Test di Greenpeace sull’acqua in bottiglia: tracce di Tfa che preoccupano


Da un test su 16 bottiglie di diverse marche emerge presenza di Tfa, l’acido trifluoroacetico. Non ancora chiare le cause. Forse per questo le aziende non hanno voluto commentare?
Tracce di Tfa, l’acido trifluoroacetico, sono state trovate nelle bottiglie d’acqua di diversi marchi italiani. Lo rende noto GreenPeace che ha sottoposto a test sedici bottiglie di acqua minerale, appartenenti agli otto marchi più diffusi nel nostro Paese.
Dopo averle acquistate in un supermercato di Roma, GreenPeace le ha inviate a due diversi laboratori – otto bottiglie in Germania, altrettante in Italia con l’obiettivo di testare la presenza di Pfas (le ormai nota sostanze poli- e per-fluoroalchiliche).
Stiamo parlando di bottiglie di plastica a marchio Ferrarelle, Levissima, Panna, Rocchetta, San Benedetto, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto.
Da notare che tutte sarebbero esenti da Pfas, ma non tutte da Tfa, che è una molecola composta da una corta catena di due atomi di carbonio. Solo di recente si è cominciato a indagare i possibili effetti per la salute umana di questa sostanza, ormai diffusa praticamente ovunque e a cui noi tutti siamo esposti.
Le aziende, informate dei risultati e contattate direttamente da GreenPeace, non hanno voluto commentare.
Leggete il report
Il report, disponibile online, ci è stato inviato in redazione e lo mettiamo a disposizione di tutti i nostri lettori, che avranno così modo di farsi un’idea sul fatto che solo nei campioni d’acqua di Ferrarelle e San Benedetto Naturale non è stata rilevata alcuna presenza di Pfas.
“Il che significa – spiega Alessandro Giannì, responsabile relazioni istituzionali e scientifiche di Greenpeace Italia – che le concentrazioni di tali sostanze in questi campioni sono risultate inferiori al limite di rilevabilità di 50 ng/L – mentre nei restanti campioni appartenenti a Levissima, Panna, Rocchetta, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto è stato invece rilevato proprio il Tfa“.
A quanto pare, il risultato non dipende né dalla data di imbottigliamento – ovvero se la bottiglia d’acqua fosse stata più o meno tempo sulla scaffale – né dalla composizione della plastica della bottiglia.
Approfondimenti doverosi
“Riguardo alle possibili cause della contaminazione rilevata – spiega a GreenPlanner Giannì – siamo ancora nel campo delle ipotesi. È possibile che ci troviamo davanti a una contaminazione estremamente diffusa, in parte collegata alla notevole mobilità ambientale del Tfa. Per quanto noto, tra le attività che più frequentemente rilasciano Tfa ci sono le pratiche agricole, ma altre fonti sono possibili e non ci sono ancora evidenze conclusive“.
Il Tfa lo si trova nella polvere domestica come nel sangue umano e, dunque, non sorprende che sia stato trovato anche nelle acque minerali.
Le autorità tedesche di recente hanno classificato il Tfa come tossico per la riproduzione e molto mobile e persistente. Questa sostanza può derivare dalla degradazione di altri Pfas rilasciati nell’ambiente e si accumula negli organismi viventi, per esempio in alcuni cereali.
Non è un problema solo italiano
I valori di Tfa rinvenuti nei campioni raccolti da Greenpeace Italia (tra circa 70 e 700 ng/l) si allineano – anche se con valori leggermente inferiori – a quelli ottenuti da altre indagini in vari Paesi europei (tra 370 e 3.300 ng/l).
Insomma, non si tratta di una questione limitata al nostro Paese.
“Senza voler creare allarmismi – si legge nel report – la presenza così diffusa di una sostanza di cui sappiamo poco (e quel poco che sappiamo tende a preoccupare sempre di più) impone una prudenza che avremmo dovuto usare anche con gli altri Pfas.
Soprattutto, dobbiamo smetterla di contaminare le nostre acque potabili e le nostre vite con queste sostanze pericolose o potenzialmente tali“.
Crediti immagine: Depositphotos
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