Keeper Recensione

Ottobre 17, 2025 - 22:30
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Keeper Recensione

KeeperCredo che per rendere giustizia a una figura eclettica e stravagante come Tim Schafer non basterebbe un libro intero, figuriamoci lo spazio di un’introduzione ad una recensione. Posso però provare a darvi un’idea sommaria: si tratta di un programmatore ed autore di giochi ex Lucasfilm Games, artefice della fortuna della società per cui ha lavorato grazie a titoli leggendari specializzandosi nelle avventure grafiche come The Secret of Monkey Island, Full Throttle e Grim Fandango. Negli anni ’90, per dirla con le sue stesse parole, si mise a capo del suo ultimo progetto, “Quitsville” lasciando la società per fondarne una tutta sua, con l’obiettivo di recuperare lo spirito creativo perduto alla Lucas: “Non riconosco più le persone nei corridoi, siamo passati da 40 a quasi 400 persone, ed ho bisogno di ritrovare l’atmosfera giusta. Così mi sono lasciato convincere a fondare il mio studio, anche se non voglio occuparmi di controllare se finisce la carta igienica, voglio fare giochi tutto il giorno!” Così nacque Double Fine Productions, un piccolo studio inizialmente confinato a programmare in un negozio di borse e zoccoli in subaffitto presso una coppia spagnola, parte della programmazione di Psychonauts è avvenuta lì. Il nome stesso nasce da un cartello sul Golden Gate Bridge, che indicava la zona a “multe doppie” ma che, per Tim, suonava anche come “doppiamente fantastico”. Passandoci davanti ogni giorno, trovò la scritta così bizzarra e divertente da trasformarla nel nome del suo studio nel 2000, un tocco ironico e perfettamente “Schaferiano”. E se ve lo state chiedendo, no, ora hanno una sede tutta loro dove non si producono borse, solo videogiochi. [caption id="attachment_1108631" align="alignnone" width="1200"] Solo a me questa parte ha ricordato una famosa scena di Nier Automata?[/caption]

Life on Mars?

Tim Schafer gode di una reputazione eccellente nel panorama videoludico, distintosi fin da subito per la sua straordinaria creatività, l'umorismo sagace e la notevole qualità narrativa. Durante il suo periodo in Lucasfilm Games, Schafer ha dato vita a capolavori che brillano per i dialoghi brillanti e gli universi eccentrici, con vette come Grim Fandango, acclamato per la sua memorabile estetica noir e macabra. Dopo aver fondato Double Fine Productions, ha mantenuto questa impronta distintiva, sviluppando titoli di culto come Psychonauts e il suo acclamato sequel. Quest'ultimo, in particolare, è stato lodato per l'esplorazione profonda e sensibile di temi complessi come la salute mentale, tradotti in un gameplay fantasioso e visuali psichedeliche. Universalmente riconosciuto come un autore unico e visionario, tanto da attirare l'attenzione di Microsoft, che ha assorbito Double Fine nel 2019 all'interno degli Xbox Game Studios. Sebbene Schafer rimanga la figura centrale, il successo dello studio ha portato negli anni a far emergere numerose altre personalità di spicco, come Lee Petty, veterano del team e art director di titoli quali Brutal Legend e Broken Age, e ora anche Keeper. Keeper è l'ultima fatica dello studio di San Francisco, si distingue per una premessa tanto stravagante quanto poetica. Il giocatore assume il controllo di un faro senziente e a lungo dimenticato che si risveglia in un mondo post-apocalittico e si muove su curiose gambe meccaniche aracniformi. Lighthouse è affiancato da un piccolo e fondamentale compagno, un pellicano di nome Twig. L'atmosfera è decadente, pervasa da un palpabile velo di malinconia. I segni di una catastrofe irreversibile sono manifesti ovunque, lasciando intendere chiaramente chi abbia prevalso in questo scenario. Ciò nonostante, il mondo mantiene un fascino e una bellezza sorprendenti. [caption id="attachment_1108627" align="alignnone" width="1200"] L'arrivo nella prima sezione leggermente più ampia, una delle sezioni migliori dell'intera produzione[/caption]

