Nude Project tra fenomeno online e crescita globale. Prossimi obiettivi: Roma, Berlino e Parigi

Ottobre 8, 2025 - 18:00
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Nude Project tra fenomeno online e crescita globale. Prossimi obiettivi: Roma, Berlino e Parigi
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“Bold, sweet, irreverent”, dice Alex Benlloch. “Magical, naïf, about love”, aggiunge Bruno Casanovas. Sono le parole con cui i due co-founder di Nude Project scelgono di definire il brand che hanno fondato nel 2018. Due prospettive e personalità diverse quanto complementari (“è come lo Yin e lo Yang, la comprensione reciproca fa la differenza”, suggeriscono), che raccontano l’anima di un marchio capace di essere, a suo modo e per molti giovani compratori, ribelle, ironico e poetico. Nato come progetto tra i banchi dell’università – i founder si conoscono sin da allora – è diventato in pochi anni una vera community, un brand pensato dai giovani per i giovani.

Dai primi ordini gestiti tra una lezione e l’altra alle vendite per 50mila euro in una sola notte, fino all’apertura di flagship store in tutta Europa: la storia di Nude Project è il percorso di due ragazzi spagnoli che hanno saputo intercettare una generazione in cerca di autenticità e, probabilmente, di una certa identità condivisa.
In questo percorso, la crescita è stata rapida: circa 600mila euro di ricavi nel primo anno, 2,6 milioni nel secondo e circa 11 milioni nel terzo, fino a raggiungere i 30 milioni nel 2023. Numeri che – facile pensarlo – hanno attirato l’attenzione della stampa – tanto da portarli, a soli 25 anni, sulla copertina di Forbes (un loro tweet del 2019 recitava proprio “Un giorno saremo sulla cover di Forbes”) – forse anche ‘troppo’ per il duo, che di recente ha deciso di non comunicare più le revenue.

Il drop Gardening Club

“A un certo punto, credo fosse il 2022 o il 2023, abbiamo smesso di divulgare il fatturato”, racconta Benlloch -. Ci siamo resi conto che tutti gli articoli si concentravano solo su quello, e volevamo mettere in evidenza altri aspetti della storia del marchio. Ma da allora la crescita è continuata”. E se inizialmente la forza era tutta online, oggi il retail è diventato centrale, funzionando da spinta per una nuova creatività. Attualmente la label conta store a Madrid, Valencia, Barcellona, Ibiza, Lisbona, Bilbao, Milano e Amsterdam.

“Il nostro obiettivo è ispirare le persone a connettersi – con se stesse, con ciò che amano, con gli altri”, racconta Benlloch, sottolineando come la strategia non si limiti al prodotto ma passi dalla creazione di luoghi fisici e digitali in cui i clienti possano sentirsi parte di qualcosa. Casanovas aggiunge: “La mia generazione è attratta dall’autenticità. I ragazzi vogliono sapere chi c’è dietro un brand, qual è la sua missione, qual è il suo scopo. È lì che nasce la connessione. Oggi non vogliamo aprire un negozio solo perché l’online funziona, vogliamo creare spazi che ci piaccia davvero visitare, perché se noi li amiamo, anche la community li amerà”.
Ogni store ha infatti un concept unico: a Milano ‘El Gran Palacio’, ad Amsterdam ‘Kubrick’s Mind’ – con stanze ispirate alla filmografia del celebre regista – mentre Madrid (dove il duo ha recentemente traslocato al numero 18 di Calle Fuencarral, passando da uno spazio di 50 a 300 metri quadrati) è ‘La Casa de Nude Project’. “Il mio sogno è che chi visita i nostri negozi ne veda più di uno”, riflette Casanovas.

L’interno del nuovo flagship di Madrid, Ph. Courtesy of Nude Project

“In un mondo dominato da social media e intelligenza artificiale, le persone hanno più bisogno che mai di connessioni reali. E i nostri store servono a questo”, continua Benlloch. Non a caso, il cuore del progetto resta la community, alimentata da un uso naturale quanto dinamico dei social media (attualmente il brand conta 1,4 milioni di follower solo su Instagram). “Siamo cresciuti con queste piattaforme”, ricorda. “Quando i brand investivano centinaia di migliaia di euro in campagne tv, noi producevamo contenuti per cinque piattaforme diverse ogni giorno. Questo ha cambiato l’economia della creatività. Lo storytelling è diventato sempre più importante. Abbiamo approfittato di questa situazione e siamo stati forti sui social media fin dall’inizio”.

