Come affrontare l’inquinamento da marmettola? Lo spiega Legambiente Carrara

È notizia di questi giorni che ARPAT e Università di Firenze, studiando il rapporto tra attività estrattiva e inquinamento delle sorgenti, sono giunte alla conclusione che, sebbene quest’ultimo sia sicuramente causato dalle cave, è molto difficile individuare la responsabilità di una specifica azienda nell’intorbidamento delle sorgenti.
Anche lo studio in corso, che utilizza gli isotopi delle differenti tipologie di marmo per confrontarli con la marmettola che ha provocato un dato inquinamento, potrà al più consentire di individuare il bacino di provenienza, ma non la singola cava che quella marmettola ha prodotto.
Dunque dobbiamo fare i conti con un’amara realtà: quando si verifica un inquinamento da marmettola, nelle sorgenti o nel fiume, non si può ricorrere alle vie legali, vista la difficoltà di individuare l’azienda responsabile del reato.
Rinunciare a sorgenti e fiumi puliti? NO! Ribaltare la strategia
Allora dobbiamo rinunciare alla protezione delle nostre sorgenti e dei nostri fiumi? NO, occorre però ribaltare la strategia di contrasto non potendo sanzionare il reato, occorre sanzionare i comportamenti che lo provocano.
Finora i piani di coltivazione sono stati approvati con prescrizioni su come deve essere gestita la marmettola prodotta in cava (per lo più, confinamento delle acque al piede del taglio, loro filtrazione e allontanamento, come rifiuti, dei fanghi ottenuti), ma tali misure si sono rivelate insufficienti. Basta guardare, infatti, un qualunque sito estrattivo e si vedrà che, anche quando il contenimento delle acque è effettuato correttamente, tutto intorno (nei piazzali, nei gradoni delle bancate, nelle rampe ecc.), c’è abbondanza di marmettola che, dato il sistema carsico delle nostre montagne, a ogni pioggia si infiltra nelle sorgenti intorbidandole e arriva al fiume dove si cementa e annienta ogni forma di vita, distruggendone i microhabitat.
Se dunque le prescrizioni si rivelano inefficaci perché indicano “come” fare per non inquinare e, per forza di cose, risultano vaghe (ad esempio: si prescrive la periodica pulizia dei piazzali, ma non è chiaro ogni quanto: tutti i giorni, dato che tutti i giorni si produce marmettola? Settimanalmente? mensilmente? Una/due volte l’anno?), bisogna intraprendere un’altra strada.
La proposta di Legambiente: ordinanza sindacale “cave pulite” come uno specchio
Riteniamo, dunque, (e lo abbiamo già scritto più volte, anche nel luglio 2024, al MASE, all’ISPRA, all’ARPA Toscana e agli Enti locali) che si debba ribaltare la prospettiva e concentrarci sul “cosa vogliamo ottenere” cioè superfici di cava pulite come uno specchio per evitare che le piogge dilavino i materiali fini, applicando il “principio di precauzione”.
In sostanza, proponiamo l’adozione dell’approccio amministrativo (ordinanza sindacale con relative prescrizioni e sanzioni) che, essendo fondato non sulla punizione del danno arrecato, ma sulla prevenzione del danno stesso (sanzionando i comportamenti suscettibili di provocarlo), è molto più semplice, tempestivo ed efficace.
E che le ordinanze sindacali funzionino, se fatte rispettare, lo dimostra l’esempio del 1991, quando tutte le sorgenti vennero inquinate da idrocarburi dispersi in cava e Carrara rimase senza acqua potabile per parecchi giorni, tanto che i cittadini dovettero essere approvvigionati con le autobotti. Allora fu emanata un’ordinanza sindacale che, imponendo alle aziende misure stringenti per prevenire la dispersione di olii esausti, risolse sostanzialmente il problema.
Per prevenire l’inquinamento è quindi necessario adottare, fin da subito, un’ordinanza che contenga le seguenti prescrizioni, da imporsi, ovviamente, anche nel momento in cui si concede l’autorizzazione all’attività estrattiva:
- l’obbligo di tenere costantemente e scrupolosamente pulite (in particolare dai materiali fini: marmettola e terre) tutte le superfici di cava e delle sue pertinenze (piazzali, aree servizi, rampe, ravaneti, vie d’arroccamento, versanti, ecc.);
- il divieto di esporre al dilavamento meteorico i succitati materiali fini, siano essi in superficie o contenuti all’interno di strutture permeabili (cumuli, rampe, ravaneti, piazzali di detriti, ecc.);
- sanzioni adeguatamente dissuasive in caso di inadempienza (ad es. sospensione dell’autorizzazione per dieci giorni alla prima inadempienza, per un mese alla seconda e ritiro definitivo dell’autorizzazione alla terza, senza possibilità di ripresentare una nuova richiesta di autorizzazione).
Per essere chiari, dobbiamo adottare la logica del codice della strada: si sanziona chi passa col rosso per prevenire incidenti. Così dobbiamo fare per le aziende: puniamo quelle che non tengono la cava “pulita come uno specchio” perché è certo che, prima o poi, la marmettola lì accumulata finirà in fiumi e sorgenti.
di Legambiente Carrara
Qual è la tua reazione?






