Equo compenso e copia privata: cresce la polemica sul nuovo decreto del Ministero della Cultura

lentepubblica.it
Un nuovo schema di decreto ministeriale sta generando diverse polemiche nonché un acceso confronto tra mondo tecnologico e industria culturale.
Il provvedimento, attualmente in consultazione pubblica, prevede un incremento significativo delle tariffe di equo compenso per copia privata, ovvero la somma che i consumatori pagano all’acquisto di dispositivi dotati di memoria digitale.
Secondo la bozza, i rincari potrebbero arrivare fino al +40% per smartphone, tablet e smartwatch, con aumenti anche per DVD, hard disk, chiavette USB e memorie integrate. E non finisce qua, visto che la tassazione verrebbe estesa anche ai dispositivi ricondizionati e ai servizi di cloud storage, due settori centrali per l’economia digitale e per la sostenibilità ambientale.
Le contestazioni delle associazioni di categoria
Le principali sigle del comparto tecnologico hanno reagito con fermezza alla proposta.
Asmi (Associazione produttori di supporti e sistemi multimediali) parla di misura insostenibile, che rischia di incentivare il contrabbando di dispositivi acquistati all’estero, dove i costi sono più bassi. Il presidente, Mario Pissetti, sottolinea come le imprese operanti in un contesto deflattivo come quello tecnologico non abbiano più margini per assorbire simili prelievi, motivo per cui i rincari, inevitabilmente, verrebbero scaricati sugli utenti finali. Una situazione che ridurrebbe la competitività delle aziende italiane e creerebbe spazi di manovra per il mercato illegale.
Come anticipato, il decreto introduce l’applicazione delle tariffe anche ai dispositivi rigenerati, comprendendo tutte le operazioni di ricondizionamento e sostituzione di componenti, con conseguenze dirette per il mercato second hand, oggi in forte espansione. Per Asmi, si tratterebbe di un doppio balzello, in quanto il pagamento è già stato effettuato al momento della prima immissione sul mercato.
Gli aumenti previsti in dettaglio
I dati diffusi da Asmi fotografano con chiarezza l’impatto del nuovo schema tariffario. Per un dispositivo portatile con memoria oltre i 400 GB l’equo compenso passerebbe da 29 a quasi 34 euro (+17%).
Nel caso di smartphone o tablet con capacità superiore ai 2 TB, il contributo crescerebbe da 6,9 a 9,7 euro (+40%). Rincari del 20% sono previsti per tutti i DVD registrabili, mentre i dischi fissi segnerebbero un incremento del 17%.
Sul fronte cloud, fino a 1 GB non sarebbe dovuto alcun importo; tra 1 e 500 GB il costo sarebbe di 0,0003 euro al mese per utente, oltre i 500 GB di 0,0002 euro, con un tetto massimo di 2,40 euro mensili per ciascun utente.
Il nodo del cloud e i rischi per la digitalizzazione
Durissima anche la presa di posizione di Aiip (Associazione italiana internet provider) e Assintel (imprese ICT di Confcommercio), che hanno inviato una lettera al ministro della Cultura Alessandro Giuli.
Le due associazioni chiedono di eliminare qualsiasi riferimento ai servizi di cloud storage, evidenziando che non si tratta di supporti fisici, ma di piattaforme virtuali utilizzate soprattutto per contenuti autoprodotti e attività professionali. Applicare la tassa significherebbe imporre un doppio prelievo, in contrasto con le finalità originarie della normativa.
Per Paola Generali, presidente Assintel, la misura rischia di trasformarsi in un freno alla digitalizzazione nazionale. Il cloud, infatti, è l’infrastruttura di base per tecnologie cruciali come intelligenza artificiale, big data e cybersecurity ed è uno strumento imprescindibile per le PMI che competono nei mercati globali.
Anche Andec (importatori e produttori di elettronica civile) ha espresso parere negativo, definendo la norma come un “dinosauro normativo”. Secondo l’associazione, la diffusione delle piattaforme di streaming ha ormai reso marginale la pratica di salvare contenuti audio e video su memorie fisiche: proseguire con questa logica significa alimentare una misura obsoleta, ideata esclusivamente per garantire un gettito stabile alla Siae.
La richiesta al Ministero è di abbandonare del tutto la tassa sulla copia privata e individuare meccanismi di finanziamento alternativi per sostenere autori ed editori.
La voce favorevole: Confindustria Cultura Italia
Non mancano però le posizioni di segno opposto. Confindustria Cultura Italia, attraverso il suo presidente Luigi Abete, ha espresso pieno sostegno al decreto. L’adeguamento delle tariffe, spiega, rappresenta una condizione necessaria per garantire una remunerazione equa a chi lavora nel settore culturale e creativo.
Secondo i dati diffusi, il sistema attuale genera circa 150 milioni di euro all’anno, gestiti dalla Siae, di cui 10 milioni destinati ai costi di gestione. Una cifra che consente di tutelare gli autori e di sostenere l’industria culturale italiana, in linea con quanto già avviene in altri Paesi europei.
Abete ricorda inoltre che il compenso medio per copia privata in Italia è più basso rispetto ad altri Stati UE: 2,3 euro pro capite contro i 2,5 della media europea, con picchi di 4,1 euro in Francia.
Un freno alla digitalizzazione italiana
La scelta di includere il cloud storage tra i servizi soggetti a equo compenso appare fortemente discutibile. Tassare uno strumento che rappresenta un elemento chiave nel processo di digitalizzazione del nostro Paese significa introdurre un ostacolo strutturale proprio nel momento in cui imprese, professionisti e cittadini stanno accelerando l’adozione di soluzioni digitali.
Tale scelta rischia non solo di ridurre drasticamente la competitività delle PMI italiane, ma anche di frenare lo sviluppo di settori strategici come intelligenza artificiale, analisi dei dati e cybersecurity.
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