Addio a Stefano Benni, il “Lupo” che ha cresciuto generazioni di lettori

Se n’è andato a Roma, nella mattina di martedì 9 settembre, Stefano Benni: aveva 78 anni. Nato a Bologna il 12 agosto 1947, è stato un caso raro di scrittore cresciuto nella satira politica (da Linus al manifesto, da Cuore a Tango) capace di conquistare platee vastissime senza mai rinunciare a sguardo critico e immaginazione sfrenata. Il suo nome resta legato a romanzi e racconti che hanno formato generazioni di lettori: Bar Sport (1976), Il bar sotto il mare (1987), Comici spaventati guerrieri (1986), La Compagnia dei Celestini (1992), poi Elianto, Margherita Dolcevita, La grammatica di Dio, fino alle favole e alle ballate degli ultimi anni.
Benni era uno scrittore “poligrafo” nel senso pieno del termine: giornalista, narratore, poeta, autore televisivo (paroliere del primo Grillo), sceneggiatore e regista (Musica per vecchi animali, 1989). La maggior parte dei suoi libri è uscita per Feltrinelli, un binomio editoriale che ha accompagnato tutta la sua carriera. Negli esordi, l’energia della satira si è trasformata presto in una lingua narrativa unica, che univa il comico al fantastico, la parodia al rocambolesco, il gusto per l’invenzione linguistica a un’attenzione costante per gli “ultimi”: bambini e pensionati, esclusi e marginali, vittime di un benessere tanto rumoroso quanto selettivo.
L’apice popolare arriva con La Compagnia dei Celestini: tre ragazzi orfani, la “pallastrada” come riscatto, un’Italia riconoscibile e deformata nello specchio del grottesco. Ma prima e dopo restano pietre miliari come Terra! – romanzo apocalittico-fantascientifico ambientato nel 2157 – o l’atlante immaginifico di Stranalandia (in coppia con l’artista Pirro Cuniberti, celebrato di recente da una nuova edizione). In racconti e romanzi, bar e porti diventano luoghi-simbolo: scenografie dove l’ordinario si piega al meraviglioso e la lingua, come un elastico, scatta per cogliere il non-detto del reale.
Benni è stato anche traduttore (tra gli altri Daniel Pennac), autore per il cinema e la tv, e firma di lungo corso su testate come L’Espresso e Panorama. Il soprannome “Lupo”, ricevuto da ragazzo sull’Appennino, lo ha seguito per tutta la vita: un totem affettuoso per un solitario che ha sempre preferito il branco dei lettori alla ribalta mondana. Negli ultimi anni aveva smesso di lavorare a causa della malattia, ma i suoi libri continuavano a circolare come talismani di resistenza civile e fantasia.
Il suo lascito non sta solo nelle opere più note, ma nell’idea – oggi più che mai necessaria – che il comico sia un dispositivo di conoscenza. Con l’arma dell’ironia, Benni ha fatto satira del costume italiano, smontando ipocrisie e retoriche, senza perdere tenerezza per le fragilità umane. Lo ricordava Goffredo Fofi, suo amico e lettore severo, parlando di «humour, pacato ma anche duro quando necessario, che però non sembrava mai dettato da disprezzo o da malizia». Una definizione che restituisce l’etica di fondo del suo lavoro: colpire i poteri, non le persone.
Nel catalogo dei titoli resta una geografia sentimentale del Paese, dal banco del bar sport alle periferie, dai manicomi (trasfigurati in Comici spaventati guerrieri) ai campi di gioco improvvisati in cui i Celestini provano a cambiare il destino. L’impegno civile non è mai proclama: è stile, ritmo, montaggio di voci, ribaltamento di gerarchie narrative. E quando l’industria culturale sembrava chiederci una letteratura docile, Benni rispondeva con una comicità indocile – “pop” e colta insieme – capace di mettere il lettore dalla parte giusta senza dirglielo.
Oggi che lo salutiamo, resta la sua lingua: elastica, stralunata, gentile e feroce, una lingua che ha insegnato a molti come scrivere del presente senza subirlo. Resta la comunità di lettori cresciuta con i suoi libri, quelli che hanno imparato a diffidare dei proclami e a fidarsi delle storie. E resta l’idea che dietro la risata ci sia sempre un gesto politico: far vedere ciò che di solito non si guarda.
