La libertà di espressone secondo la destra americana

Nel caso fosse servita ancora una dimostrazione del carattere strumentale, pretestuoso e contraddittorio della campagna della destra trumpiana contro «l’odio della sinistra», l’ha fornita ieri la procuratrice generale Pam Bondi, con la seguente dichiarazione: «C’è la libertà di espressione e poi c’è il discorso d’odio, e per quest’ultimo non c’è posto, soprattutto ora, soprattutto dopo quello che è successo a Charlie, nella nostra società… Se prendi di mira qualcuno con discorsi d’odio, saremo noi a prendere di mira te e a venirti a cercare».
Non era un modo di dire, decine di persone hanno già perso il lavoro, nel pubblico e nel privato, per avere fatto commenti online sulla morte di Kirk giudicati alla stregua di un concorso morale in omicidio. Ma quello che più sorprende è l’argomento del discorso d’odio («hate speech») come limite alla stessa «libertà di espressione» («free speech»), che è esattamente la posizione dell’Europa e della sinistra democratica, contro cui l’amministrazione Trump aveva lanciato una campagna martellante, a partire dal famoso discorso di J.D. Vance alla conferenza di Monaco (chi avesse bisogno di un veloce ripasso delle mie opinioni in proposito può leggere qui).
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