Simone Bellotti rielabora il minimalismo di Jil Sander. E convince la critica

Se Jil Sander avesse assistito alla prima sfilata di Simone Bellotti alla guida stilistica del brand che porta il suo nome probabilmente avrebbe applaudito sonoramente. Ieri, all’interno della storica sede in Foro Buonaparte, il designer ha svelato le proposte uomo e donna per la primavera/estate 2026, legate a doppio filo all’immaginario tracciato da Jil Sander.
Di tutti i direttori creativi succeduti alla stilista, Bellotti sembra essere quello più interessato all’heritage di Jil Sander. Basti pensare che il primo look è stato indossato da Guinevere van Seenus, top model volto dell’estetica delineata dalla creativa tedesca. “Il ritorno a casa, l’ultima sfilata qui è stata nel 2017, segna una nuova partenza. L’ambiente, immerso nel bianco, è attraversato solo dalla linea nera della passerella arcuata, mentre l’atmosfera sonora è disegnata dai bip elettronici ed evolutivi di Bochum Welt“, spiega una nota.
Colonna sonora e set ridotti al minimo per una sfilata che più minimal, e quindi più Jil Sander, non si può. “Questa collezione guarda al futuro partendo dalle radici, esplorando la purezza come modo, non come limite: un’espressione di contrasti attentamente elaborata”. Durante la sua direzione creativa da Bally, Bellotti aveva già dimostrato la capacità di interpretare il dna di un luxury brand trainandolo in territori inesplorati. Mentre Lucie e Luke Meier, al timone della casa di moda di proprietà di Otb fino alla scorsa stagione, avevano gradualmente aggiunto al lessico del marchio una vivacità materica esuberante, il lavoro di Bellotti indaga sulla sintesi formale.
“Ci si addentra in un’estetica che, nell’immaginario collettivo, è associata ad una purezza essenziale. È possibile rimuovere aggiungendo una sigla personale? Sottrarre consente il di più? È meglio optare per la schiettezza o essere elaborati, sovrapporre o rimuovere, rifinire alla perfezione o lasciare qualcosa di incompiuto?”. Bellotti ha scelto di mettersi in gioco alternando “rigore e leggerezza, grazia e severità, controllo e libertà”. Il designer non vuole strizzare l’occhio al quiet luxury né alle tendenze propagate dai social network, la linearità delle sue proposte viene interrotta da cut-out strategici, trasparenze e oblò che esaltano la nudità illuminata da paillettes metalliche. Nuance neutre e sature si incastrano perfettamente così come la palette di colori workwear: nero, grigio, blu. Maschile e femminile dialogano attraverso tagli e lunghezze speculari, in primis nella maglieria, con rimandi all’estetica nineties.
Il vocabolario di Jil Sander by Bellotti è ricco di indumenti alla base del guardaroba quotidiano, dal tailoring ai capispalla (particolarmente riusciti quelli in pelle). Superfici metalliche e color blocking delineano una tensione estetica intrigante, la stampa a fiorellini su culotte e reggiseno total black appare invece fuori sincrono. Accessori e calzature seguono una geometria formale declinata attraverso linee circolari e squadrate.
Cercare la viralità virtuale sta diventando un diktat imperante nel mondo del lusso. Bellotti si allontana drasticamente dalle derive social prediligendo la coerenza stilistica insita nel dna di Jil Sander.
Lo show ha raccolto critiche positive dalla stampa straniera. Dalle colonne di The Cut, Cathy Horyn plaude l’esordio di Bellotti sottolineando come nel suo lavoro sia riuscito a non essere “accademico nella sua ricerca e mi ha lasciato una certa curiosità di vedere ancora di più, in modo particolare su come amplierà ulteriormente i progetti”. Tim Blanks su Business of Fashion racconta: “Nella sfilata presentata mercoledì mattina, Bellotti ha offerto una rivisitazione così impeccabile della visione originale di Jil che è arrivata con la stessa forza silenziosa di un tempo. Non è stata solo l’addizione contro la sottrazione a mettere alla prova Bellotti. Jil Sander ha espresso il suo processo di purificazione con una sottigliezza paradossalmente potente”.
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