Il drop Gardening Club

Un’arma a doppio taglio sotto certi aspetti, perché se da una parte i contenuti virali hanno favorito la crescita e la notorietà del marchio, rimane comunque il dilemma di restare sempre un po’ sotto i riflettori – soprattutto se, come nel caso di Casanovas, la mente più creativa ed estroversa del duo – sei sempre stato molto attivo sulle piattaforme. “Io cerco di mantenerne la giusta distanza – spiega -. Non posso sparire dai social, ma li vedo come una droga: creano dipendenza. Cerco di usarli il meno possibile e in modo consapevole. Prima di aprire Instagram mi chiedo: ‘Perché sto entrando?’. Altrimenti finisci a guardare storie a caso o notifiche che non ti interessano. È tutto molto involontario”. Attenzione allora a definirlo ‘brand ambassador’ del suo marchio, non tanto per una questione di ruoli quanto piuttosto di etichette. “Non amo i grandi titoli come ‘creative director’ – tiene a precisare -. Non voglio essere giudicato per un titolo, ma per la mia creatività. Nude Project è la mia visione del mondo, e so che è normale che la gente voglia sapere chi c’è dietro. È come chiedere: cosa ti piace di più, il Barcellona o Messi? Il 90% dirà Messi. Perché tutti vogliono sapere chi tesse le fila”.

Bruno Casanovas nello store meneghino del brand, Ph. Davide Fogato

Un’altra spinta nel percorso del marchio potrebbe essere arrivata dalla lingua, che – come ricorda Benlloch – ha sicuramente permesso al brand di essere forte in Messico, Argentina, Spagna e anche a Miami, “che è molto latina”, e dove proprio in questi giorni la label ha annunciato il primo pop-up. “Primo giorno per far conoscere il nostro brand negli Usa”, si legge in un post-missione su Instagram

“Non ci sono molti marchi latini globali – sottolinea Benlloch -. Inoltre la nostra cultura è molto legata all’Italia. Per noi l’Italia è come una ‘cugina alla moda’: cibo migliore, persone bellissime. Il rapporto è fantastico. Quindi penso che anche questo ci abbia aiutato”. All’inizio la Spagna rappresentava oltre il 60% delle vendite online, oggi conta invece ‘solo’ circa il 20-23 per cento. “Si tratta di un grande cambiamento perché stiamo crescendo in nuovi mercati: Italia, Stati Uniti, Germania, Portogallo. Questi sono i più forti in questo momento”.

Ma più ancora dei numeri, è l’autenticità a fare la differenza: “La mia generazione vuole sapere chi c’è dietro un brand, qual è la sua missione, qual è il suo scopo”, afferma Bruno. “Noi siamo ragazzi che hanno iniziato da zero e volevano ispirare gli altri a connettersi. È questo che ci ha reso credibili. Oggi la società è più disconnessa che mai – per i social media, per la vita nelle grandi città, per tantissimi fattori in realtà. Per questo io e Alex sogniamo di creare una piattaforma per chi non si sente rappresentato dalla ‘cultura dominante’, così che possa connettersi”.

Alex Benlloch e Bruno Casanova, co-founder di Nude Project

Ci sono stati momenti chiave che hanno segnato la svolta. “Durante il Covid, in una sola notte abbiamo fatto 50mila euro di vendite online”, ricorda Benlloch. “Ero a casa con i miei genitori e non ci credevo. Ma mia madre mi disse: ‘Bravo, Alex, ora però porta giù la spazzatura’”. “All’inizio vendevamo due felpe al giorno – continua Casanovas -. Poi un modello è diventato virale e siamo passati a 200 ordini in una notte. Quella notte io e Alex ci siamo ubriacati per festeggiare, comprammo una bottiglia di champagne e ci siamo sentiti i più ricchi del mondo. Perché per la prima volta abbiamo pensato: ‘Forse possiamo vivere della nostra passione’”.

Il futuro ora passa da due direttrici: retail e prodotto. “Vogliamo aprire flagship in città chiave come Roma, Berlino e Parigi (tra i progetti futuri c’è anche l’idea di un flagship meneghino più grande, ndr) – annuncia Benlloch -. E stiamo ampliando le linee: non più solo streetwear, ma outerwear, knitwear, denim, categorie che rafforzano l’identità fashion del brand”. Per entrambi, una sana ossessione resta la “percezione” del marchio, proprio come gli ricorda una dei loro ‘miti’. “Remo Ruffini (presidente e AD di Moncler, ndr.) l’ha descritta molto bene. Per i marchi, la percezione è probabilmente la cosa più importante: come viene considerato il marchio. Quindi, ogni volta che prendiamo una decisione, ci chiediamo: questo sostiene il valore del nostro marchio o va contro di esso? Ogni decisione deve andare a favore del valore del brand”.

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Redazione Redazione Eventi e News