Nel congedo si fa strada una gratitudine semplice: per le notti tenute sveglie dalle sue pagine, per i personaggi che ci hanno fatto compagnia, per quella modestia orgogliosa con cui ha difeso la libertà della letteratura. Non servono epitaffi: basta tornare a leggere. In fondo, il suo bar sotto il mare è ancora lì, con gli avventori pronti a raccontare. E il Lupo, da qualche parte, che ascolta.
Stefano Benni, scrittore italiano tra i più conosciuti degli ultimi decenni, autore di romanzi e racconti spesso comici e pieni di invenzioni narrative e linguistiche, come La compagnia dei Celestini (1992) e la raccolta Bar Sport (1976), è morto a 78 anni. Aveva collaborato con molti giornali e riviste, come L’Espresso e il Manifesto, ed era stato autore di opere teatrali e sceneggiature per il cinema, oltre che di programmi televisivi e anche delle battute del comico Beppe Grillo. La maggior parte dei suoi libri era stata pubblicata da Feltrinelli, e molti sono stati tradotti in altre lingue.
Amato da generazioni diverse di lettori per il suo uso creativo della lingua e per il suo stile ironico e immaginifico, che usava sia per fare satira sulla società italiana sia per inventare storie dolci e fantasiose, Benni non lavorava più da tempo a causa di una malattia. L’anno scorso il critico Goffredo Fofi (morto a luglio) aveva scritto sulla rivista Lucy che Benni non poteva più comunicare, e aveva ricordato il suo «humour, pacato ma anche duro quando necessario, che però non sembrava mai dettato da disprezzo o da malizia».
Benni era nato a Bologna nel 1947, ma era cresciuto nell’Appennino dove aveva ricevuto il soprannome “Lupo”, che lo accompagnò tutta la vita. Si iscrisse all’università ma cambiò diverse facoltà senza laurearsi, e iniziando presto a scrivere. Fu pubblicato per la prima volta nel 1976, non ancora da Feltrinelli ma da Mondadori, che fece uscire una raccolta di suoi racconti intitolata Bar Sport. Ambientati in buona parte in bar di provincia, è diventato un classico della letteratura umoristica italiana, amato e studiato per le descrizioni di storie umane e situazioni comuni e famigliari ma reinterpretate in chiave spesso surreale o grottesca. Nel 1997 Feltrinelli ne pubblicò un seguito, e nel 2011 ne fu tratto un film.
I suoi primi romanzi, come Terra! e Stranalandia, furono pubblicati da Feltrinelli all’inizio degli anni Ottanta, e nel 1987 una nuova raccolta di racconti, sempre con un bar nel titolo, fu l’altro suo grande successo della prima parte della sua carriera. Il bar sotto il mare raccoglieva una ventina di storie di genere fantastico, raccontate da altrettanti avventori di un immaginifico bar in una città di mare di finzione.
Anche La compagnia dei Celestini del 1992 era ambientato in un mondo immaginario, ispirato all’Italia, in cui tre ragazzi orfani scappano dall’istituto in cui sono rinchiusi per partecipare ai campionati mondiali di un gioco simile al calcio, e chiamato “pallastrada”. Fu il romanzo più letto e conosciuto di Benni, e diventò un classico anche della letteratura per ragazzi italiana. Margherita Dolcevita, pubblicato nel 2005, su una ragazza brillante e ironica in una famiglia strana, fu invece il romanzo di Benni più conosciuto pubblicato dopo il Duemila.
Benni ebbe anche una prolifica carriera come autore comico e televisivo: lavorò spesso con Beppe Grillo e pubblicò su molti giornali e riviste, come L’Espresso, Panorama, Linus, Repubblica, Cuore e il Manifesto. Fu sceneggiatore di Topo Galileo, film del 1988 con Grillo protagonista, e di Musica per vecchi animali (1989), tratto dal suo libro Comici spaventati guerrieri, oltre che dell’adattamento di Bar Sport.
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