Fermare l’uccisione dei bambini a Gaza: il 1° ottobre a Catania la protesta delle madri

lentepubblica.it
Mercoledì 1° ottobre 2025, alle 18:30, donne e madri si ritroveranno in Piazza Stesicoro a Catania per un gesto di dissenso silenzioso, ma carico di significato, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’uccisione di bambini a Gaza, vittime innocenti di una guerra che sembra senza fine.
Vestirsi di bianco, portare una candela e “macchiare” simbolicamente i propri abiti di rosso, a ricordo del sangue versato: questo il simbolico e incisivo gesto di protesta che le mamme catanesi porteranno in piazza domani pomeriggio.
Lo slogan della convocazione è semplice e terribile: “Siamo tutte chiamate a dire BASTA! Da mamme non possiamo più tacere davanti a quegli occhi, davanti al massacro di innocenti. SONO BAMBINI, SOLO BAMBINI!”.
Questa manifestazione non è solo un richiamo emotivo, ma l’espressione di un’urgenza concreta: fermare la strage dei più fragili in un conflitto che ha già causato perdite immense tra i civili.
Appuntamento a Piazza Stesicoro, a Catania, a partire dalle ore 18:30.
Un conflitto che pesa sui più piccoli
Il conflitto fra Israele e Hamas, iniziato con l’attacco palestinese del 7 ottobre 2023, ha assunto dimensioni sempre più drammatiche, soprattutto sul piano umanitario.Le cifre accumulate fino ad oggi parlano di almeno 65.000 vittime complessive nella Striscia di Gaza, secondo il Ministero della Salute locale. Circa la metà di quei morti sarebbero donne o bambini.
Negli ultimi giorni (30 settembre) si contano almeno 30 palestinesi uccisi dagli attacchi israeliani durante le ore dell’alba, di cui metà – almeno 15 persone – erano in attesa di ricevere aiuti presso un punto di distribuzione nel centro di Gaza quando sono stati colpiti.
Tra questi, purtroppo, non mancano i più indifesi: bambini e civili nel mezzo di bombardamenti indiscriminati.
Inoltre, organizzazioni umanitarie denunciano che oltre 1.600 operatori sanitari e soccorritori sono stati vittime degli attacchi, compresi tra i tanti che cercano di salvare vite. Un caso esemplare è quello di Tasneem, psicologa rimasta uccisa insieme ai suoi figli durante un raid: un simbolo tragico dell’orrore vissuto da chi offre soccorso.
Le cifre trovano conferma incrociata nelle ricostruzioni dei media indipendenti che considerano i dati sanitari “via via più attendibili” col passare del tempo. È importante tuttavia sottolineare che il numero preciso di civili rispetto a combattenti rimane difficile da accertare, anche per le condizioni estreme in cui operano i servizi sanitari e di soccorso.
Una statistica inquietante: l’operazione con cui l’IDF ha attaccato Gaza City nel corso dell’offensiva di terra ha provocato più di 100 morti in un solo giorno, scatenando la fuga di centinaia di migliaia di civili in cerca di sicurezza.
Le ragioni della protesta: perché le madri dicono “basta”
Il gesto convocato in piazza vuole innanzitutto risvegliare la coscienza collettiva: davanti all’immagine della morte di un bambino, ogni silenzio rischia di diventare complicità. Le madri, scrivono, non vogliono più tacere davanti “a quegli occhi” che chiedono protezione.
Ogni bambino ucciso rappresenta un futuro spezzato — non solo per la famiglia che lo perde, ma per un’intera comunità. Le madri che scendono in piazza rivendicano il diritto dell’infanzia alla sicurezza, al vivere senza paura, a crescere senza bombe.
Questa iniziativa è anche un appello affinché autorità italiane e internazionali assumano una posizione netta contro le strategie militari che colpiscono indiscriminatamente la popolazione civile. È un invito – quieto ma determinato – a non restare neutrali dinanzi al dolore delle vittime inascoltate.
Vestirsi di bianco e portare una candela indica il desiderio di una protesta pacifica ma visibile. Macchiare l’abito di rosso vuole essere un’immagine potente: sotto ogni veste innocente c’è la traccia del sangue di chi è già morto. Un invito alla memoria attiva.
Il contesto più ampio: proteste, scioperi e mobilitazioni in Italia
La manifestazione del 1° ottobre si inserisce in un contesto nazionale già segnato da proteste diffuse. Il 22 settembre scorso, uno sciopero per fermare lo genocidio in Palestina è stato indetto su scala nazionale, con adesioni da parte di unità portuali, sindacati di base e realtà studentesche per denunciare la complicità politica dell’Italia nel conflitto. In quella occasione, in molte città le scuole sono diventate luoghi di riflessione, le piazze si sono animate, e si è chiesto un cambio di rotta nelle politiche estere del Paese.
L’estate del 2025 aveva già visto manifestazioni imponenti: a Roma, per esempio, erano scese in piazza oltre 300.000 persone per chiedere la fine della guerra a Gaza. Anche in Sicilia e in altre regioni si sono susseguiti presidi, sit-in e iniziative di solidarietà verso la popolazione colpita.
L’appello finale: trasformare il dolore in impegno
Quando le madri chiamano a manifestare, non chiedono solo visibilità simbolica. Chiedono giustizia, cessate il fuoco immediato, protezione per i civili e responsabilità politica di chi detiene potere decisionale. Vogliono che il silenzio non sia l’unica risposta di chi può intervenire.
Il gesto previsto per il 1° ottobre è un richiamo alla coscienza: che ci sia chi guarda, chi ascolta, chi si assume l’onere morale di non restare inerte davanti all’agonia dei più deboli. Vestirsi di bianco, portare una candela, e lasciare una macchia di rosso: nella sua semplicità, questo atto può parlare più forte di molte parole.
Perché in definitiva, se qualcuno tace, qualcun’altra continua a gridare — nel rumore di un abito macchiato, nel volto di una madre che chiede verità, nel ricordo di chi non può più parlare.
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