Tu, lei, voi: quale pronome scegliere? Risponde la Crusca

Ottobre 18, 2025 - 16:00
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Tu, lei, voi: quale pronome scegliere? Risponde la Crusca

Tratto dall’Accademia della Crusca

Sono arrivati al servizio di consulenza linguistica della Crusca molti quesiti che riguardano i pronomi allocutivi (detti anche di cortesia o reverenziali), quelli cioè che si usano per rivolgersi agli altri, parlando e scrivendo. Le persone che ci hanno scritto chiedono vari chiarimenti: sulla storia dei pronomi allocutivi, sul loro uso nelle traduzioni da altre lingue (in particolare, traduzioni di romanzi ambientati nel Quattrocento e nell’Ottocento) e nella scrittura teatrale, sulle maiuscole o minuscole iniziali con le quali devono essere scritti, sulle regole da rispettare oggi in base alla grammatica (e alle convenzioni sociali).

Risposta
Per rispondere, partiremo dalle domande relative all’uso di questi pronomi nell’italiano antico (sull’argomento si rinvia anche alla risposta di Paolo Belardinelli e a Serianni 1988, VII 84-97). Nel Medioevo le forme adoperate per rivolgere la parola a qualcuno erano il tu e il voi, quest’ultimo usato molto più raramente del tu come titolo di grande rispetto, quasi a indicare che la persona a cui ci si rivolgeva “valesse per due”. Testimonia autorevolmente quest’abitudine Dante, che nella Divina Commedia si rivolge con il tu a tutti i personaggi che incontra, tranne che a pochissimi, tra cui Farinata degli Uberti, avversario politico per il quale ha molto rispetto, a Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido, il poeta suo amico, a Brunetto Latini, intellettuale che lui considera un maestro. A tutti costoro e a una donna, Beatrice, Dante dà del voi. Particolarmente significativo il comportamento del Poeta nell’incontro con l’antenato Cacciaguida. Quando ancora non sa chi sia, si rivolge a lui usando il tu: “Ben supplico io a te” (Paradiso, XV, 85). Quando invece si rende conto che l’anima con cui sta parlando è quella del suo illustre avo, passa subito a un più ossequioso voi: “Dal voi […] ricominciaron le parole mie” (Paradiso, XVI, 10-12), approfittando dell’occasione per criticare l’uso dei romani suoi contemporanei di dare a tutti il tu.

Un secolo dopo, in pieno Quattrocento, le cose cominciarono a cambiare. Al tu che si adoperava con tutti e al voi che si adoperava con le persone ritenute autorevoli si aggiunse l’espressione la Vostra Signoria, che a volte si alternava con il voi (collegato a vostra) e a volte si alternava con il lei (collegato a la Signoria). Per quanto riguarda i pronomi allocutivi usati in quel secolo nei rapporti familiari (sui quali sono arrivate varie domande dai lettori), gli epistolari conservati confermano che i figli si rivolgevano ai genitori con il voi (per esempio, Galeazzo Maria Sforza, a nove anni, nel 1453, quando scriveva al padre Francesco Sforza e alla madre Bianca Maria Visconti), mentre i genitori davano del tu ai propri figli (per esempio, Alessandra Macinghi Strozzi nelle lettere scritte tra il 1447 e il 1470 ai figli esuli).

Dal Rinascimento in poi, l’abitudine di rivolgersi a una persona di riguardo col lei si estese ancora, rafforzata dall’imitazione della moda cerimoniosa proveniente dalla Spagna. Da allora, per almeno tre secoli, il tu, il lei e il voi hanno convissuto: il pronome allocutivo non marcato era voi, mentre lei e tu si adoperavano rispettivamente come variante formale e informale, ma tu poteva rappresentare un allocutivo non connotato socialmente, e quindi usato in riferimento a Dio o a un ente astratto personificato (nel Cinque maggio Alessandro Manzoni, rivolgendosi alla Fede scrive: “Tu dalle stanche ceneri / sperdi ogni ria parola”, vv. 103-104).

Un lettore chiede quali pronomi di cortesia far pronunciare, in un testo teatrale ambientato tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei dialoghi tra genitori e figli, tra figli e genitori e tra loro e un ospite. Un buon modello al quale ispirarsi può essere rappresentato dai testi teatrali scritti e rappresentati in quegli anni. Per esempio, nel dramma In portineria (1885) di Giovanni Verga genitori e figlie si danno reciprocamente del tu, ma danno del lei agli altri personaggi che passano nella portineria, mentre in Cavalleria rusticana (1884) Turiddu dà del tu alla fidanzata Santuzza, che invece gli si rivolge con il voi (fino a quando la tensione tra i due non diventa forte: allora passa al tu: “Ammazzami!”; “Mi lasci?”; “Non mi lasciare”); alcuni anni più tardi, nel dramma Sei personaggi in cerca d’autore (1921) di Luigi Pirandello, il padre, la madre, la figliastra e il figlio si danno reciprocamente del tu e gli uni e gli altri si rivolgono al capocomico, mai incontrato prima, con il lei. Alla lettrice che chiede quali pronomi usare nella traduzione di un romanzo russo dell’Ottocento, suggeriamo di usare il sistema tripartito italiano dell’epoca tu/voi/lei, come avviene, per esempio, nella traduzione di Claudia Zonghetti dei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij (Torino, Einaudi, 2021). Per quanto riguarda la domanda di un lettore a proposito della traduzione, in un videogioco, dei dialoghi tra una principessa e i vari personaggi, rispondiamo che, trattandosi di un testo di genere favolistico, il pronome più appropriato è il voi, perché sposta i rapporti in un’epoca indeterminata, lontana da quella attuale, fuori dal tempo.

A proposito del quesito sulle maiuscole o minuscole con le quali scrivere i pronomi allocutivi (e i corrispondenti possessivi), la maiuscola di rispetto si adopera quando ci si rivolge (in una lettera, in una mail o in un documento burocratico) a una persona a cui si dà del lei (se sono più di una si usa voi e non loro, ormai antiquato, come si dirà sotto): “mi rivolgo a Lei”; “nella Vostra lettera”; inserendo la maiuscola anche nelle forme clitiche ortograficamente unite al verbo: “ci premuriamo di informarVi”. Si tratta, però di una scelta facoltativa, fatta per ragioni di opportunità sociale. Da un punto di vista strettamente linguistico non c’è alcuna regola che obblighi all’uso della maiuscola.

Un lettore domanda quale debba essere l’accordo se il lei è riferito a un uomo: le parole riferite al lei vanno concordate al femminile, secondo la grammatica, o al maschile, secondo il genere? In altre parole, bisogna scrivere: “Gentile signor Bianchi, Lei (o lei) è stata invitata” o “è stato invitato”? Del tutto corretto e accettabile l’accordo al maschile: “Lei è stato invitato”; parimenti corretto (anche se ormai raro) quello al femminile. Con il pronome clitico, però, si usa l’accordo al femminile: “Professore, la seguo sempre con interesse” (e non “lo seguo”). A proposito del plurale del pronome allocutivo lei: a rigore, rivolgendosi nello stesso tempo a più persone alle quali si dà del lei, bisognerebbe dare il loro (come si faceva soprattutto nel passato, abitudine oggi in regresso, avvertita come troppo formale e ancora vivo quasi solo nella burocrazia: “come loro sanno”; “loro gradiscono un caffè?”). Del tutto accettabile, oggi, l’uso del voi: “come voi sapete”; “gradite un caffè?”.

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