Per l'uscita del disco "The Life of a Showgirl" Taylor Swift ha abbracciato un nuovo stile fatto di piume e cristalli, per un motivo ben preciso.

Vedete quel luccichìo, quello sventagliare di piume? Le showgirl sono tornate. Merito (o colpa) di Taylor Swift e del suo nuovo album, The Life of a Showgirl. Nuovo disco, nuovo look: per la prima volta vediamo la popstar vestita solo di cristalli, circondata da ventagli piumati e con elaborati diademi sui capelli. Taylor Swift è solo l’ultima star a lasciarsi ispirare dal mito delle ballerine di Parigi e Las Vegas: da dove nasce la figura della showgirl e perché se ne parla.

La nuova estetica di Taylor Swift in “The Life of a Showgirl”
Come sanno bene i fan, a ogni “era” musicale della cantate corrisponde una precisa estetica, con i suoi colori, i suoi simboli e i suoi riferimenti estetici. Accantonati gli struggimenti letterari del disco precedente, The Tortured Poet Department, la cantante è tornata in scena con un grande annuncio (le nozze!) e probabilmente il cambio look più audace e glamour fino ad ora.
L’uscita dell’album è stata anticipata, sui social, un servizio fotografico scattato dal duo Mert e Marcus, tra i nomi più famosi nel settore della moda. L’ambientazione è quella di un teatro, a tarda notte: l’habitat d’elezione delle ragazze di spettacolo. Taylor Swift viene ritratta tra le poltroncine in velluto, seduta davanti al sipario, in camerino, sul palco con altre ballerine.

Taylor Swift durante un concerto dell’Eras Tour (Photo by Emma McIntyre/TAS24/Getty Images for TAS Rights Management)
Gli elementi del canone ci sono tutti: le calze a rete, i guanti lunghi, i copricapi scintillanti, i ventagli di piume e i body tempestati di paillettes firmati The Blonds. Anche sulla copertina del disco la cantante posa con un abito nude incrostato di cristalli di Area mentre è immersa in una vasca da bagno. Tutto fa riferimento a un immaginario preciso, seppur controverso, la cui lunga storia affonda le radici nella Parigi di fine Ottocento.
Come sono nate le showgirl
Le origini delle showgirl si trovano in Francia, tra i café-chantant e gli spettacoli di varietà. Le primissime showgirl erano donne capaci di intrattenere i clienti ballando, cantando e a volte recitando. Tra i più famosi c’era il Folies Bergère, nato nel 1886 sotto la direzione di Edouárd Marchand che inventò una formula che metteva insieme musica, ballo e una parata di costumi che mettevano in mostra il corpo. Il tutto, con un pizzico di ironia e il richiamo “scandaloso” della parziale nudità.
L’idea prese piede anche in America grazie a Florenz Ziegfeld che, ispirandosi alle ballerine delle Folies Bergère di Parigi mise in piedi una fortunatissima serie di spettacoli: Ziegfield Follies, attrazione di Broadway dal 1907.
Ma il mito della showgirl esplose nella seconda metà del secolo soprattutto a Las Vegas, dove i casinò attiravano clienti grazie alle ballerine. Le showgirl erano il simbolo della vita scintillante e sfrenata (seppur illusoria) della città. I loro abiti – metà tra lingerie e costumi teatrali – erano parte integrante dello show: più erano eccentrici, colorati, rivelatori, più lo spettacolo sarebbe rimasto impresso al pubblico.
La versione importata del Folies-Bergere in cartellone all’Hotel Tropicana ha resistito fino al 2009, seppur in profonda crisi. La società era profondamente cambiata, le donne pure: spettacoli che mettevano al centro il corpo femminile erano oggetto di critica, più che di curiosità.

Mistinguett, cantante e ballerina del celebre cabaret Folies Bergere a Parigi. (Photo by General Photographic Agency/Getty Images)
Dal teatro al cinema
L’estetica scintillante forgiata a Las Vegas – piume, copricapi voluminosi e cascate di cristalli sulla pelle nuda – però non è mai scomparsa del tutto. Merito anche del cinema, che ha impresso l’archetipo della showgirl seduttiva e misteriosa nell’immaginario collettivo. Pensiamo a Nicole Kidman in Moulin Rouge!: la sua Satine si esibisce con body scintillanti, calze a rete, guanti lunghi e, ovviamente, cascate di gioielli e copricapi di tutti i tipi.
Oppure a Burlesque, con Christina Aguilera e Cher – una che sul red carpet ha interpretato ogni tipo di ruolo grazie allo stilista Bob Mackie. Alcuni accessori dello stilista, non a caso, sono stati citati nelle ultime foto di Taylor Swift. Il recentissimo film The Last Showgirl, con Pamela Anderson, racconta invece la fine di un’epoca di sfarzo e decadenza, evidenziando il lato umano più intimo e fragile delle performer.

Pamela Anderson in una scena di “The Last Showgirl” di Gia Coppola (foto Be Water Film)
Prima di Taylor Swift: Madonna, Dita Von Teese e Kylie Minogue
In un certo senso, le showgirl sono state le prime vere performer: non è strano se molte artiste si ispirino ai loro costumi sul palco. Prima di Taylor Swift c’è stata Madonna, che ha fatto dei corsetti Jean Paul Gaultier il pilastro del Blonde Ambition Tour. Oppure Kylie Minogue, che ha esplicitamente chiamato il suo tour dei primi anni Duemila Showgirl, esibendosi tra boa di piume, pennacchi e frange di cristalli.
Dita Von Teese ha fatto suo il lessico visivo showgirl, fondendolo con l’immaginario boudoir e burlesque. E ancora: Beyoncé, Dua Lipa, Sabrina Carpenter – tutte, a un certo punto della loro carriera, hanno strizzato l’occhio allo stile sfolgorante di Las Vegas. Il punto di vista della nuova generazione è ribaltato: giocano con questa immagine, pur mantenendo il controllo. Non più per lo sguardo degli uomini, ma per le donne.

Madonnna nel 1990 durante il Blond Ambition Tour. Photo by Frank Micelotta/Getty Images.
Anche se le popstar di oggi – Taylor Swift inclusa – hanno abbracciato quest’estetica come simbolo di libertà, empowerment e un filo di trasgressione, le primissime showgirl erano tutt’altro che padrone della propria carriera. Nell’ambiente teatrale d’inizio secolo gli abusi non erano rari, anche da parte di impresari e clienti degli spettacoli.

Kylie Minogue durante lo Showgirl Tour in Australia (Photo by John Stanton/WireImage)
Che significato hanno, oggi, le showgirl?
La figura della showgirl negli anni ha assunto contorni diversi: talentuosa, ma fatua. Più che un’artista, una soubrette. Affascinante, ma oggettificata dal pubblico. In generale, l’immaginario a cui Taylor Swift fa riferimento rischia di essere polveroso, antiquato, fuori dal tempo. La scelta potrebbe essere simbolica, una metafora delle pressioni dello show-business, della crudeltà del pubblico insaziabile e della pretesa dell’eterna giovinezza, temi che aveva già affrontato nelle canzoni Clara Bow e I Can Do It With a Broken Heart.
Ma sotto il profilo estetico poco è cambiato: guardando le foto dei cabaret parigini colpisce come “l’uniforme” della showgirl sia sempre la stessa. In questo gioco di citazioni e rimandi, Taylor Swift tenta un’impresa impossibile: dare un nuovo significato al termine, farla diventare un’artista e un’imprenditrice. Proprio come lei.
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