meloni dopo lunghissima gestazione, ha individuato 361 azioni settoriali da mettere in campo ma manca di fondi e governance per attuarle; per fare davvero i conti con l’acqua – in base alle stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) – servirebbero 10 mld di euro aggiuntivi l’anno, a fronte dei 7 che il sistema-Paese finora riesce a stanziare. Volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni).

Il Governo Meloni ha provato a mettere una pezza introducendo l’obbligo di copertura assicurativa contro i rischi catastrofali per le Pmi, in vigore dal 1° ottobre 2025 per le medie imprese e dal 1° gennaio 2026 per le piccole e micro imprese. Si tratta di un passo importante, in quanto solo il 7% delle Pmi italiane è oggi assicurato contro calamità naturali.

«In Italia non servono solo misure di prevenzione efficaci come la messa in sicurezza del territorio o infrastrutture più resilienti ai disastri naturali, ma anche strumenti assicurativi a protezione del sistema produttivo italiano – argomenta nel merito Paolo Ghirri, deputy ceo di Munich Re Italia – In questa direzione va la recente costituzione del pool assicurativo Cat Nat, un’alleanza strategica tra pubblico ed imprese assicurative private, con l’obiettivo di offrire un’adeguata protezione alle aziende in seguito all’obbligo di copertura contro le catastrofi naturali e che, grazie al nostro know-how, ha visto coinvolta anche Munich Re Italia».

Ma anche in questo caso, sarebbe semplicistico pensare di affrontare la crisi climatica attraverso le sole assicurazioni, come ha peraltro autorevolmente ricordato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sottolineando che «investire nella prevenzione è un obbligo dello Stato». Introdurre l’obbligo di assicurazione è dunque un esercizio di buon senso, anche se è altrettanto evidente che un obbligo da solo non può bastare; la dimostrazione plastica arriva dagli Usa, dove più compagnie hanno già iniziato a sospendere la vendita di nuove polizze a causa dei costi astronomici dei rimborsi, gonfiati dai eventi meteo estremi – a partire dalle alluvioni – sempre più violenti; dove non vengono sospese, le assicurazioni contro le alluvioni propongono polizze sempre più esose, tagliando fuori dal mercato i clienti più poveri, che incidentalmente sono anche quelli più esposti a maggiori perdite in caso di catastrofi naturali.

Per avere un quadro preciso della sfida che abbiamo di fronte, basti osservare i dati messi in fila dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) sui costi da eventi meteo estremi – resi più intensi e probabili dalla crisi climatica in corso – per il periodo 1980-2023: si parla di danni da 38 miliardi di euro in 38 Paesi dell’area europea solo nell’ultimo anno preso in esame, con le maggiori perdite che (dal 2001) si concentrano in Germania, Italia, Francia e Spagna.

«Il Paese con le perdite economiche totali più elevate tra il 1980 e il 2023 è la Germania, con 180 miliardi di euro. Seguono – snocciola la Eea – Italia (135 miliardi di euro), Francia (130 miliardi di euro), Spagna (97 miliardi di euro) e Polonia (20 miliardi di euro). Considerando solo le perdite per questo secolo (ovvero dal 2001), gli stessi quattro Paesi (Germania, Italia, Francia e Spagna) registrano i numeri più elevati». E il trend non farà che peggiorare, se non invertiamo rapidamente la rotta aumentando gli investimenti in adattamento e mitigazione: in caso contrario, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente i costi raddoppieranno al 2050 e triplicheranno al 2100.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia