Volenti o nolenti? Risponde la Crusca

Ottobre 4, 2025 - 12:00
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Volenti o nolenti? Risponde la Crusca

Tratto dall’Accademia della Crusca

L’aggettivo nolente ‘che non vuole, contrario’ (GRADIT) è un latinismo entrato in italiano nel XVI secolo, che deriva dal latino nolente(m), participio presente del verbo nolle ‘non volere’, formato a sua volta dall’unione di ne ‘non’ e velle ‘volere’ (l’Etimologico). La sua prima attestazione risale al 1530 (abbiamo “nolente in opinione” nei Diarii di Marino Sanuto, a cura di Federico Stefani, Guglielmo Berchet e Nicolò Barozzi, Venezia, Visentini, 1893, tomo XXXVI, p. 545) e, sebbene lo si possa ritrovare da solo (caso in cui può reggere anche una subordinata), è diffuso prevalentemente nella locuzione volente o nolente (documentata già in latino, volens nolens o volens aut nolens, al nominativo singolare), attestata peraltro solo a partire dal XVIII secolo (anche con omissione della congiunzione), “con riferimento alla condizione di chi è costretto o indotto a compiere una data azione, a comportarsi in un modo determinato, a subire particolari iniziative e condizionamenti indipendentemente dalla propria volontà o convinzione” (GDLI, s.v. nolente):

E vi posso dire che volente nolente ho dovuto darmi vinto alle replicate, e in cento maniere variate sperienze distruggitrici del supposto veleno. (Lazzaro Spallanzani [Scandiano, Reggio nell’Emilia 1729 – Pavia, 1799], Epistolario, a cura di Benedetto Biagi, 5 voll., Firenze, Sansoni, vol. I, 1958, p. 256)

Due anni dopo un papa pronunziava la parola del perdono, e poi benediceva l’Italia, e poi, volente o nolente, la sollevava tutta a una nuova crociata contro i barbari. (Giovanni Pascoli, Prose: pensieri di varia umanità, a cura di Augusto Vicinelli, 2 voll., Milano, Mondadori, 1946 (I ed.), vol. I, p. 289)

Accesasi, si dilatò la guerra a incendio universale. Tutti, volenti o nolenti, vi furono tirati dentro. (Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo XIX, Bari, Laterza, 1957 [I ed., 1932], p. 357)

Il primo impulso… fu di tirar giù la tovaglia con quanti cristalli e argenteria vi stavano sopra, slanciarsi su Bosso e prenderlo a schiaffi, quindi afferrare per un braccio Marta e, volente o nolente, costringerla a venire via con lui. (Alberto Moravia, La tempesta, in Id., I racconti, Milano, Bompiani, 1954, p. 345)

Rispondiamo ora al lettore che ci chiede se si possa dire volente o non volente: l’espressione ormai fissa prevede l’aggettivo nolente ma dal punto di vista semantico non volente non è sbagliato. Già in latino, il verbo nolle (di cui ricordiamo il paradigma nolo, non vis, nolui, nolle) alternava nella coniugazione forme sintetiche (come nolumus ‘non vogliamo’) a forme analitiche, ossia non unite in un’unica parola (come ad esempio non vult ‘non vuole’). Il participio presente latino, comunque, è sempre stato sintetico (nolens) e l’alternanza, in italiano, della locuzione con nolente a quella con non volente si potrebbe spiegare con la poca fortuna che ha il verbo nolere in italiano (cfr. infra). Volente o non volente è registrata dal GDLI come variante di volente o nolente, con attestazioni anche letterarie:

Dal verso trentesimo al verso cinquantesimo sesto della sonettessa seconda i poeti romantici (quali sono, volenti o non volenti, i più de’ poeti odiernissimi) sono ripresi di viltà e di poco amore alla patria. (Giosuè Carducci, Prose giovanili, in Id., Opere, 30 voll., Bologna, Zanichelli, 1935-1940, vol. V, 1936, p. 141)

Un altro lettore ci chiede se la forma corretta della locuzione non sia volente o dolente, anziché nolente. Il verbo latino doleo (da cui l’it. dolere, usato anche come intransitivo pronominale dolersi ‘rammaricarsi’, ‘dispiacersi’, con part. pres. dolente), a quanto ci risulta, non rientra nella categoria dei verba voluntatis, cioè dei verbi che esprimono volontà (o la mancanza di essa, come dovrebbe essere in questo caso). La forma volens dolens non è attestata in latino mentre troviamo alcune attestazioni ironiche dell’espressione in italiano:

In fondo che sia un poliziotto o un delinquente poco importa, la società che egli ha scrutato per tanto tempo si vendica consegnandogli una immagine codificata e spesso indesiderata. Volente o dolente egli entra a far parte del catalogo dei tipi urbani. (Giampaolo Nuvolati, L’interpretazione dei luoghi: flânerie come esperienza di vita, Firenze, Firenze University Press, 2013, p. 63)

Mentre negli anni ’80/’90 c’era solo il telefono o le riviste di gossip, e volente o dolente, i momenti dedicati al parlare al telefono o leggere i giornali erano solo un ritaglio della giornata, poi ci si concentrava su altro. (Michele Damiano, Sono perché siamo. Nascere bravi genitori è solo questione di fortuna, diventarlo è solo questione di scelte, Lecce, Youcanprint, 2025 [edizione digitalizzata])

L’espressione volente o dolente, nei pochi casi in cui è usata, se non è un semplice lapsus, ma sembra costituire un gioco ironico con cui si contrappone l’azione compiuta volontariamente a quella subìta contro la propria volontà, che quindi provoca un dispiacere, un dolore. Rispondiamo quindi al lettore che questa variante rappresenta un gioco di parole e che non ha molto senso chiedersi se si possa usare o meno.

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