Mechanical Animals

Proseguendo lungo un percorso estremamente lineare, ci si imbatterà in altre creature meccaniche, le quali andranno soccorse, riaccendendo un barlume di speranza in un contesto che ne è evidentemente privo da tempo. La narrazione si sviluppa esclusivamente per via ambientale, senza l'ausilio di alcun testo esplicativo a chiarire il contesto; tuttavia, per chi è incline alla ricerca, esiste un modo per attingere ad un minimo di informazioni supplementari: provate a consultare gli obiettivi di gioco (achievement). Sarò del tutto sincero, giudicare Keeper è un'operazione che ha richiesto un po' di tempo. Ho dovuto lasciar sbollire la mia rabbia prima di formulare un giudizio lucido, se lo avessi fatto a caldo probabilmente sarei stato più duro. E' comunque un'opera complessa da giudicare perché al di là di un comparto audiovisivo eccellente ed una buona risposta ai comandi, le scelte fatte dal team di sviluppo sono a dir poco controverse e risulteranno senza dubbio divisive. Le parole dello stesso Schafer sembrano confermare i miei sospetti e raccontano molto: "Volevamo fare qualcosa che probabilmente non avremmo potuto far firmare ad un editore. È davvero artistico e all'inizio non ha senso, ma è davvero coinvolgente." Cercherò di non rovinarvi l'esperienza perché Keeper regala il meglio senza sapere cosa aspettarsi, mi limiterò dunque a quello che è stato mostrato. Il gameplay si basa inizialmente sulla collaborazione tra i due personaggi: Il Faro ha come abilità principale è manipolare il mondo circostante attraverso il raggio di luce. Puntando il faro su diverse creature o elementi della flora, si scatenano reazioni differenti: fiori che sbocciano, anfibi che reagiscono, meccanismi che si attivano e che risolvono gli enigmi ambientali. Twig, perennemente appollaiato sul tetto del faro, può invece interagire fisicamente con oggetti o meccanismi. [caption id="attachment_1108629" align="alignnone" width="1200"] Riguardando le immagini di gioco non posso che rimanere nuovamente impressionato dalla resa grafica spaventosa[/caption] L'assenza di un didascalismo esplicito è totale. Il giocatore è invitato a dirigere il fascio luminoso su ogni elemento visibile, così da scoprirne la reazione attraverso l'indagine empirica, procedendo per pura sperimentazione e a tentoni. Il gioco introduce sistematicamente nuove tipologie di puzzle e meccaniche ad ogni nuova area, preservando inalterato l'effetto sorpresa. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di manipolare creature per disgregare il ghiaccio in una sezione, mentre altrove si potrebbe impiegare il fascio di luce per transitare tra epoche temporali distinte, influenzando Twig in molteplici e inattesi modi. L'opera si configura essenzialmente come un puzzle-adventure dal ritmo pacato e dagli enigmi estremamente accessibili, un aspetto che, mi ha sorpreso, poiché mi attendevo una componente enigmistica ben più preponderante. Nonostante l'estrema linearità del prodotto, la varietà ludica non viene meno: si spazia da brevi sezioni di platforming a zone più ampie votate all'esplorazione (pur sempre circoscritta), fino a puzzle di natura eterogenea. Superata una porzione di gioco considerevole, l'esperienza subisce una metamorfosi radicale, segnando un autentico punto di non ritorno. Da tale snodo, il ludus continuerà a trasformarsi ripetutamente nel corso dell'avventura, perseguendo il dichiarato proposito di disorientare e stupire il fruitore. L'intento è conseguito con pieno successo, sebbene la qualità delle sezioni risulti non omogenea: mescolando i generi con somma disinvoltura, il titolo attinge a sistemi di gioco prontamente identificabili. Lungi dal cadere nella mera emulazione, li assimila e li incorpora magistralmente entro il contesto folle e peculiare di Keeper. [caption id="attachment_1108625" align="alignnone" width="1200"] A quanto pare ci sono altri esseri come noi.[/caption]

Design sottrattivo

Mi hanno insegnato che uno dei modi di procedere nel game design è il famoso "less is more" o per essere ancora più specifici il "design sottrattivo": questa filosofia è stata resa celebre nel mondo dei videogiochi da figure come Fumito Ueda, designer di titoli come Ico e Shadow of the Colossus, Jenova Chen (Flower e Journey) Jonathan Blow (Braid e The Witness), tanto per fare qualche nome. Il principio si basa sulla famosa citazione di Antoine de Saint-Exupéry: "La perfezione si raggiunge non quando non c'è più nulla da aggiungere, ma quando non c'è più nulla da togliere." È un principio che applichiamo intuitivamente nella vita di tutti i giorni, ad esempio isolandoci per lavorare o rimuovendo le distrazioni superflue. Per un game designer, operare per sottrazione si fonda su due precetti: in primo luogo, Identificare "l'essenza dell'esperienza", ovvero definire l'idea o l'emozione singolare e centrale che l'opera intende veicolare. Successivamente, si procede con l'eliminazione metodica di ogni "Rumore": si tratta di epurare ogni meccanica, funzionalità, elementi dell'interfaccia utente, o segmento narrativo che non concorra direttamente a rafforzare e a distillare l'esperienza fondamentale. In sintesi, si opera rimuovendo, sottraendo, il superfluo. Un classico esempio è l'interfaccia utente di Dead Space, integrata nel mondo di gioco come la barra della salute  sulla schiena di Isaac e l'inventario trasformato in ologramma, rafforzando l'immersione e l'atmosfera horror. O in Limbo/Inside la totale assenza di interazioni o anche solo il nome dei personaggi per amplificare l'atmosfera di mistero e isolamento. E' chiaramente un'orientamento, e viene solitamente applicato ad alcuni elementi e difficilmente si arriva ad un'applicazione semi-integrale. [caption id="attachment_1108624" align="alignnone" width="1200"] Primo piano dell'improbabile duo.[/caption] Tuttavia, Keeper non si limita a replicare tale approccio, ma lo conduce al limite estremo: Il gioco elimina ogni forma di didascalismo esplicito, sottraendo i dialoghi, l'interfaccia utente, e persino la possibilità di ruotare la telecamera. Si riduce l'interazione all'uso minimo dei tasti e si annulla il rischio di fallimento o di morte, dissolvendo di conseguenza lo stress e la fretta dall'esperienza ludica. Nessuna spiegazione, zero contesto narrativo, nessun documento da raccogliere. La totalità dell'informazione risiede unicamente in ciò che viene osservato. Come attestato in numerose sedi ufficiali, il team di Double Fine ha coniato e adottato l'espressione "weird but chill" come l'epitaffio della filosofia intrinseca al gioco. Nel contesto di Keeper, tale sintesi si manifesta in modo eloquente nel protagonista stesso, nelle ambientazioni, che si dispiegano come fantasiose e oniriche visioni ispirate al surrealismo, e nella natura inattesa e bizzarra delle creature e degli eventi che popolano il mondo ludico. L'ispirazione surrealista dell'opera si rivela in modo inequivocabile in molteplici aspetti, a partire dalla voluta violazione dei principi fondamentali della fisica e della logica del quotidiano, per giungere alla presenza di elementi incongrui, come la commistione tra una natura mutante che fiorisce in ambienti rigogliosi e la vita di creature meccaniche. Tali visioni distorte, che richiamano in modo palese le più celebri tele del movimento surrealista, si affiancano a una forma di automatismo psichico: gli artisti forgiavano le loro opere cercando di escludere il filtro del controllo cosciente per dare voce all'inconscio. Nel linguaggio del videogioco, questo si traduce in un universo che si astiene dal fornire spiegazioni logiche e costringe il fruitore a concentrare la propria attenzione sull'emozione e sull'interpretazione intrinseca di ciò che i sensi percepiscono. [caption id="attachment_1108623" align="alignnone" width="1200"] Come detto gli enigmi sono sempre molto intuitivi e semplici[/caption]

Last flowers

Nel mondo di Keeper, la musica e l'apparato sonoro trascendono la mera funzione di corollario, assurgendo a vettori primari della narrazione silenziosa e dell'atmosfera "weird but chill" voluta dal team, in virtù soprattutto dell'assenza di dialoghi espliciti. La colonna sonora, di natura sognante ed eterea, si presenta attraverso un sistema musicale reattivo agli stimoli ambientali, in termini tecnici musica dinamica adattiva. Parallelamente, l'intero sound design è stato elevato a linguaggio implicito: il paesaggio acustico post-umano è composto da dettagliati effetti e dalle vocalizzazioni uniche delle creature; il faro, privo di voce, acquista dignità caratteriale attraverso il crepitio delle sue pietre e il "clank" dei suoi passi meccanici. È importante sottolineare, tuttavia, che nell'ultimo terzo dell'opera, le musiche guadagnano decisamente coraggio, ritagliandosi un ruolo di primo piano e centrale nell'economia complessiva del gioco. Se dunque ogni elemento sonoro e non solo (elementi sottrattivi già citati), concorre alla massima celebrazione di questa singolare esperienza sensoriale, come si manifesta visivamente, allora, il mondo di The Keeper? Semplicemente sbalorditivo e artisticamente meraviglioso. Il lavoro fatto con unreal engine 5 lascia senza fiato e presenta uno stile grafico molto particolare: surreale, suggestivo e atmosferico, con un altissimo livello di dettaglio tecnico. I colori tendono a essere vibranti, psichedelici (come i viola e i verdi intensi) per accentuare l'atmosfera ultraterrena. Le ambientazioni sono ricche di una natura lussureggiante e mutante: creature fatte di rocce e radici, formazioni rocciose che sembrano tentacoli alieni e misteriosi giganti celesti, come una gargantuelica balena che fluttua nel cielo con la vegetazione che le cresce sulla schiena. L'esperienza visiva in Keeper si fonda su una prospettiva in terza persona che si discosta deliberatamente da una telecamera ravvicinata e dinamica, prediligendo al contrario una distanza misurata dal protagonista. Tale scelta stilistica, lungi dall'essere casuale, è intrinsecamente legata all'ambizione estetica dell'opera: essa eleva la visuale a strumento di contemplazione, consentendo al fruitore di abbracciare la vastità e la sublime incongruenza del mondo di gioco, che si svela come un'autentica tela surrealista tridimensionale. [caption id="attachment_1108626" align="alignnone" width="1200"] Uno dei tanti elementi di world building con del potenziale non sviluppato[/caption] Questa inquadratura non solo stabilisce l'atmosfera meditativa, ma si rivela cruciale per la logica di gioco, poiché offre la necessaria visione globale affinché il giocatore possa decifrare gli enigmi e comprendere le complesse interazioni ambientali che intercorrono tra il raggio luminoso del faro, l'agilità del suo compagno Twig e le reazioni imprevedibili del paesaggio. La composizione visiva, pertanto, subordina il dettaglio ravvicinato del personaggio alla magnificenza panoramica dell'ambiente e alla chiarezza concettuale della meccanica dei puzzle. Malgrado l'adozione prevalente di una prospettiva distanziata, l'impianto registico di Keeper si rivela di una clamorosa maestria cinematografica, introducendo repentine e magistrali eccezioni che elevano l'esperienza a puro spettacolo visivo: i campi lunghissimi enfatizzano l'epica solitudine del faro nell'immensità onirica, mentre le inquadrature dal basso ne amplificano l'imponenza scultorea; in momenti salienti, la telecamera indulge in primissimi piani che intensificano il legame emotivo con il duo, o si fissa in quadri cinematici che congelano l'assurdità surrealista della scena. L'alternanza tra queste angolazioni e i piani sequenza dinamici conferisce all'avventura un respiro drammatico e vi mostrano paesaggi che non dimenticherete velocemente. [caption id="attachment_1108628" align="alignnone" width="1200"] Twig man mano che passa il tempo si sistemerà sempre meglio sul suo amico faro.[/caption]

Shake the Disease

Il potenziale intrinseco all'universo di Keeper si rivela immenso, un fondamento che avrebbe potuto consentire l'edificazione di una struttura narrativa e ambientale in grado di lasciare un segno indelebile nel medium. Sfortunatamente, tale potenziale è stato sprecato con superficialità, alimentando il rammarico e la rabbia (di cui vi ho parlata ad inizio recensione) per ciò che l'opera avrebbe potuto essere e non è stata. Le regole intrinseche del mondo, di fatto, non vengono mai violate. Tuttavia, la critica verte sulla descrizione e sulla profondità di tale universo, che inserisce elementi estemporanei, totalmente decontestualizzati e privi di collegamento con il quadro d'insieme, per poi non riprenderli mai più. Il world building è esposto al giocatore attraverso le meccaniche ludiche, eppure non viene mai realmente approfondito o, per riprendere la cifra stilistica peculiare di Keeper, mai pienamente "mostrato" nella sua intrinseca complessità. Questa dinamica si ripete sistematicamente: elementi concettuali di grande fascino vengono introdotti con enfasi per poi essere abbandonati in favore di novità, senza mai essere organicamente integrati e sviluppati nel contesto ludico complessivo. Un esempio emblematico, ma tutt'altro che isolato, è l'opportunità offerta al giocatore di manipolare il continuum temporale: alcune sezioni di puzzle-adventure rivelano l'eccezionale facoltà della luce del faro di influenzare lo scorrere del tempo, al punto da poter transformare Twig in un uovo o in un'entità spirituale. Una meccanica così ricca di implicazioni concettuali e ludiche viene poi completamente dismessa e mai più ripresa, dinamica che non rappresenta un'eccezione ma il paradigma dell'intera esperienza di gioco. A peggiorare ulteriormente il quadro d'insieme, l'opera muta inaspettatamente forma in un punto cruciale, sovvertendo il gameplay in dinamiche ludiche completamente eterogenee, che sembrerebbero suggerire di essere state integrate per estendere l'esperienza piuttosto che per perseguire un'evoluzione coerente. Dopo l'evoluzione del faro, la prima zona da esplorare, culmina in una ricerca guidata dalla mera casualità, priva di logica o scopo apparente. Ancor peggio proseguendo con una interazione ambientale che propone una ripetizione di compiti tediosi, rovinando quanto costruito in precedenza. Da quel momento in avanti, poi, il titolo continua a trasformarsi rapidamente e ripetutamente portandosi verso il finale, configurandosi di fatto più come un assortimento disorganico di meccaniche distinte, anziché l'espressione corale e compiuta di un'unica visione perseguita con coerenza. [caption id="attachment_1108632" align="alignnone" width="1200"] Ditemi se non sembra un quadro.[/caption]

Keeper | in conclusione

La bellezza abbagliante di Keeper e il suo fascino alieno conquistano fin dal primo istante, offrendo un’esperienza assolutamente unica nel panorama videoludico contemporaneo. Tuttavia, dietro questo splendore emergono alcune fragilità strutturali, in particolare nell’equilibrio tra le diverse sezioni che compongono l’insieme. Il risultato è un’opera che affascina e disorienta allo stesso tempo, sospesa tra l’intento artistico e il desiderio di intrattenere. Mai come in questo caso risulta difficile distinguere dove finisca l’esercizio di stile e dove inizi il puro divertimento, e se dovessi rinunciare a mantenerne l’equilibrio, l’ago della bilancia tenderebbe, con una certa malinconia, verso la prima direzione. Tuttavia, dovendo individuare dei riferimenti per trasmettere una vaga percezione del mood e dell'ambientazione di gioco, indicherei Europa ed Expedition 33: il primo per la nostalgia e per la sua ambientazione aliena, lussureggiante e decadente; il secondo per il surrealismo con cui la Belle Époque e l’Art Nouveau vengono violentate e distorte. L'opera si configura come una prova eccezionale nella sua più pura accezione: in quanto rara, anomala e priva di compromessi. Per tale audacia, essa è meritevole del mio più totale e incondizionato rispetto. Ciononostante, alcune ingenuità o, ancor peggio, una palese trascuratezza in determinati aspetti della presentazione del world building, unite a un messaggio complessivamente banale, rendono il viaggio più affascinante dell'eredità che ne deriva. E francamente, dinanzi a tanto potenziale, questa costituisce un peccato mortale che non riesco in alcun modo ad accettare.

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