Tre ciotole, la trasposizione del romanzo di Michela Murgia


Stormi di uccelli oscurano il cielo di Roma in una danza ipnotica. Si stanno proteggendo, nella stagione delle migrazioni, o lo fanno per un altro motivo?
Sin dalle prime immagini Tre ciotole, l’atteso film liberamente tratto dal romanzo di Michela Murgia, si propone di mettere dei punti di domanda alla realtà apparente. Una vita o un gesto non si conosce solo vedendolo, ma comprendendo le emozioni che lo alimentano.
Così la regia di Isabel Coixet decide di seguire da vicino le tribolazioni sentimentali e interiori di Marta (Alba Rohrwacher). Si parte dalla rottura di una relazione importante con Antonio (Elio Germano), poi si arriva all’accettazione di una malattia che le devasta il corpo e i piani di vita.
La fatica di ricalcare le parole scritte
Michela Murgia scriveva il suo romanzo accettando la sentenza di un tumore da cui non si guarisce e affidava ai suoi personaggi la sua voce e i suoi contrasti. Trasporre un romanzo così intimo non era semplice. Alcuni tradimenti erano necessari, ma la regia non riesce ad evitare di trasformare la semplicità poetica della Murgia in retorica cinematografica.
Tre ciotole, pur concentrandosi su una sola storia portante, lasciando come marginali gli altri personaggi, fatica a trovare la stessa sincerità delle parole scritte.
L’avvicinarsi della morte e ciò che questa fa sui rapporti delle persone è sì un tema interessante, ma la sua messa in scena non riesce mai ad andare oltre la superficie. Come gli uccelli di Roma il film vorrebbe procedere con una leggerezza poetica, ma i dialoghi risultano spesso fuori fuoco e artificiali.
Tra le idee più promettenti c’è quella surreale di un cartonato di un idol sudcoreano a cui sono affidati tutti i pensieri privati. La delicatezza del momento diventa presto straniante quando la si vede in immagini.
Due mezzi diversi, che non sempre si incastrano bene
L’operazione di Tre ciotole serve a ricordarsi quanto libro e film siano due mezzi diversi che non sempre si adattano bene. Si lascia la sala con la sensazione che ci sia stato un “Lost in Adaptation”; qualcosa si è perso nell’adattamento.
Il film riesce però a far sentire la mancanza di Michela Murgia. Sui titoli di coda ci si chiede come avrebbe commentato lei, con la sua passione, la sua arguzia e l’amore per l’imperfezione, quest’opera che cerca di fare le cose giuste, mancando però il bersaglio.
Qual è la tua reazione?






