Il trattato sulla plastica è in stallo: il pianeta resta soffocato dai rifiuti

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A Ginevra nelle scorse settimana si è riunita la comunità internazionale, si sperava di assistere a una svolta storica in materia di smaltimento della plastica: ma il trattato si è inspiegabilmente arenato e siamo di nuovo al punto di partenza.
Dopo tre anni di discussioni, i rappresentanti di 183 Paesi erano chiamati a chiudere un accordo vincolante per contrastare l’inquinamento da plastica. Invece, il vertice si è concluso con un nulla di fatto, segnando l’ennesima battuta d’arresto in un processo che avrebbe dovuto portare a un trattato globale per affrontare una delle emergenze ambientali più urgenti.
Perché il trattato sulla plastica è in fase di stallo?
A pesare sulle trattative è stato, ancora una volta, lo scontro tra visioni opposte. Da una parte, oltre un centinaio di nazioni, riunite nella cosiddetta “High Ambition Coalition”, hanno spinto per introdurre limiti rigidi alla produzione, insieme a norme più severe sull’uso di sostanze chimiche dannose. Dall’altra, un fronte ristretto ma influente – che comprende giganti come Stati Uniti, Cina, Russia e Arabia Saudita – ha frenato ogni tentativo di ridurre la quantità di plastica immessa sul mercato, preferendo puntare solo su riciclo e gestione dei rifiuti.
Ma il problema, sottolineano gli esperti, sta a monte: produrre sempre più plastica e affidarsi solo al riciclo non basta. La produzione globale, se non verranno introdotti limiti drastici, potrebbe triplicare entro il 2050, aggravando una crisi già fuori controllo.
Il meccanismo decisionale che richiede l’unanimità per approvare un trattato ha finito per paralizzare i lavori. Il risultato sono due bozze deboli, incapaci di proporre soluzioni efficaci e, soprattutto, lontane da quell’accordo ambizioso che il pianeta aspetta ormai da troppo tempo.
Lobby fossili in prima linea: pressioni record sul negoziato
A complicare ulteriormente le cose, l’influenza delle lobby legate ai combustibili fossili è stata più forte che mai. Secondo il Center for International Environmental Law, ben 234 rappresentanti di aziende collegate al petrolio e al gas hanno preso parte ai colloqui. Una presenza mai registrata prima, che ha pesato sull’andamento delle trattative e ne ha minato la credibilità.
Un paragone ricorrente tra gli osservatori è stato quello con l’industria del tabacco: come se le regole sul fumo fossero scritte da chi produce sigarette. Le imprese responsabili di una parte significativa dell’inquinamento hanno avuto accesso diretto ai tavoli dove si decideva come affrontarlo, con risultati prevedibili: nessuna misura capace di ridurre realmente la produzione.
I numeri di una crisi che avanza
Il quadro attuale lascia poco spazio all’ottimismo. La plastica, per oltre il 99% derivata da petrolio e gas, è inquinante lungo tutto il suo ciclo di vita: dall’estrazione delle materie prime alla lavorazione, fino all’incenerimento. Una bottiglia dispersa in natura può resistere centinaia di anni, frammentandosi in microplastiche che entrano negli ecosistemi e, di conseguenza, nelle catene alimentari.
Il riciclo, spesso sbandierato come soluzione, è in realtà un palliativo limitato. Dalla metà del secolo scorso a oggi, solo il 10% della plastica prodotta è stato effettivamente riciclato. In Italia, nel 2023, meno della metà degli imballaggi è stata recuperata correttamente.
A peggiorare le cose, una quota significativa dei rifiuti raccolti viene spedita all’estero. In teoria, questi materiali dovrebbero essere avviati al riciclo; in pratica, spesso finiscono in discariche o bruciati, contaminando suoli e corsi d’acqua, come accade in Paesi come la Turchia, dove intere comunità convivono con montagne di rifiuti provenienti dall’Europa.
Il fallimento di Ginevra, un avvertimento globale
Il vertice svizzero rappresentava una delle ultime occasioni per costruire un fronte comune contro l’inquinamento da plastica. La sua paralisi è più di un rinvio: è un segnale d’allarme per la comunità internazionale. Senza un accordo globale, la lotta contro la plastica rischia di ridursi a iniziative isolate, insufficienti a fronteggiare un problema che non conosce confini.
Servono norme chiare, vincolanti, che affrontino la questione nella sua interezza. Un trattato efficace dovrebbe coprire ogni fase, dall’estrazione del petrolio al confezionamento, fino allo smaltimento, con l’obiettivo di ridurre davvero la quantità di plastica prodotta e di garantire sistemi di riuso e vendita sfusa per abbattere la dipendenza dagli imballaggi monouso.
Allo stesso tempo, la responsabilità nella gestione dei rifiuti non può più essere scaricata su Paesi terzi. Ogni Stato deve farsi carico dei propri scarti, assicurando una transizione equa per i lavoratori coinvolti nella filiera e protezioni per le comunità maggiormente esposte agli impatti dell’inquinamento.
Scenari futuri
La plastica è ovunque: negli oceani, nei fiumi, nell’aria, persino nel sangue umano, come dimostrano recenti studi. Ignorare questa emergenza significa aggravare una crisi sanitaria ed ecologica già drammatica. L’assenza di un accordo a Ginevra non deve trasformarsi in rassegnazione. Piuttosto, dovrebbe spingere i governi a riprendere i negoziati con maggiore determinazione, tenendo fuori dalle stanze del confronto gli interessi di chi trae profitto dalla produzione illimitata di plastica.
Il pianeta non può più aspettare. Ogni rinvio rende più difficile – e più costosa – la possibilità di invertire la rotta. La sfida non è più se agire, ma quanto tempo resta per farlo.
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